Gerusalemme imprigionata

Nel suo Un giorno nella vita di Abed Salama, con cui ha vinto il Pulitzer, Nathan Thrall racconta il conflitto israelo-palestinese a partire da un incidente stradale e mostra come in una zona di guerra anche l'architettura e l'urbanistica siano armi.

16 Maggio 2024

I premi editoriali si vincono per vari motivi. A volte per l’argomento caldo, a volte per il valore letterario, altre volte i motivi possono coincidere. Negli ultimi anni il Pulitzer per la non-fiction è stato assegnato a libri che discutevano dei temi bollenti protagonisti del dibattito nazionale americano – e quindi come spesso accade con le cose americane, protagonisti del dibattito occidentale. Il ruolo degli afroamericani e la sua evoluzione nella società statunitense, povertà e immigrazione sul suolo americano sono stati l’hot topic dal 2017 a questa parte, e quasi tutti i libri che hanno vinto il premio hanno a che fare con famiglie nere cacciate di casa, con bambine che crescono nel ghetto di Brooklyn, con la war on crime contro i neri, con le minacce del suprematismo bianco o, come è il caso dell’anno scorso, con l’omicidio di George Floyd, che aveva ravvivato le proteste di Black Lives Matter. Quest’anno c’è stato un cambio e la medaglia è andata al libro di Nathan Thrall: Un giorno nella vita di Abed Salama: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme (Neri Pozza, tradotto da C. Pastore). Il conflitto israelo-palestinese è risalito nei trend. L’ultima volta era stato nel 1987, l’anno di inizio della prima Intifada, quando il premio lo aveva vinto Arab and Jew: Wounded Spirits in a Promised Land di David Shipler.

Nathan Thrall è intelligente. Ci sarebbero molti modi per raccontare il rapporto tra la popolazione palestinese e lo Stato israeliano, e risultare scontati, affettati o stantii. Lui sceglie di usare un fatto di cronaca, un incidente stradale. Non bombe, non attentati dinamitardi, ma un banale autobus che si cappotta in autostrada, come potrebbe succedere sulla A1. L’autobus è pieno di bambini di 5 anni che stanno andando in gita. Alcuni muoiono tra le fiamme, dato che i soccorsi ci mettono oltre mezz’ora ad arrivare. La scelta di usare un incidente viene fatta da Thrall per raccontare come l’architettura e l’urbanistica della zona siano un’arma – non del tutto involontaria, a sua detta – per tenere sotto controllo una popolazione, per rendergli la vita difficile. La West Bank è divisa in tre zone, e a sua volta ci sono diverse isole sotto il controllo palestinese, e per muoversi tra queste bisogna spesso passare per dei checkpoint militari israeliani. Thrall ci vuole dire che il controllo israeliano sui palestinesi è totalizzante, quasi assoluto, come la biopolitica di Foucault, un Panopticon di muri, strade, enclave, checkpoint e burocrazia, un’architettura della segregazione.

Thrall ci fa vedere alcune vite toccate dall’incidente, come dall’incapacità di poter andare negli ospedali – o negli obitori – dove sono stati portati morti e feriti, perché non si ha il passaporto giusto per attraversare una strada, e quindi restando col dubbio sulla sorte dei propri figli. Vediamo il prima delle vite di alcuni protagonisti, per capire anche come si è arrivati all’organizzazione attuale di Gerusalemme Est, comprese le lotte intestine tra i palestinesi, tra Fdlp e al-Fatah, e gli anni dalla prima Intifada.

Anni in cui «Israele aveva la più grande popolazione carceraria pro capite del mondo». Vite ordinarie che restano intrappolate nella geopolitica. Ogni momento dell’esistenza di un palestinese in Cisgiordania, almeno in questo libro, sembra esser deciso dalla politica. L’Israele raccontato da Thrall è un Israele cattivo, crudele. Forse in certi momenti un po’ troppo. Hamas, responsabile della strage del 7 ottobre, nel libro è menzionato una volta sola. Il testo sembra quasi un cronachistico Arcipelago Gulag, o il Lapidi di Yang Jisheng che fa luce sulla carestia in Cina, raccontato attraverso le vite private di chi abita in Cisgiordania. Il libro di Thrall, ebreo americano che da anni vive a Gerusalemme, era nato nel 2021 come long form per la New York Review of Books. Diventato un volume, è uscito pochi giorni prima dell’attacco di Hamas. L’autore si è lamentato che per via della delicatezza dell’argomento gli hanno cancellato varie presentazioni. In un’università, in Arkansas, gli hanno annullato la presentazione perché si è espresso contro il boicottaggio ai danni di Israele. Il Pulitzer è forse una forma di riscatto, nell’ottica del Thrall “cancellato”.

Leggi anche ↓
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese

Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano

Parliamo di It Was Just An Accident di Jafar Panahi, già vincitore della Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes.

Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza

E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.

Robert Redford, la star politica di un mondo che non c’è più

Dalla vita ha avuto tutto: fama, bellezza, successo, ricchezza, riconoscimento. Ma erano altre le cose che gli importavano: la democrazia, il cinema indipendente, le montagne dello Utah, e opporsi a un'industria che ormai disprezzava.

È morto Robert Redford, una leggenda del cinema americano

Aveva 89 anni, nessun attore americano ha saputo, come lui, fare film allo stesso tempo nazional popolari e politicamente impegnati.

Tra i candidati a rappresentare l’Italia all’Oscar per il Miglior film internazionale ci sono praticamente tutti i film italiani usciti quest’anno

Tranne La grazia di Paolo Sorrentino, ma non per volontà: la sua assenza è solo una questione burocratica.