Il film di Albert Serra sul torero peruviano Andrés Roca Rey porta il documentario in un territorio inesplorato e violento, persino ostile allo spettatore. Ed è proprio questo a renderlo una delle opere fondamentali della storia recente del cinema.
Siamo arrivati alla lista dei migliori libri dell’anno, in tempo per regali e autoregali di Natale. Hanno alcuni tratti in comune: sono spesso libri in cui i protagonisti o le protagoniste si trovano in “un’età di mezzo”, in cui li vediamo crescere, dalla giovinezza, e arrivare fin qui, tra i fine trenta, i quaranta o i primi cinquanta, come Nella carne, Nirvana, Cuore l’innamorato o Gli antropologi. Sono libri che parlano del nostro tempo, da un punto di vista sociologico, di abitudini e costume digitale, come nel caso di Rifiuto o Il mio primo libro, ma anche politico: e qui parliamo di Sangue nelle macchine o Un giorno tutti diranno di essere stati contro – ma anche un po’ di Orbital. C’è un libro che forse è un po’ un unicum, ed è Lo sbilico di Alcide Pierantozzi, così forte, intimo e difficile da identificare – e per tutti questi motivi è in questa lista. Ci sono due libri che hanno vinto il Booker – Szalay nel 2025, Harvey nel 2025 – e uno che ha vinto il National Book Award – El Akkad. Buone letture, siamo sicuri che lo saranno.
David Szalay, Nella carne (Adelphi)
Traduzione di Anna Rusconi
La storia di un uomo, nato nell’Europa dell’est, che attraversa mezzo secolo di storia: il crollo del comunismo, la guerra in Kuwait, l’Unione Europea e il grande allargamento, e poi il Covid e il conseguente lockdown. È stato descritto come un romanzo sulla mascolinità, cosa in parte vera, ma non così tematizzata. È, ha scritto qui Davide Coppo «una riscrittura esplicita, aggiornata al mondo globale, del Barry Lyndon di Stanley Kubrick (non quello di Thackeray, che è diverso)… la parabola dell’ascesa e dell’inevitabile caduta di un uomo che riesce a scalare tutte le tappe dell’ascensore sociale, senza riuscire ad aggrapparsi a niente prima di scivolare nel vuoto». Ma soprattutto, ha scritto Cristiano de Majo nei “libri del mese” di dicembre, «è un gran romanzo, uno di quei romanzi da leggere se si ha bisogno di pagine in cui cadere dentro. Pagine che peraltro non sono neanche così avvolgenti sul piano della forma, ma secchissime, tirate, essenziali nel modo in cui seguono la parabola di questo self-made man che attraversa la storia recente». Ha vinto il Booker 2025 e, non solo per questo motivo, è senz’altro il libro di cui si è più parlato quest’anno.

Ayşegül Savaş, Gli antropologi (Feltrinelli Gramma)
Traduzione di Gioia Guerzoni
Forse il “grande romanzo” sui Millennial, sugli expat, su una generazione che fatica ad adattarsi e a diventare davvero adulta non ci sarà mai. Perché saranno tutti “piccoli romanzi”, intimi, ognuno malinconico, caustico, preciso a modo suo. Uno di questi è Gli antropologi. Asya e Manu, i protagonisti del romanzo, sono una coppia di Millennial e stanno insieme da diversi anni. Vivono in una grande città occidentale, ma provengono da altri Paesi che non si sa quali siano. «Quel senso di sradicamento, di mancata comprensione del contesto e del proprio ruolo al suo interno non riguarda solamente gli expat ma anche molti trentenni, impostori di una vita adulta in cui faticano a riconoscersi e di cui spesso sentono di dover mettere in scena un simulacro», ha scritto Arianna Montanari nella sua recensione. A tenere insieme la narrazione c’è la ricerca della casa che i due protagonisti vogliono acquistare, «quella vaga inquietudine di quando l’agente immobiliare spalanca la porta su un appartamento sconosciuto, dove accadono vite sconosciute, e tocca a noi capire se è il posto giusto per noi, se è possibile immaginare la nostra vita lì dentro», scrive ancora Montanari. La scrittura è delicata, quasi sospesa, e infatti Savaş ha raccontato di aver scritto Gli antropologi durante il tempo sospeso della pandemia. Una storia di formazione tardiva, una storia d’amore, una storia sul contemporaneo e sui legami che sono possibili in questo mondo.

