O.J. Simpson, l’infamia pop

A 76 anni è morto uno degli uomini più famosi e famigerati della storia americana, il protagonista di un'epopea che ha messo assieme sport, Hollywood, true crime e gangster movie.

12 Aprile 2024

Quanto dura la vita di una stella? Recentemente, non moltissimo. Il pubblico è severo, scrolla, giudica e provvede. Si fa in fretta a trovare nuovi idoli da coccolare per poi buttarli subito giù, dopo una stagione soltanto, come un giocattolo obsoleto, e avanti il prossimo. Il nuovo modello è il chiaraferragnismo: prima ti porto in alto e poi trovo un motivo per punirti, irrazionale tanto quanto quello che ti ha spinto in cima. Arrivederci, grazie mille, vediamo chi è il prossimo ospite della Fagnani.

Una volta, prima che il narcisismo patologico e la bulimia di informazioni dirottassero la nostra quotidianità e la nostra attenzione, non era così. Era il mondo di O.J. Simpson, morto ieri – convenientemente – a Las Vegas a settantasei anni, dopo essersi goduto la fama in un sistema dove le star brillavano senza data di scadenza. Intoccabili, sempre rilevanti, onnipresenti sui giornali di carta: la soglia d’attenzione dedicata alle persone famose poteva spalmarsi su decenni, quando il carisma lo permetteva. Gente come Mike Tyson o Britney Spears, per esempio, continua a vivere di rendita.

Gente come il defunto del giorno O.J. Simpson, all’anagrafe, come si dice nei coccodrilli wikipediati, Orenthal James Simpson, nato il 9 luglio del ’47 a San Francisco. Una celebrità novecentesca, di quelle figure americane che arrivavano anche a noi, alla periferia dell’impero, senza che le capissimo fino in fondo. Troppo rilevanti per essere ignorate da un bambino cresciuto in Italia negli anni Novanta, abbastanza irrilevanti da pascolare nel sottobosco della nostra disattenzione. Eccolo qua, il sogno americano. O.J. cresce in una famiglia tribolata, i genitori divorziano presto, il padre ha tutta una sua vita segreta che si scoprirà soltanto dopo la morte, per Hiv, come drag queen. Simpson Junior, da piccolo, per problemi di salute porta le bretelle alle gambe, come Forrest Gump, poi cresce e flirta con qualche gang di zona, tutto insomma sembra cospirare al peggio fino a quando arriva lo sport, salvifico. Non è male, il ragazzo. O.J. si impegna nel football e arriva fino all’università, dove diventa un campioncino. Ruolo, running back. Batte un sacco di record e diventa professionista quando i Buffalo Bills lo selezionano addirittura con la prima scelta al draft del ’69. Mantiene le promesse, rimane a nord-est per nove stagioni, giocando divinamente senza però vincere nulla, prima di chiudere la carriera a casa sua con i 49ers.

Ottimo giocatore, considerato uno dei migliori di sempre il giorno del suo ritiro. Sufficiente per renderlo immortale anche qua da noi, in Europa? No, nessun giocatore di football americano – tranne Tom Brady – ha questo status. Sarà per le esperienze cinematografiche? Dopo lo sport, O.J. si inventa una nuova carriera, assecondando una vecchia e mai pensionata passione per la recitazione. Non siamo nel territorio di Bergman, ma Simpson si guadagna un cameo nella storia del cinema grazie all’interpretazione di un poliziotto nella trilogia Una pallottola spuntata, al fianco di Leslie Nielsen.

Comunque, niente di memorabile ripensandoci a decenni di distanza. Ci volevano crimini orribili per rendere O.J. noto in tutto il mondo. Come spesso accade, è implicata la seconda moglie. O.J. Simpson prima sposa giovanissimo Marguerite Whitley, hanno tre figli (una muore tragicamente annegata in piscina a due anni), divorziano quando lui ha trentadue anni. O.J. si ricostruisce una vita sentimentale con Nicole Brown, nascono altri due figli, poi differenze inconciliabili li portano a divorziare dopo sette anni di matrimonio.

Sarebbero pettegolezzi inutili, se non fosse che O.J. Simpson entra nell’immaginario pop la notte fra il 12 e il 13 giugno del 1994, quando il cadavere di Nicole Brown e quello di Ronald Goldman, cameriere del ristorante Mezzaluna, vengono trovati uccisi a coltellate davanti alla casa di Brown a Brentwood, Los Angeles. O.J., in precedenza già indagato per violenze domestiche e in fuga su un volo per Chicago, è l’unico sospettato. Gli Stati Uniti si bloccano, l’attenzione passa dai mondiali di calcio e dalle finals Nba al fuggitivo più ricercato d’America. Le trasmissioni sulla Nbc e sulla Cnn si interrompono per trasmettere la fuga della sua Ford Bronco scassata, che procede lentissima sulla Highway 405 verso l’oceano scortata da macchine della LAPD. Simpson, seduto sul sedile posteriore dopo aver affidato la guida al suo vecchio amico Al Cowlings, minaccia il suicidio puntandosi una pistola alla gola durante tutto il tragitto. O.J. finirà in manette e verrà difeso durante il processo, che verrà definito “del secolo”, anche da Robert Kardashian, permettendo a due narrative turbo americane di intersecarsi. Narrative che ancora oggi esercitano un’enorme fascinazione su un pubblico non più soltanto americano: la serie tv The People v. O. J. Simpson: American Crime Story è stata un successo in tutto il mondo, e ha ricordato a tutti l’enorme talento attoriale di Cuba Gooding Jr., che con quella di O.J. ha offerto una delle migliori interpretazioni della sua vita.

Alla fine, lo sappiamo, O.J. Simpson verrà irrazionalmente assolto perché “if the glove does not fit, you don’t convict” e finirà poi essere arrestato per furto con scasso nel 2007, invecchiato e incattivito, mentre cerca di recuperare armi in pugno dalla stanza di un hotel di Las Vegas tutta una serie di oggetti che, a suo dire, gli appartenevano. Riesce finalmente a farsi condannare dalla giustizia, e sconterà dieci anni di prigione. I suoi trascorsi lo hanno reso allo stesso tempo uno degli uomini più famosi della storia americana e anche uno dei più “rimossi”: oggi è difficile trovare un suo coccodrillo sui giornali americani che non sia un copia e incolla di un comunicato stampa. Nonostante la rimozione, resta un’icona pop, un volto noto e un nome riconoscibile, portabandiera dell’americanità e argomento di tendenza quando ancora le mode non duravano un quarto d’ora.

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