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La Russia è imprigionata in un loop temporale

Intervista allo scrittore e traduttore Mikhail Šiškin, autore di un libro, Russki mir, che spiega l'origine del mondo e del mito russo, dai khan dell'impero mongolo all'autocrazia putiniana, passando per l'Urss di Stalin.

di Flavio Villani

Lo scrittore e traduttore Mikhail Šiškin (Mosca, 1961) è una delle voci più autorevoli dell’emigrazione russa. L’anno scorso ha vinto il Premio Strega europeo con il romanzo Punto di fuga (21lettere) ex aequo con Amélie Nothomb e quest’anno è arrivato finalista al Premio Terzani con il saggio Russki mir: Guerra o Pace (21lettere), in cui racconta la realtà del suo Paese ai lettori occidentali.

ⓢ In Russki mir si riferisce allo Stato russo come all’ulus di Mosca (una delle province in cui era diviso l’impero mongolo dell’Orda d’oro). Quali sono le caratteristiche dell’ulus e perché descrivono l’attuale Stato russo?
La Russia cade continuamente in un buco nel tempo. Il mondo va avanti e un’epoca di sviluppo succede all’altra: il Rinascimento, l’Illuminismo e l’ordinamento democratico della società. La Russia, quando cerca di liberarsi del passato, ricade ogni volta nello stesso baratro. Così nel 1917 e così negli anni Novanta. Viviamo di nuovo sotto l’Orda d’oro. C’è il khan e tutti gli altri sono suoi schiavi. La Costituzione e le leggi non valgono niente. Conta solo il volere dell’autorità suprema. Chi non ci sta, deve tacere e sottomettersi o lasciare il Paese o essere punito. Non esiste proprietà privata. Possiedi qualcosa finché sei fedele all’autorità. Se perdi la lealtà, perdi tutto (ricordiamoci dell’oligarca Khodorkovskij). Il potere è l’unica idea che ha il Paese. C’è un potere forte, c’è l’ordine. Non c’è un potere forte, c’è il caos. La nostra è una mentalità tribale: noi siamo sempre nel giusto, mentre le altre tribù ci sono nemiche e vogliono annientarci. E quindi siamo sempre in guerra.

ⓢ Una parola che usa spesso nel libro è jarlyk, che nel russo moderno significa etichetta. Qual è il significato originario della parola e perché è ancora importante?
Il khan supremo dell’Orda d’oro rilasciava lo jarlyk, cioè il permesso di governare in suo nome, ai suoi vassalli, tra cui c’erano anche i principi russi. Lo scorso marzo il khan supremo cinese era a Mosca e ha concesso lo jarlyk al suo vassallo russo.

ⓢ La sociologia usa la parola prizonizacija per descrivere uno dei tratti più caratteristici della società russa. Che cos’è la prizonizacija?
In Russia il mondo del carcere non è separato dalla società, è la quintessenza della mentalità russa e la sua influenza è enorme. Circa un quarto della popolazione ha avuto un’esperienza carceraria e la maggior parte degli abitanti ha o ha avuto un parente o un amico detenuto. Non parlo dei tempi del gulag stalinista, ma di ora. In Russia il carcere è la scuola degli schiavi. Le sue leggi vengono portate nella vita “libera” dopo il rilascio. I giovani delle città e delle campagne crescono secondo le sue regole. Il gergo carcerario è entrato nel discorso televisivo. L’etica carceraria è il fondamento stesso della società russa. Nel carcere esiste solo una legge, quella della violenza, e secondo questa legge i russi vivevano e vivono. Nel carcere i più forti occupano i posti migliori della cella e prendono vestiti e cibo dai deboli. Mantengono l’ordine, il loro ordine criminale. E il Paese non ne conosce altro.