Tony Tulathimutte, Rifiuto (Edizioni E/O)
Traduzione di Vincenzo Latronico
È stato uno dei libri più apprezzati e discussi del 2024 negli Stati Uniti, e lo eleggiamo tale anche in Italia nel 2025. Rifiuto è una raccolta di racconti tra loro collegati che esplorano con puntiglio le viscere dell’internet odierno, tra maschi performativi che si professano ultra-femministi, pornografia bizzarramente estrema e complottismi estremamente complessi. Un altro romanzo estremamente Millennial o Gen Z, se volessimo crearne una questione generazionale. Un libro a tratti comico, a tratti deprimente. Uno sguardo preciso su come la tecnologia impatta sulle nostre vite, sulle identità social che ci costruiamo, su quanto siamo diventati imbranati a trovare un equilibrio tra vita online e vita “in real life”. Con tutto il suo slang digitale (molte conversazioni sono di messaggistica istantanea) sembrava un’impresa tradurlo, e invece ci è riuscito egregiamente Vincenzo Latronico.

Alcide Pierantozzi, Lo sbilico (Einaudi)
È un libro duro, Lo sbilico di Pierantozzi, fatto di immagini forti, una lingua straordinariamente poetica eppure precisissima, un’indagine psicologica senza sconti. Come ha scritto Angela Bubba nell’intervista all’autore su queste pagine: «Parlare de Lo sbilico (…) è fare filologia di un lungo atto dove carnefice e vittima sono una sola persona: l’autore, precisamente un quarantenne, uomo geniale e fragilissimo che racconta la sua quotidianità non comune, vissuta all’ombra di un disturbo psichiatrico». Un libro che non è invenzione ma nemmeno autofiction. Pierantozzi stesso ci spiegava: «Ho scritto ricoprendo tre incarichi: quello dell’invasato che tira fuori tutto da sé stesso, quello dell’interprete razionale che prova a tradurlo, e quello di un altro interprete che litiga col primo. Sono diventato il filosofo della mia follia, e per farlo non ho potuto inventare niente – tranne, a un certo punto, le montagne innevate a Carpi. L’ho fatto apposta, come a dire: guardate che tutto il resto è vero! Non lo definirei un romanzo, forse è una testimonianza».

Tommy Wieringa – Nirvana (Iperborea)
Traduzione di Claudia Di Palermo
È un libro che non ha goduto dello stesso battage di Nella carne, ma che ha iniziato a circolare quasi silenziosamente tra i lettori italiani, anche perché se lo leggi, è quasi automatico consigliarlo. Nirvana è un romanzo-romanzo, anzi quasi un romanzo famigliare, un po’ Buddenbrook, un po’ Le correzioni, anche se non è corale, perché il focus è molto forte su un personaggio soltanto, Hugo Adema, rampollo di una famiglia di ricchissimi armatori/petrolieri olandesi, fratello gemello di Willem e, a differenza sua, fuori dal business di famiglia per scelta. Hugo è un artista contemporaneo di successo nel mezzo di una crisi. Lasciato dalla sua bellissima fidanzata, vive un momento di smarrimento anche da un punto di vista creativo. È in questo stallo personale che prende forma il dubbio che la storia della sua famiglia nasconda una terribile verità che riguarda il nonno, centenario ancora in vita, e il suo passato nazista. Wieringa ci conduce in questa storia con mano sicura e gusto per il dettaglio, dosando luci (bellissime le pagine ambientate a Ibiza) e ombre (molte) per costruire una parabola sul potere e la grettezza occidentale, che fa pensare a una versione letteraria ed europea di Succession. Ma più pessimista.

