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Dopo quasi 10 anni di attesa finalmente possiamo vedere le prime immagini di Dead Man’s Wire, il nuovo film di Gus Van Sant Presentato all'ultima Mostra del cinema di Venezia, è il film che segna il ritorno alla regia di Van Sant dopo una pausa lunga 7 anni.
Un esperimento sulla metro di Milano ha dimostrato che le persone sono più disponibili a cedere il posto agli anziani se nel vagone è presente un uomo vestito da Batman Non è uno scherzo ma una vera ricerca dell'Università Cattolica, le cui conclusioni sono già state ribattezzate "effetto Batman".
Secondo una ricerca dell’università di Cambridge l’adolescenza non finisce a 18 anni ma dura fino ai 30 e oltre Secondo nuove analisi neuroscientifiche, la piena maturità cerebrale degli adulti arriva molto dopo la maggiore età.
I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.
L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario

Che scrittrice è stata Joan Didion?

È morta a 87 anni un'icona letteraria tra le più amate e imitate.

24 Dicembre 2021

Diciamo la verità, oggi siamo tutti fan e grandi conoscitori dell’opera di Joan Didion, ma nel 2005, quando usciva per Il Saggiatore L’anno del pensiero magico, alla bellezza di settant’anni, nonostante fosse già una figura gigantesca in America, nessuno o quasi in Italia sapeva chi fosse la scrittrice e giornalista morta questo 23 dicembre a 87 anni, tanto meno, prima di quel libro, era associata a qualcosa di avvicinabile alla febbre letteraria che si è scatenata nei successivi quindici anni. E oggi, infatti, abbiamo letto sui social italiani post dolenti scritti da chiunque; tantissimi trentenni che l’hanno eletta a icona letteraria, punto di riferimento persino spirituale, con una partecipazione al lutto, per mezzo di stories e tweet che ambiscono al definitivo, semmai di puro posizionamento, che può essere paragonata solo alla morte, ben più tragica e generazionale, di David Foster Wallace.

C’è da chiedersi perché il fascino di questa, si direbbe oggi, boomer, di radici profondamente conservatrici e americana nel senso più pieno del termine, quello della frontiera, con opinioni spesso taglienti su utopie, femminismo e via dicendo, sia arrivato a influenzare schiere di trentenni degli anni Venti del nuovo secolo ossessionati da utopie, femminismo e via dicendo, che pure cioè avrebbero parecchio da ridire sulle idee politiche e la postura intellettuale di quest’autrice. È una domanda appassionante, almeno per me, ma a cui è difficile rispondere in modo definitivo.

C’è innanzitutto da riconoscere il ruolo dello stile. Lo stile della scrittura sicuramente, preso a esempio da moltissimi per la limpidezza, l’eleganza, l’assertività, la potenza. Ma anche lo stile extra-letterario, quello delle foto in bianco e nero postate da tutti come segno identitario, eppure così deliziosamente elitarie, tra Corvette e ville a Malibu, l’estetica insomma di «cantrice della grande vuotezza californiana» (copyright Martin Amis).

Più in profondità, la venerazione ha a che fare probabilmente con l’idea, resa possibile dalla scrittrice di Sacramento – o meglio: da lei resa letteratura – con effetti spesso nefasti sugli emuli, che sui cazzi propri si possa erigere uno stile. Ovvero l’unica grande ambizione creativa del post-postmoderno, quella che si materializza proprio con la morte di Wallace e l’esaurimento di molti scrittori della sua generazione di ironici-isterici, quella che diventa una vera e propria ondata sociale di cui la letteratura, con l’esplosione incontrollata di memoir, autofiction et similia, è soltanto un riflesso, un indizio, uno spicchio, considerando quello che abbiamo fatto e visto sui social da quindici anni a questa parte. La settantenne di allora è finita così, credo senza volerlo, nello spirito del tempo, diventando materia di specializzandi in Studi sallyrooneyiani.