ⓢ In un breve saggio su Thomas Mann pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine lo scorso gennaio paragona la Germania di Hitler con la Russia di Putin. Quali somiglianze ha trovato?
Parafrasiamo il famoso incipit di Anna Karenina: tutti i dittatori felici si assomigliano, ma allo stesso tempo tutti finiscono non felicemente. Se prendiamo il Mein Kampf e sostituiamo “tedesco” con “russo” e “ebrei” con “ucraini”, otterremo la propaganda di Putin. Quello che era la regione dei Sudeti per Hitler, lo è la Crimea per Putin. Großdeutschland (la Grande Germania) equivale a Russkij Mir (il Mondo Russo). Anche gli slogan sono quasi identici: Ein Führer, ein Volk, ein Reich (Un capo, un popolo, un impero) e Est’ Putin, est’ Rossija (C’è Putin e c’è la Russia). Ogni dittatura vive di nemici e di guerra e si regge sulla paura, l’odio e l’aggressione. Non ho dubbi che anche il dittatore russo finirà vergognosamente come quello tedesco.

ⓢ Ancora durante la guerra Thomas Mann credeva che le “forze sane della Germania” potessero prevalere. Rimase deluso e cominciò a parlare di “colpa collettiva”. Si può parlare anche per i russi di colpa collettiva?
La colpa collettiva è stata già elaborata dalla storia. Pensiamo alle esecuzioni di ostaggi borghesi in quanto rappresentanti della classe sfruttatrice nella guerra civile russa, alle esecuzioni delle famiglie dei partigiani nella guerra civile italiana e alla cacciata dei tedeschi dai Sudeti dopo la seconda guerra mondiale. La Convenzione di Ginevra del 1949 ha vietato la colpa collettiva: si può essere puniti solo per crimini commessi di persona. Altra cosa è la responsabilità collettiva. Non ho commesso crimini di guerra, sono sempre stato contro il regime di Putin e l’ho combattuto con i miei libri, articoli e discorsi. Ma ora mi fa male essere russo. Commettono crimini in Ucraina persone che parlano la mia stessa lingua, cittadini del Paese dove sono nato e cresciuto. Ci chiamiamo russi e siamo un solo popolo. Io non posso non sentire la responsabilità dei crimini che sono commessi nel nome del mio Paese e del mio popolo. Tutti i russi sparsi nel mondo portano questa responsabilità. Il regime di Putin ha reso la mia lingua la lingua dei criminali di guerra e ha esposto la cultura russa a un bombardamento a tappeto. Il problema è che i russi che sostengono la guerra, e purtroppo sono la maggioranza, non si sentono né in colpa, né responsabili. Un anno fa, quando i carri russi incombevano su Kyiv, il mondo si è meravigliato dell’assenza di manifestazioni di massa contro la guerra in Russia e quei pochi che hanno protestato sono finiti in carcere.

ⓢ La gente non è scesa in piazza per paura?
Il silenzio è un modo di sopravvivere testato da generazioni sotto qualsiasi regime in Russia. Strategia di sopravvivenza che Puškin formula così nel finale del suo dramma storico Boris Godunov: «Il popolo tace». E tace il popolo anche ora che i missili russi distruggono le città ucraine e uccidono bambini. Lo scorso settembre al regime stava finendo la carne da cannone, è stata annunciata una mobilitazione e in centinaia di migliaia sono andati disciplinatamente a uccidere ucraini e incontro alla propria morte. Questa mostruosa disponibilità a farsi ammazzare non c’entra niente con la paura, il silenzio e la strategia di sopravvivenza. È qualcos’altro, molto più profondo e molto più spaventoso. Questa guerra mostra come la Russia sia da molto tempo divisa in due popoli che parlano la stessa lingua, si definiscono russi e condividono lo stesso territorio, ma per mentalità e psicologia sono opposti l’uno all’altro. Alcuni vivono nel presente, altri nel passato e li separa la questione cruciale dell’essere umano: di chi è la responsabilità di decidere cosa sia bene e cosa sia male. Se vedo il mio popolo e il mio Paese portare il male nel mondo, sarò contro il mio popolo e il mio Paese. La maggior parte dei russi è rimasta nel passato e si identifica con la propria tribù. Siamo buoni per definizione. Gli altri sono nemici. Combattiamo una guerra senza fine per la conservazione della nostra tribù, del nostro territorio e della nostra “civiltà”. Siamo soldati e difendiamo il nostro mondo, come hanno fatto i nostri antenati, e lo zar al Cremlino è nostro padre e comandante. “La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra!” Non ci assumiamo nessuna responsabilità. Ci conduce il nostro capo/khan/zar e noi eseguiamo solo i suoi ordini.