Omar El Akkad, Un giorno tutti diranno di essere stati contro (Feltrinelli Gramma)
Traduzione di Gioia Guerzoni
«Un giorno, quando sarà facile, quando non ci sarà alcun rischio personale nel chiamare le cose con il loro nome, quando sarà troppo tardi per ritenere qualcuno responsabile, tutti diranno di essere stati contro». Era il 25 ottobre del 2023 quando Omar El Akkad pubblicava questo post su X, sotto le parole scorrevano le immagini di Gaza ridotta in polvere. Diversi milioni di visualizzazioni dopo, quel post è diventato il titolo di un libro, Un giorno tutti diranno di essere stati contro. Quel “tutti” è da prendere per quello che significa, cioè proprio tutti, non (come spesso ci viene comodo fare) tutti gli altri: nessuno si senta escluso, come cantava quello. Siete per sempre coinvolti, come cantava quell’altro. In una serie di brevi saggi, El Akkad si sceglie il nemico più temibile di tutti: la moderazione. Per sua stessa intenzione, nel libro El Akkad non vuole dire quello che tutti – anche chi non ha ancora il coraggio di ammetterlo – sanno di Gaza: quello che la morte non è riuscita a smuovere sicuramente non verrà smosso dalle parole. Un giorno tutti diranno di essere stati contro è invece il racconto di «una frattura», scrive El Akkad, il momento in cui milioni di persone in Occidente hanno scoperto di essere ormai irrimediabilmente separati da un’idea che, in fondo, è sempre esistita anche in chi la avversava o la negava pubblicamente: che Occidente significasse qualcosa di più che questa metà del mappamondo, o che quantomeno così dovrebbe essere, a questo dovremmo aspirare. Dopo Gaza, non più.

Samantha Harvey, Orbital (NN Editore)
Traduzione di Gioia Guerzoni
Un altro libro decisamente fuori dai canoni, come sono molti, d’altra parte, in questa lista. Orbital, vincitore del Booker Prize 2024, è un romanzo che ha molto poco di romanzesco. È ambientato in un giorno soltanto sulla International Space Station: a circa 400 chilometri dal livello del mare e girando intorno al pianeta per 16 volte al giorno a una velocità di 27 mila chilometri all’ora, passiamo 24 ore con sei astronauti. Pietro, un italiano; Nell, un’inglese; Chie, una giapponese; Shaun, un americano; Anton e Roman, entrambi russi. Una giornata della ISS è fatta di 16 albe e 16 tramonti, ed è una prova psicologica non indifferente. Del libro scrivevamo a febbraio: «Come in un un Mrs Dalloway spaziale, la narrazione in Orbital si muove lentamente tra le questioni personali dei protagonisti e un pensiero panteistico provocato da quella lontananza dal pianeta che coinvolge anche noi, dall’altra parte della pagina. Harvey testa il linguaggio a una prova estrema, e con le descrizioni, in ogni capitolo (in ogni orbita) del pezzetto di Terra che si vede dalla Stazione, riesce ad accendere quel sentimento intraducibile che gli inglesi chiamano “awe” e che sulla Ruota delle emozioni di Plutchik sta a metà strada tra la sorpresa e la paura».

