Hype ↓
18:27 venerdì 5 dicembre 2025
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.
L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.
Lily Allen distribuirà il suo nuovo album anche in delle chiavette usb a forma di plug anale Un riferimento a "Pussy Palace", canzone più chiacchierata di West End Girl, in cui racconta come ha scoperto i tradimenti dell'ex marito, l'attore David Harbour.
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.

Musicista contabile

Mutui, mini tour bus, luci di scena, affitti: fare i musicisti e fare i soldi sembra oggi utopia. Si raccontano i Grizzly Bear, in rampa di lancio con "Shields".

09 Novembre 2012

Per scrivere un articolo intitolato “Grizzly Bear: Indie – Rock royalty of 2012” apparso su un numero di ottobre della rivista New York, il giornalista Nitsuh Abebe (consiglio: assolutamente da seguire la rubrica “Why we fight” che tiene su Pitchfork) si è infiltrato per qualche settimana nelle vite dei Grizzly Bear, una delle band di maggior successo della scena indie americana, il cui ultimo album Shields è stato recensito con un 9/10 bello tondo proprio su Pitchfork. Ciò che è uscito da questo embedding prolungato è un bel ritratto esaustivo della storia e delle abitudini del gruppo.

Abebe racconta l’iter creativo che seguono i loro dischi, gli ascolti che li influenzano o li hanno influenzati fino a scendere nei particolari delle loro vite di tutti i giorni. Veniamo in questo modo a sapere che essere uno dei gruppi indie più popolari del pianeta, avere ceduto i diritti di alcune proprie canzoni per colonne sonore e spot televisivi, avere aperto un intero tour dei Radiohead e numerosi altri milestone achievements, non si traducono necessariamente in un’esistenza da privilegiati o in quel genere di surplus economico che mentalmente siamo portati ad associare all’archetipo di “Rockstar”. O almeno non più, non nel 2012.

Con sua e nostra sorpresa, Abebe ha scoperto che un successo planetario che si conta in decine di milioni di fan non ha sconvolto le esistenze e i portafogli dei Grizzly Bear come accadeva nell’era pre-digitale. I quattro membri del gruppo non possiedono ville con piscina o un parco macchine da fare invidia a James Bond, anzi. Non tutti i membri del gruppo possono permettersi di pagare un’assicurazione sanitaria privata e tutti quanti vivono ancora nelle stesse case in cui stavano prima che uscisse Veckatimest, il disco che, grazie al traino del singolo “Two Weeks”, li ha lanciati, e di sicuro non possono permettersi di pensare di andare in pensione a 35 anni e vivere di rendita per il resto della vita e gran parte dei soldi che ricavano devono essere immediatamente reinvestiti nel gruppo (per il noleggio di un tour bus ad esempio o dei set di luci per i live). In queste condizioni mettere su famiglia resta una chimera e l’indispensabilità di ogni componente per il progetto in generale è tale che a un certo punto uno dei membri si chiede angosciato: «Se uno di noi dovesse decidere di lasciare il gruppo per trovarsi un lavoro più remunerativo, non ho idea di come tirerei avanti».

Se Shields dovesse replicare il successo di Veckatimest è possibile che questo abbia un riflesso anche sul portafoglio ma per ora, come cantava Jannacci, per i Grizzly Bear: «Il futuro è un buco nero in fondo al tram». Un tempo un gruppo che nasceva indipendente poteva pensare, facendo le mosse giuste, di ritrovarsi a essere multimilionario prima che i suoi membri avessero compiuto 25 anni. Di esempi ce ne sono a bizzeffe: U2, Radiohead, Cure etc. etc. hanno inciso i loro primi dischi mentre continuavano a suonare in scantinati e feste universitarie, poi, se erano stati abbastanza convincenti, dal momento che nelle loro rispettive epoche i dischi si vendevano ancora, arrivava qualche major a proporre un contratto con molti zeri e a offrirgli il supporto logistico necessario a diventare successi globali e a ottenere un secondo contratto con ancora più zeri.

Oggi, ma in realtà ormai da decenni, questo sembra accadere sempre più di rado: le major si preparano in casa le ricette che funzionano sul mercato e chi comincia da indipendente se la deve cavare coi propri mezzi spesso per il resto della propria carriera. Il che, ovviamente, non è necessariamente un male, almeno per chi si trova dalla parte dell’ascoltatore, visto che, come nota Abebe nel suo articolo, questo permette ai gruppi indipendenti di avere, giocoforza, il completo controllo creativo sulla propria produzione senza condizionamenti o “ansie da prestazione”.

L’esempio perfetto in questo caso lo offre l’ultimo album degli Animal Collective. Si tratta di un disco che arriva dopo Merryweather Post Pavillion, l’Lp più pop e di successo del gruppo. Venti anni fa, gli AC ne avrebbero probabilmente ricavato così tanti soldi e pressioni da essere quantomeno tentati (o addirittura costretti da una grossa etichetta) di proseguire su quella strada e proporre un nuovo lavoro dalle sonorità molto simili. Oggi no e l’ultimo album è un ritorno alle radici più noise e sperimentali della band, un’opera che non si preoccupa di piacere alle masse che li hanno scoperti con il disco precedente. Del resto, come dice un ex musicista che non ce l’ha fatta (e che oggi può permettersi un’assicurazione sanitaria come direttore della produzione commerciale di Huffington Post Usa) intervistato da Abebe nel suo pezzo: «Ho sempre pensato che guadagnare un milione di dollari con le mie canzoni fosse più o meno come guadagnarlo giocando a carte in un casinò».

Foto: backstage del Coachella Festival, Michael Buckner / Getty

Articoli Suggeriti
Social Media Manager

Leggi anche ↓
Social Media Manager

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.