ⓢ Chi prevale tra i russi, quelli che vivono nel presente o quelli che vivono nel passato?
Noi, che crediamo che la Russia debba percorrere il cammino della civiltà insieme agli altri Paesi democratici verso lo stato di diritto e la difesa dei diritti umani, siamo la minoranza. Gli altri, la maggioranza, hanno una visione del mondo completamente diversa: la Russia è un’isola sacra circondata da un oceano di nemici che ci odiano, bisogna difendere la patria e può salvarci solo lo zar-padre al Cremlino. In questa guerra perdiamo sempre e non ci rimane che il carcere, il silenzio o l’emigrazione. I tiranni usano l’amor di patria per conservare il potere. Scambiano l’amore per la patria con quello per il regime. Così è stato con mio padre, che a diciotto anni è andato a combattere contro i tedeschi. Credeva di difendere la sua patria, ma difendeva il regime di Stalin, che lasciò marcire nel gulag suo padre, mio nonno. Era convinto di liberare l’Europa dal fascismo. Quando, all’epoca della perestrojka, si cominciò a dire in televisione che l’armata rossa aveva portato ai popoli “liberati” dell’Europa orientale un altro fascismo, mio padre fu offeso nel profondo. Lui e i suoi compagni di guerra credevano di aver portato il bene contro il male assoluto del fascismo e gli era impossibile riconoscere di aver portato il male. Esattamente così funziona la propaganda di Putin. Che cosa sentono i genitori di un soldato russo caduto in Ucraina? Forse: “vostro figlio era un fascista andato in un altro Paese per uccidere, vergognatevi del vostro figlio-occupante!”? No, in televisione sentono: “vostro figlio era un eroe, è andato a difendere la nostra lingua e il nostro popolo russo dai nazisti ucraini. I fascisti della Nato vogliono annientarci e lui ha difeso la patria, come hanno fatto i suoi nonni. Ha difeso la nostra grande cultura, Puškin, Tolstoj e Čajkovskij! Siate orgogliosi del vostro figlio-eroe!” Ma di quale senso di colpa parliamo? Senza un pentimento nazionale in Russia non c’è futuro.

ⓢ È possibile un riconoscimento nazionale della colpa?
Temo che in questa guerra l’inevitabile sconfitta del regime putiniano sarà presa in Russia come una sconfitta della Russia e invece del pentimento nazionale arriverà il senso di umiliazione. E i prossimi Putin chiameranno di nuovo il popolo a rialzarsi.

ⓢ Nella Lettera a un ucraino sconosciuto pubblicata sul Guardian il mese scorso scrive: «In Russia non abbiamo avuto né destalinizzazione, né un processo di Norimberga del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Il risultato lo vediamo: una nuova dittatura». Perché non c’è stata destalinizzazione?
La Germania è l’esempio di come una nazione possa superare il proprio passato, liberarsi dalla dittatura e costruire una società orientata verso la democrazia. Perché i russi negli anni Novanta non sono riusciti a staccarsi dal proprio passato? Immaginiamo che la denazificazione in Germania nel dopoguerra l’abbiano fatta invece degli alleati, gli ex gerarchi nazisti e ufficiali della Gestapo. In Russia è andata così: dopo il collasso dell’Unione Sovietica, la costruzione della nuova Russia democratica è stata affidata a ex funzionari di partito e ufficiali del Kgb. E loro hanno costruito solo quello che sapevano costruire. La macchina statale e militare tedesca è stata completamente annientata dagli alleati e la polizia militare americana ha giudicato i criminali nazisti a Norimberga. La macchina statale e militare sovietica è passata tranquillamente nella nuova Russia. I direttori sovietici delle fabbriche e delle aziende agricole ne sono diventati i proprietari. Chi avrebbe dovuto giudicare i criminali del Partito Comunista? Loro stessi?