Lily King, Cuore l’innamorato (Fazi)
Traduzione di Mariagrazia GiniÈ una carriera singolare quella di Lily King, che ha esordito nel 1999 ma ha raggiunto un successo di critica e pubblico soltanto nel 2014, con Euforia, uscito in Italia per Adelphi. Con l’ultimo romanzo, Cuore l’innamorato (titolo originale: Heart the Lover, un gioco di carte a cui giocano i protagonisti), King si è decisa a spezzarci il cuore come non mai. La storia inizia come un triangolo amoroso, decisamente un tema caldo di questi tempi (ne scrivevamo qui: chiedere a Challengers, o Passages), ma sboccia quando, terminati gli anni dell’università in cui i tre protagonisti (una donna, due uomini) si sono incontrati e incrociati, si ritrovano in due. Lei, Jordan, e lui, Yash. Dove sono andate le loro vite ora che la giovinezza è finita? In posti pieni di rimpianto, di cose non dette, di felicità e dolore. Una storia toccante sulle opportunità perse, sul diventare adulti (ancora, anche qui), sulla morte.

Honor Levy, Il mio primo libro (Mercurio)
Traduzione di Chiara Manfrinato
Come quello di Tulathimutte, anche questo è un libro che risponde alla domanda “quali libri raccontano le nuove generazioni” e che non a caso è stato sponsorizzato da Bret Ellis come “la voce della nuova letteratura”. Nata a Los Angeles nel 1997, Honor Levy è stata una delle principessine dell’ormai appassita scena anti-woke di Dimes Square, e attualmente è attiva su Instagram con 7 account ossessivamente progettati e curati. Tocca ammettere, però, che sa anche scrivere, e che questo libro è la risposta perfetta alle lamentele dei Millennial sull’assenza delle chat, dei social e delle “cose di internet” nella letteratura contemporanea. È un libro fatto soltanto della nostra vita al pc e al telefono, che in effetti è dove passiamo la maggior parte della nostra vita. Come ha scritto qui Clara Mazzoleni «è un ritratto delirante, velenoso, apocalittico – a tratti idiota e a tratti profondissimo – del disgraziato momento storico in cui viviamo, tutto decorato di emoji kawaii».

Brian Merchant, Sangue nelle macchine (Einaudi)
Traduzione di Daniele A. Gewurz
Il luddismo lo studiamo a scuola come un movimento di strani bifolchi anti-progresso. Ma era davvero così? Questo saggio dice di no. I luddisti – dal nome di un leggendario condottiero, tale Ned Ludd – non erano affatto dei passatisti, anzi: avevano capito le macchine meglio di tutti, avevano capito cos’era l’automazione dei telai e cosa avrebbe comportato per loro e per la loro società, nei primi anni del 1800. Il loro nemico non era le macchine in sé, ma i proprietari delle fabbriche che intendevano utilizzarle per aumentare i profitti, abbassare la qualità dei prodotti, assottigliare le già striminzite paghe, distruggere il tessuto sociale comunitario. Per anni all’inizio del secolo, organizzati in bande clandestine e quasi paramilitari, davano fuoco la notte ai telai meccanizzati e alle fabbriche, non per rallentare un progresso ineluttabile, ma per rivendicare diritti fondamentali da uomini e lavoratori. In Sangue nelle macchine Brian Merchant traccia la controstoria di un movimento, che oggi è necessario approfondire con un occhio al presente. Rivoltarsi contro la divinità del profitto. Contro la pervasività del lavoro in ogni minuto della vita. Contro un sistema tecnocratico che calpesta la cultura e le tradizioni. Suona familiare?

Il film di Albert Serra sul torero peruviano Andrés Roca Rey porta il documentario in un territorio inesplorato e violento, persino ostile allo spettatore. Ed è proprio questo a renderlo una delle opere fondamentali della storia recente del cinema.
Il libro, uscito 20 anni fa in Francia ma solo adesso in Italia, è il racconto in immagini e parole della breve storia d'amore con il fotografo Marc Marie, attraverso il quale Ernaux tocca tutti i temi che caratterizzano la sua letteratura.
La gioventù e la vecchiaia, la diversità e il conformismo, la Toscana e la metropoli: intervista al frontman del gruppo che ha appena raggiunto un traguardo importante festeggiando con due concerti, a Roma (la scorsa settimana) e Milano (stasera).
