Stili di vita | Dal numero
La Milano delle librerie
Dallo speciale Milano 50, nel nuovo numero di Studio, elogio di una certa idea milanese di libreria.
L'interno di Verso libri, in Corso Porta Ticinese 40, Milano (fotografia di Mattia Greghi)
Ci sono stati anni, temo irrimediabilmente lontani, in cui al minimo pretesto prendevo un treno per Milano. Cioè, Milano era il posto dove dicevo di andare: il piano rialzato di Milano Libri in via Verdi, quello che ospitava la sezione di arte, design e fotografia era quello dove ero diretto, e dove intendevo passare almeno un pomeriggio.
Oggi comincia a essere difficile raccontare come fosse fatta una libreria, cioè un posto che mostrava e vendeva libri e dove gli autori si facevano vedere in rarissime occasioni, tutt’al più firmando cinque o sei copie – in silenzio. Però era fatta così – o almeno, Milano Libri era fatta così: a scaffale, più o meno tutto quanto si potesse desiderare fra le uscite degli ultimi vent’anni; sui tavoli, tutte le novità che avessero senso, disposte con un ordine che ancora non si chiamava curatela, ma era forse qualcosa di più, tipo un mestiere. Quei tavoli erano una mappa che dava un’idea molto chiara e seducente di cosa stesse succedendo nel mondo delle immagini, quando ancora le immagini non ti venivano rovesciate addosso a migliaia per secondo, e se ti servivano dovevi andartele a cercare.
C’era un altro aspetto di quella libreria che trovavo unico, senza ancora capire perché. Si presentava come una civetteria, ma non lo era. Non c’è bisogno che ricordi cosa fosse stata negli anni Settanta Milano Libri, quando era anche una casa editrice – come sulle spalle di Snoopy avesse portato in un’Italia ferma a Cino e Franco un intero universo di strisce e di libri oggi considerati poco meno, o poco più, che classici moderni. Bene, dove veniva tenuta la specialità della casa? Dov’erano i libri di Garry Trudeau, Al Capp, Edward Gorey? Se lo chiedevi, venivi mandato al piano inferiore, in una specie di scantinato cieco in cui da solo, forse, non saresti sceso. In qualsiasi altra città, i memorabilia di quella stagione gloriosa avrebbero tappezzato il locale: a Milano Libri – ma qui si può estendere, a Milano – venivano tenuti in un angolo, a disposizione di chi fosse interessato. Ma senza farla tanto lunga.
E pensare che l’iconografia milanese in cui ero cresciuto era tutta diversa. Per i liguri di allora – e del resto per tutta la commedia all’italiana, da Risi a Vanzina – la città e i suoi abitanti si distinguevano per il suo contrario, come vogliamo dire, l’ostentazione pacchiana? Ora, per quanto mi riguarda sono un devoto degli stereotipi, solo che questo, temo, sia stato, dalle origini, completamente sbagliato. Appena arrivato a Milano, vent’anni fa, ho cominciato a chiedermi cosa mi piacesse tanto, di una città così irrimediabilmente brutta. Dopo averne visto un paio, ho capito che non erano i cortili, e neanche gli androni. Ma qualcosa di altrettanto nascosto, che fino a una settimana fa non sarei stato in grado di definire. Non lo sono neanche adesso, veramente: però posso raccontare un piccolissimo episodio, che messo insieme al ricordo da cui ho iniziato spero renda l’idea.
Un giorno di inizio autunno, alla libreria Verso – che non è Milano Libri, ma una delle sue approssimazioni possibili, date le circostanze – la mia casa editrice presentava un libro di Arthur Cravan, curato da Edgardo Franzosini. Bene, a fine presentazione, durante il temibile question time, una signora alza la mano e chiede se può fare un piccolo spot. Le viene concesso, e ci comunica che nei giorni seguenti, nella palestra dove Visconti girò Rocco e i suoi fratelli, si sarebbe tenuta una manifestazione di poesia e boxe popolare ispirata proprio a Cravan. Poi si rimette a sedere, e si passa tutti quanti ad altro.
Ora, Cravan – pugile, poeta, compagno di strada dei Surrealisti – era un grande eccentrico del tutto dimenticato, o non sarebbe diventato un eroe di Franzosini. Che qualcuno, mesi prima, avesse pensato di dedicargli un’intera manifestazione, forse sarebbe anche potuto accadere altrove, nello strano e imprevedibile Paese in cui abitiamo. Ma che un’idea così curiosa fosse presentata in questo modo, come una cosa ovvia tra le tante, e senza farla tanto lunga, no. Questo, francamente, succede solo a Milano.