Allora, come al solito, bisogna evitare di farsi distrarre dal rumore di fondo degli opinionisti di Twitter, degli editorialisti da newsletter, degli esperti di qualunque campo dello scibile social, se si vuole provare a capire alla fine che scrittrice è stata questa donna dalla vita spericolata, californiana, nata a Sacramento nel 1934, moglie dello sceneggiatore John Gregory Dunne, madre di una figlia adottiva morta a trentanove anni, assunta a Vogue ventenne, nel ’56, e che da qui si sarebbe fatta conoscere con una column di enorme personalità intitolata “Sul rispetto di sé” (1961), che poi, molti anni dopo, sarebbe diventata citazione fissa in ogni tumblr letterario di ogni aspirante essayst del Pianeta. E, senza farmi distrarre da questo rumore, se dovessi dire in qualche riga che scrittrice è stata Joan Didion, io direi: (soprattutto) una grande giornalista, poi una discreta romanziera (con libri un po’ alterni, ma comunque non ai livelli clamorosi del suo mentore Graham Greene, e lo dico da fan di Democracy), infine l’autrice di un memoir epocale come L’anno del pensiero magico.

Joan Didion è stata insieme a pochi altri nomi la giornalista che ha fatto diventare il giornalismo una lettura eccitante e commovente, l’autrice di “indagini” in cui lo sguardo si mangiava “i fatti”, in cui l’interpretazione surclassava il dato. Ed è stato un male, si dirà oggi, nel tempo in cui la gloria è riservata ai debunker e ai fact checker, ma forse non si vive di solo debunking e fact checking, vorrei dire. Prendiamoli un attimo i suoi pezzi, quelli raccolti in Verso Betlemme e The White Album (entrambi pubblicati dal Saggiatore). Il caldo di Los Angeles, il freddo di New York, I Doors e Nancy Reagan, gli acidi a San Francisco. Rileggiamoli attentamente. Cerchiamo di capire come può accadere il miracolo che un racconto così personale (di un incontro, di una manifestazione, di un evento meteorologico, del rapporto con un luogo) possa trasformarsi in storia collettiva e persino in quello che stiamo sentendo noi mentre leggiamo anni e anni dopo. Come può succedere? E in che punto succede? E poi rileggiamoli altre quaranta volte, quei pezzi, prima di iniziare a scrivere io in un qualsiasi pezzo da consegnare a un giornale.

Un miracolo simile si dischiude nell’Anno del pensiero magico. Resoconto di un doppio e terribile dramma famigliare, che Joan Didion trasforma in un manuale di stile. «Style is character», diceva, ed effettivamente tutto il libro sembra un combattimento con il lutto con le mani nude dello stile. La frase, il paragrafo, il suono della pagina, tutto lo stile è organizzato per esorcizzare la sofferenza. E qui si trova anche il punto di incontro perfetto tra i suoi pezzi e i suoi romanzi, tra il rigore dell’osservatrice e l’emotività della scrittrice. Sembra di assistere all’operazione di uno sguardo abituato da decenni a posarsi fuori che si rovescia all’interno. Impressionante. Ma ovviamente è anche un libro che ha fatto da cattivo maestro a schiere di stilisti senza carattere e di emotivi senza stile.

Se dovessi consigliare un’intervista, ne consiglierei una splendida data alla Paris Review nel 2006, proprio dopo la pubblicazione di The Year of Magical Thinking. È in quell’intervista che memorabilmente Joan Didion paragona lo scrivere romanzi alla pittura e lo scrivere non fiction alla scultura: «A matter of shaping the research into the finished thing». Mi fa pensare all’azione materiale di prendere la realtà e iniziare a scalpellarla. A eliminare pezzi non necessari, a farla venire come pensi sia giusto mostrarla. È stata questo, forse più di tutto il resto, Joan Didion: una scultrice della realtà. Una che ha scolpito prima le vite degli altri e poi la sua, piacendo a tutti, anche a chi non l’ha capita.

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