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Il presepe siamo noi

Edoardo De Angelis racconta il suo adattamento del classico di Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello, in onda su Rai1 il 22 dicembre.

21 Dicembre 2020

«Provo un senso di appartenenza viscerale nei confronti di quest’opera e di Eduardo De Filippo. È un legame strano, perché non è solo un legame intellettuale o un punto di contatto con la mia esperienza di spettatore. È qualcosa di più: è qualcosa che ha a che fare con la natura umana». Edoardo De Angelis – regista di Indivisibili e Il vizio della speranza, napoletano, classe ‘78 – parla di De Filippo come di un maestro di vita. Cita opere e passaggi, influenze e lezioni. Il suo adattamento di Natale in casa Cupiello, in onda su Rai1 il 22 dicembre, non è semplicemente un omaggio: è il confronto di un autore con un altro, è la possibilità di ripercorrere certi passi, di studiarli da vicino, di modificarli. «Eduardo non ci ha raccontato solo delle storie di famiglia, mescolate nel calderone della sua arte. Ci ha mostrato il mondo. E dopo averlo visto in quel modo, dal suo punto di vista, seguendo il suo dito, non siamo più riusciti a guardarlo diversamente. Abbiamo iniziato a parlare la sua lingua».

E che lingua è?
Il suo è un napoletano particolare, specifico. C’è stata una lunghissima discussione, anche a distanza, tra De Filippo e Roberto De Simone. Proprio su questo. Per De Simone, De Filippo non rappresenta la cultura napoletana in sé, ma la cultura borghese. E la diatriba, se la vogliamo chiamare così, attiene soprattutto alla lingua. Perché Eduardo ha riscritto il napoletano, e le generazioni successive si sono sempre espresse in quel napoletano. Antropologicamente, è una cosa straordinaria.

Perché?
Perché ti dà la misura dell’influenza che ha avuto e ha ancora sugli esseri umani.

Ma chi era De Filippo?
In un’intervista Flaiano disse: se vogliamo identificare un autore importante, capace di far parlare davvero gli esseri umani, dobbiamo pensare ad Eduardo De Filippo. Eduardo ha elevato la scrittura teatrale a scrittura letteraria. E anche lì, volendo, c’è stato un movimento carpiato.

In che senso?
Non è partito dalla dimensione letteraria, ma dalla vita stessa. Eduardo lo diceva spesso: il teatro si confonde con la vita e la vita si confonde con il teatro. Questo legame è uno dei suoi insegnamenti più importanti.

L’altro qual è?
È riuscito nella magia, incredibile, di scrivere tragedie facendo comunque ridere. È la cosa che cerco di fare da sempre, fin dal mio primo lavoro. Voglio far convivere, nello stesso fotogramma, queste due anime, questi due sentimenti: la disperazione più profonda e l’attaccamento gioviale alla vita.

Ricorda la prima volta che ha visto Natale in casa Cupiello?
No. Ma è una cosa che è sempre stata presente nella mia memoria. De Filippo è come il terremoto: sai che c’è stato, sai che esiste, ma non ricordi con precisione la prima volta che l’hai avvertito.

Confrontarsi con le sue opere, con la sua eredità, è una sfida o un’occasione?
Un’occasione. Ma per poterla cogliere è necessario compiere un grande gesto liberatorio.

E cioè?
Per questo film, ho chiesto a tutti di dimenticare l’interpretazione di Eduardo. Quello che deve resistere è l’Eduardo autore.

Di cosa parla Natale in casa Cupiello?
Di famiglia. È il tema fondamentale. Abbiamo un padre che sta affrontando una crisi profonda del suo ruolo. Da una parte ci sono quelli che vogliono la famiglia nella sua visione classica, immutabile. E poi ci sono quelli che la vogliono cambiare.

Sergio Castellitto nel ruolo di Luca Cupiello

Il presepe è un elemento chiave.
C’è questo libro bellissimo di Roberto De Simone, intitolato Il presepe popolare napoletano, in cui si parla di Benino, il pastore che dorme. Benino rappresenta l’anello di congiunzione tra il mondo reale e il mondo onirico. Quando nasce Gesù, Benino si sposta, si avvicina alla grotta e diventa il pastore della meraviglia. E questa è una simbologia pratica. Una cosa che fa anche Eduardo.

In che modo?
I personaggi di Natale in casa Cupiello si muovono tutti tra temi morali e sentimentali. Luca è attaccato al presepe e alla famiglia tradizionale: è vero. Così come Tommasino e Ninuccia, i suoi figli, sono attaccati ad una visione più libera del mondo. Ma Luca capisce il desiderio degli esseri umani di non rimanere fermi. E Ninuccia e Tommasino sanno che non c’è una libertà assoluta.

Con la sua versione di Natale in casa Cupiello, che cosa ha provato a fare?
Con il cinema, questi movimenti si possono esplorare meglio. Sono uscito dalla dimensione teatrale e ho provato ad approfondire alcuni aspetti. Solo quelli accennati dallo stesso Eduardo, però. Come la relazione tra i due fratelli.

Perché ha scelto Sergio Castellitto per il ruolo del protagonista?
Durante la prima riunione, dissi che Luca doveva essere interpretato da un napoletano. Fu una reazione di pancia. Io lavoro sempre con attori della mia terra. Ma poi ho capito una cosa.

Che cosa?
Che servivano un nuovo corpo e una nuova voce per una nuova interpretazione. E che non dovevano essere per forza napoletane. Castellitto è stato la scelta giusta. Anche perché è uno di quegli attori-autori, e questa è una caratteristica importante nel lavoro di Eduardo. In questo adattamento, si possono notare alcuni cambiamenti. In alcuni momenti o in alcune battute.

Quanto è importante l’eredità di De Filippo oggi?
Eduardo è il nostro Shakespeare, i suoi racconti sono racconti archetipici. I sentimenti che racconta sono sentimenti che riguardano ogni essere umano. Sarebbe un errore gravissimo considerarlo solo come patrimonio della tradizione napoletano. È un autore conosciuto in tutto il mondo, e le repliche degli spettacoli di Toni Servillo, anche le riprese, ne sono un esempio evidente.

Ma come si adatta De Filippo in un film?
Non ci deve essere nessuno sforzo. Deve essere naturale. Questi testi possono vivere anche in un linguaggio diverso da quello originale. Anzi, scavare questo tesoro ha riportato alla luce nuovi gioielli, nuove cose, che sono perfette per il cinema.

Questo film, però, andrà in onda in tv.
Non ho mai pensato di fare televisione. L’ambiente in cui abbiamo lavorato è stato un ambiente di grande rispetto per la dimensione autoriale. C’era un clima di totale sostegno. E poi in questi anni c’è stato un progressivo sgretolarsi delle barriere tra estetica televisiva ed estetica cinematografica. Sono due spazi che oggi coesistono.

A lei piace il presepe?
Molto. Lo faccio da quando ero bambino, e adesso lo faccio con la mia famiglia. Ogni anno aggiungiamo un nuovo pastorello. Quest’anno abbiamo aggiunto la bufala, che è particolarmente vicina alle mie origini. Ma il presepe non può non piacere.

ⓢ Perché?
Perché il presepe siamo noi.

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