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Quanto siamo stati antiberlusconiani

Per metà del Paese l'odio per Berlusconi è stato a lungo un collante elettorale e culturale. Ma se il berlusconismo è stato un virus, l'antiberlusconismo è stato una malattia autoimmune.

di Cristiano de Majo

La cosa che mi impressiona di più della morte di Silvio Berlusconi è pensare a quanto siamo stati antiberlusconiani. Lo siamo stati dal ’94 almeno fino al 2011, quando quella lunga fase della politica italiana ha iniziato a cambiare con la sua prima non decorosissima uscita di scena, che ha dato inizio a un processo di normalizzazione, diciamo di umanizzazione della figura pubblica di Berlusconi. Negli ultimi dieci anni, l’antiberlusconismo ha smesso di essere un affare di massa e si è trasformato in affetto ironico e memetico in alcuni casi; in revisionismo e rivalutazione in altri, con solo un pezzo di quel “partito”, più o meno identificabile in toto con il travaglismo, quindi il più ideologico e incattivito, rimasta aggrappato a quell’idea anche per motivi di marketing e di business. Ma quell’odio che per vent’anni appunto è stato un formidabile collante della società riflessiva italiana, un collante elettorale ma anche culturale, non ha più avuto la stessa compattezza. Sono arrivati gli antirenziani a prendersi un po’ di quell’eredità, i nostalgici della Ditta, conservatori di sinistra nemici delle camicie bianche e del rampantismo un po’ cafone degli “uomini nuovi”. E poi sono arrivati gli antigrillini, ma a quel punto le cose si sono fatte ancora più confuse, perché questo gruppo comprendeva (e comprende) un pezzo di antiberlusconismo, ma sicuramente anche una fazione di para o filo berlusconismo, potendolo identificare in un fronte liberal, garantista e anti-populista, che in Italia ha contorni sfrangiati e sicuramente minoritari. Poi l’antisalvinismo e l’ancora più flebile antimelonismo, che discendono dall’antiberlusconismo se non altro per collocazione politica, ma non avevano e non hanno più avuto la forza unificante dell’antiberlusconismo, vuoi perché intanto la società si era atomizzata in tanti account social, vuoi perché il “mostro” evocato e combattuto era già così il peggior incubo possibile, che quelli venuti dopo sono sembrate all’antiberlusconiano ormai assuefatto, rassegnato, cinico, solo pallide imitazioni.

Se il berlusconismo è stato un virus, l’antiberlusconismo è stato una malattia autoimmune: dai virus spesso si guarisce, dalle malattie autoimmuni quasi mai. E forse (ma ho i miei dubbi) solo i libri di storia potranno dirci quanto male ci hanno fatto i Palasharp, il tifo ottuso per la magistratura, i Micromega, gli appuntamenti in prima serata con Santoro, le dieci domande di Repubblica imparate a memoria, il pensiero che sapere cosa fosse davvero successo con Noemi Letizia avrebbe cambiato la nostra vita in meglio. Abbiamo qualche certezza in più rispetto alla valutazione storica del berlusconismo: il “genio” imprenditoriale e comunicativo, certo, il magico tocco mimetico dell’arcitaliano, l’etica non esattamente limpida, il maschilismo becero, un’azione politica del tutto inadeguata, specie se confrontata con le grandiosità delle promesse, dalla “rivoluzione liberale” al “contratto con gli italiani”. Mentre è molto più difficile capire, quantificare, quanto male ha fatto all’Italia l’ossessione che identificò nella sconfitta elettorale, giudiziaria, umana di Berlusconi, il futuro e il benessere di un’intera comunità.

Tutto forse sta nello spaesamento che provo oggi nel guardare i video dei vecchi confronti televisivi, ricordandomi di quanto siamo stati antiberlusconiani nel pensare che Veltroni, per non dire di Occhetto o di Fassino, avrebbero dovuto e addirittura potuto battere Berlusconi, o che Prodi che cita Shaw fosse comunicativamente più efficace della teoria dell’utile idiota al servizio dei comunisti di Berlusconi. La domanda che mi faccio, guardando quei vecchi video, è: ma se oggi, con la consapevolezza e la maturità che possiedo, mi trovassi davanti alla tv, che giudizio darei di quello che sto guardando? Non dico al punto da segnare la X su “Berlusconi presidente”, ma nel grado di severità con cui ho giudicato chi quella in X in cabina elettorale la metteva davvero. Oggi mi dico: come, di fronte a quella scelta, l’elettore medio avrebbe potuto non metterla?

E più di tutto la scena con Travaglio e Santoro molto condivisa sui social in questi giorni. Era il 2013, già in fase calante, certo. Lo davamo per cotto. Ci ritrovavamo ancora davanti alla tv a sprizzare odio e a esorcizzare la paura per un suo possibile colpo di coda. Ci sembrò a noi antiberlusconiani una figura imbarazzante quella fatta da Berlusconi che si alza, spinge Santoro, fa alzare Travaglio dalla sedia e la pulisce col suo fazzoletto. Eppure vista oggi, vista anche probabilmente con la consapevolezza di quello che sono diventati Santoro e, soprattutto, Travaglio, fa tutto un altro effetto. Fa tutto un altro effetto sentirlo dire alla fine di quel siparietto: «Non sapete nemmeno scherzare». Tanto è vero che viene condivisa per sfottere Travaglio e non Berlusconi, probabilmente anche da parte di vecchi antiberlusconiani diventati nel frattempo antitravaglini, per dire dell’impazzimento che abbiamo vissuto. Un altro momento emblematico arriva poco più avanti, quando Berlusconi ribatte a Santoro: «Sono stato votato da 11-13 milioni di italiani, tutti coglioni?», con il pubblico in studio che risponde «Sììììììì». Quel «sìììì» oggi suona imbarazzante tanto quanto le peggiori uscite di Berlusconi, e dice parecchio e forse tutto dell’Italia dal ’94 a oggi.