ⓢ Che cosa avrebbe dovuto fare l’Occidente?
Le democrazie occidentali hanno avuto un ruolo molto importante nella trasformazione della Germania, non meno importante di quello nell’instaurazione di una dittatura criminale in Russia. Il popolo russo non aveva nessuna esperienza di autogoverno, la gente non sapeva che fosse uno stato di diritto. Allo stesso tempo erano aperti alle idee democratiche occidentali e sognavano una vita come nei film americani. Per loro era un pacchetto all inclusive: il McDonald’s e la costituzione, libere elezioni e macchine americane. Come avrebbe dovuto aiutare l’Occidente la neonata democrazia russa? Sarebbe bastato semplicemente essere di esempio e mostrare come funziona uno Stato di diritto. Ci sono leggi e bisogna rispettarle e chi le infrange va in galera. Allora lavoravo come traduttore in Svizzera e vedevo la gioia di avvocati e banchieri per l’arrivo di quel mare di soldi sporchi dalla Russia. Lo sapevano benissimo che infrangevano la legge. L’Occidente ha mostrato che quando si tratta di tanti soldi, lo stato di diritto scompare. L’instaurazione del regime criminale in Russia è stata possibile solo grazie a questo sostegno da parte dei Paesi democratici occidentali, che non hanno seguito le proprie leggi. I politici occidentali corrotti hanno allevato un mostro, il regime di Putin, che ora è necessario combattere con le armi. La guerra era inevitabile, perché la guerra è l’essenza del potere russo. Le domande russe “eterne e maledette” vengono dalla letteratura russa del XIX secolo: “chi è colpevole?”, “che cosa fare?” Erano domande importanti per il pubblico dei lettori, i “russi europei”. Ma per i centocinquanta milioni di contadini, che non sapevano leggere, le domanda importante era (ed è): “lo zar è legittimo o è un usurpatore?” La sola prova era la vittoria sul nemico. Agli occhi del popolo Stalin è stato uno zar legittimo, mentre Gorbaciov, che ha perso la Guerra fredda, è stato un ignobile impostore. La vittoria in guerra è l’unica legittimità del potere in Russia, non quella che viene dalla vittoria alle elezioni, che il potere falsifica sempre.

ⓢ Come ha guadagnato Putin la sua legittimità?
Con la vittoria in Cecenia e l’annessione della Crimea. Ma gli servivano nuove vittorie. Ora che perde la guerra in Ucraina già l’opposizione “patriottica” dai canali Telegram strilla di alto tradimento e che lo zar non è legittimo. Prima o poi Putin uscirà di scena e la guerra la vinceranno gli ucraini. Tutto il mondo aiuterà l’Ucraina a ricostruire quello che i russi hanno distrutto. Al confine con la Russia tireranno su un muro gigantesco e quello che sarà al di là di quel muro non mi suggerisce nessun ottimismo. In Russia comincerà una nuova guerra per il potere e il caos genererà una nuova ondata di violenza. La disgregazione dell’impero continuerà. La Federazione russa è “incinta” di nuovi Stati, come lo è stata l’Unione Sovietica alla fine dei suoi giorni. Diventeranno indipendenti la Cecenia e altre repubbliche nazionali.

ⓢ Questi nuovi Stati hanno delle possibilità di diventare democratici?
Sì, ma a patto che siano soddisfatte delle condizioni necessarie. Prima di tutto viene il riconoscimento nazionale della colpa dell’aggressione dell’Ucraina. Il pentimento nazionale è necessario. Saranno capaci quelli che prenderanno il potere in Russia, di inginocchiarsi a Buča, a Kharkiv e a Mariupol’ e ovunque i nostri carri armati sono arrivati, a Praga, a Budapest, a Vilnius, a Groznyj, a Tbilisi? È necessaria la punizione dei criminali di guerra. Ma chi farà i processi e manderà in galera chi ammazza gli ucraini e sostiene questa guerra infame? I criminali di guerra stessi? Chi organizzerà libere elezioni? Quelle migliaia di insegnanti spaventati che fanno i brogli per Putin? Come sostituire le centinaia di migliaia di poliziotti, giudici e funzionari statali? Come sostituire il popolo di questo gigantesco Paese? Forse, quando i nuovi Putin prenderanno il potere, l’Occidente gli tenderà pure la mano, perché promettono di fare la guardia ai missili nucleari. E la storia russa si mangerà un’altra volta la coda. In quest’ultimo anno di guerra ho capito che cosa intendesse Kazimir Malevič con il suo Quadrato nero. L’artista aveva percepito con grande precisione il futuro: la Prima guerra mondiale, la guerra civile e il gulag. Ora la Russia è di nuovo un quadrato nero.