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19:52 lunedì 20 ottobre 2025
La prima serie tv tratta dal Signore delle mosche l’ha realizzata Jack Thorne, il creatore di Adolescence Con la consulenza degli eredi di William Golding, per garantire la massima fedeltà della serie, prodotta da Bbc, ai temi e alle atmosfere del romanzo.
Il figlio del fondatore di Mango sarebbe sospettato nell’indagine sulla morte del padre Lo riportano i quotidiani El Pais e La Vanguardia: la polizia starebbe verificando delle supposte incongruenze nelle dichiarazioni di Jonathan Andic relative alle circostanze della morte del padre Isak.
È morta Sofia Corradi, la donna che ha inventato l’Erasmus “per colpa” della burocrazia italiana Aveva 91 anni e l'idea dell'Erasmus le venne quando in Italia non le furono riconosciuti degli esami universitari fatti negli Usa.
Persino la ministra della Cultura francese ha ammesso che i ladri che hanno rubato i gioielli dal Louvre sono stati «molto professionali» Una sconsolata Rachida Dati ha dovuto ammettere che i ladri hanno agito con calma, senza violenza e dimostrandosi molto esperti.
Gli addetti stampa della Casa Bianca hanno risposto «tua madre» a una normalissima domanda di un giornalista durante una conferenza stampa Una domanda sul vertice tra Trump, Putin e Zelensky a Budapest, che Karoline Leavitt e Stephen Cheung hanno preso molto male, a quanto pare.
Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".

Musicista contabile

Mutui, mini tour bus, luci di scena, affitti: fare i musicisti e fare i soldi sembra oggi utopia. Si raccontano i Grizzly Bear, in rampa di lancio con "Shields".

09 Novembre 2012

Per scrivere un articolo intitolato “Grizzly Bear: Indie – Rock royalty of 2012” apparso su un numero di ottobre della rivista New York, il giornalista Nitsuh Abebe (consiglio: assolutamente da seguire la rubrica “Why we fight” che tiene su Pitchfork) si è infiltrato per qualche settimana nelle vite dei Grizzly Bear, una delle band di maggior successo della scena indie americana, il cui ultimo album Shields è stato recensito con un 9/10 bello tondo proprio su Pitchfork. Ciò che è uscito da questo embedding prolungato è un bel ritratto esaustivo della storia e delle abitudini del gruppo.

Abebe racconta l’iter creativo che seguono i loro dischi, gli ascolti che li influenzano o li hanno influenzati fino a scendere nei particolari delle loro vite di tutti i giorni. Veniamo in questo modo a sapere che essere uno dei gruppi indie più popolari del pianeta, avere ceduto i diritti di alcune proprie canzoni per colonne sonore e spot televisivi, avere aperto un intero tour dei Radiohead e numerosi altri milestone achievements, non si traducono necessariamente in un’esistenza da privilegiati o in quel genere di surplus economico che mentalmente siamo portati ad associare all’archetipo di “Rockstar”. O almeno non più, non nel 2012.

Con sua e nostra sorpresa, Abebe ha scoperto che un successo planetario che si conta in decine di milioni di fan non ha sconvolto le esistenze e i portafogli dei Grizzly Bear come accadeva nell’era pre-digitale. I quattro membri del gruppo non possiedono ville con piscina o un parco macchine da fare invidia a James Bond, anzi. Non tutti i membri del gruppo possono permettersi di pagare un’assicurazione sanitaria privata e tutti quanti vivono ancora nelle stesse case in cui stavano prima che uscisse Veckatimest, il disco che, grazie al traino del singolo “Two Weeks”, li ha lanciati, e di sicuro non possono permettersi di pensare di andare in pensione a 35 anni e vivere di rendita per il resto della vita e gran parte dei soldi che ricavano devono essere immediatamente reinvestiti nel gruppo (per il noleggio di un tour bus ad esempio o dei set di luci per i live). In queste condizioni mettere su famiglia resta una chimera e l’indispensabilità di ogni componente per il progetto in generale è tale che a un certo punto uno dei membri si chiede angosciato: «Se uno di noi dovesse decidere di lasciare il gruppo per trovarsi un lavoro più remunerativo, non ho idea di come tirerei avanti».

Se Shields dovesse replicare il successo di Veckatimest è possibile che questo abbia un riflesso anche sul portafoglio ma per ora, come cantava Jannacci, per i Grizzly Bear: «Il futuro è un buco nero in fondo al tram». Un tempo un gruppo che nasceva indipendente poteva pensare, facendo le mosse giuste, di ritrovarsi a essere multimilionario prima che i suoi membri avessero compiuto 25 anni. Di esempi ce ne sono a bizzeffe: U2, Radiohead, Cure etc. etc. hanno inciso i loro primi dischi mentre continuavano a suonare in scantinati e feste universitarie, poi, se erano stati abbastanza convincenti, dal momento che nelle loro rispettive epoche i dischi si vendevano ancora, arrivava qualche major a proporre un contratto con molti zeri e a offrirgli il supporto logistico necessario a diventare successi globali e a ottenere un secondo contratto con ancora più zeri.

Oggi, ma in realtà ormai da decenni, questo sembra accadere sempre più di rado: le major si preparano in casa le ricette che funzionano sul mercato e chi comincia da indipendente se la deve cavare coi propri mezzi spesso per il resto della propria carriera. Il che, ovviamente, non è necessariamente un male, almeno per chi si trova dalla parte dell’ascoltatore, visto che, come nota Abebe nel suo articolo, questo permette ai gruppi indipendenti di avere, giocoforza, il completo controllo creativo sulla propria produzione senza condizionamenti o “ansie da prestazione”.

L’esempio perfetto in questo caso lo offre l’ultimo album degli Animal Collective. Si tratta di un disco che arriva dopo Merryweather Post Pavillion, l’Lp più pop e di successo del gruppo. Venti anni fa, gli AC ne avrebbero probabilmente ricavato così tanti soldi e pressioni da essere quantomeno tentati (o addirittura costretti da una grossa etichetta) di proseguire su quella strada e proporre un nuovo lavoro dalle sonorità molto simili. Oggi no e l’ultimo album è un ritorno alle radici più noise e sperimentali della band, un’opera che non si preoccupa di piacere alle masse che li hanno scoperti con il disco precedente. Del resto, come dice un ex musicista che non ce l’ha fatta (e che oggi può permettersi un’assicurazione sanitaria come direttore della produzione commerciale di Huffington Post Usa) intervistato da Abebe nel suo pezzo: «Ho sempre pensato che guadagnare un milione di dollari con le mie canzoni fosse più o meno come guadagnarlo giocando a carte in un casinò».

Foto: backstage del Coachella Festival, Michael Buckner / Getty

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