Arriva oggi in libreria Gli amanti della notte, il nuovo libro dell’autrice di Seni e uova e Heaven, una storia di solitudine, alcolismo, ossessione amorosa e amicizia femminile.
Mieko Kawakami, 49 anni, bellissima e raffinata, arriva sotto il porticato del palazzo storico mantovano dove abbiamo appuntamento schermandosi dal sole con un ombrellino di carta. È tutta la vita che scrive, ma da quando gli americani hanno deciso che era una degna di nota, il suo successo è diventato planetario, i suoi libri sono pubblicati in tutto il mondo, in Italia è stata perfino testimonial della Maison Valentino, ma nonostante la sua aria distinta e incredibilmente giovane, i fotografi si guardano bene dall’avvicinarla perché sanno che concede l’immagine solo al suo entourage. Allevata da una madre single, a quattordici anni lavorava in una fabbrica di ventilatori, come molte delle sue giovani e agguerrite protagoniste di estrazione proletaria. All’inizio, pubblicava solo sui blog per bypassare il maschilismo dell’industria editoriale. Quando Seni e uova uscì in Giappone, l’allora governatore di Tokyo, un’ex romanziere, lo definì «sgradevole e intollerabile». In seguito, durante un programma televisivo nazionale, ardì accusare di sessismo Haruki Murakami, che pure l’aveva sostenuta. Adesso è sposata con uno scrittore di cui ha surclassato la fama, e conserva nei suoi modi – e nella sua poetica – qualcosa della gioia infantile, quando ferma il suo codazzo per chinarsi a salutare un cane o a fotografare un gelato da postare, nel caos del Festival della Letteratura.
ⓢ Il tuo incipit più citato dice che se vuoi sapere quanto è ricco qualcuno, devi contare quante finestre ha in casa. Sei stata cresciuta da una mamma sigle della working class e hai iniziato a lavorare molto presto. Si può dire che la tua infanzia abbia formato buona parte del tuo mondo narrativo?
Sono cresciuta in una famiglia monogenitoriale e col senno di poi mi sono resa conto di essere cresciuta un una famiglia povera. Ovviamente quando ero bambina non avevo idea che tutto questo avrebbe avuto un legame con la letteratura. Me ne sono resa conto alla mia terza opera: ho capito quanto l’ambiente da cui provenivo fosse vitale per la mia scrittura.
ⓢ Uno dei tuoi personaggi più noti è una scrittrice che sta provando ad avere un figlio senza coinvolgere un uomo. La procreazione asessuata è parte di un plot surreale o una possibilità di un futuro auspicato?
Questa trama ha avuto da subito molte interpretazioni: c’è chi vi ha visto una denuncia delle disuguaglianze sociali, chi una lettura in chiave femminista, chi un manifesto a favore dell’anti-natalità. Era mia intenzione scrivere un’opera che si prestasse a letture molteplici. Posso dire che se c’è una tematica comune a tutte le mie opere, è l’innocenza. Alla base di Seni e uova, c’era una domanda che mi sono posta: chi stabilisce chi ha diritto di diventare genitore? Come può una donna come Natsuko mettere al mondo un figlio? Come può una persona che è innocente anima e corpo incontrare la sua prole? E da questa domanda sono partita: come posso parlare di questo processo senza ricorrere alla fantascienza e al fantasy, ma in maniera realistica? È così che è nato il romanzo, che per me è la storia della sopravvivenza di una donna sola.
ⓢ Hai parlato di innocenza. Tu hai un grande interesse narrativo per gli adolescenti.
I protagonisti di Heaven hanno 14 anni, un’età molto precisa in cui non si è più né bambini né adulti. Si tratta dell’ultima finestra di innocenza. Oggi abbiamo una certa consapevolezza sul bullismo, ma negli anni Novanta, in cui le vicende sono ambientate, il bullismo era una specie di zona grigia, così come le punizioni corporali quali forma educativa. Da un lato, sappiamo che la violenza è male e lo sapevano anche allora, eppure negli anni Novanta quelle cose erano ammantate da un velo di ambiguità. Quattordici anni mi sembrava l’unica età possibile per far riverberare al massimo il vissuto dei protagonisti, la storia della loro amicizia e del loro essere vittime. Non poteva essere né 13 né 15 anni.
ⓢ È vero che ci sono molti adolescenti anche tra i tuoi lettori?
Sì. Ho iniziato a scrivere 18 anni fa e i giovani mi leggevano. Ed è incredibile che chi era adolescente all’epoca oggi ha delle figlie che vengono ai miei firmacopie.
ⓢ Siamo alla seconda generazione di fan!
Oggi coi social ricevo tantissimi dm su Instagram da adolescenti soprattutto stranieri che hanno letto Heaven. Ragazzine e ragazzini. Mi mandano video messaggi in cui piangono e raccontano di come Heaven sia diventato la loro bibbia.
ⓢ Trovi il tempo per rispondere?
Cerco sempre di farlo. È molto facile mettere un cuoricino. Lo può fare chiunque. Quando invece trovo questi messaggi tradotti in giapponese con l’intelligenza artificiale in cui loro mi dicono che Heaven è la loro storia, mi si riempie il cuore e cerco di rispondere nel mio inglese zoppicante a quante più persone possibili.
ⓢ Nei tuoi libri, c’è la rabbia femminile, quella adolescenziale e quella sociale. E la rabbia si manifesta in modi bizzarri. In Seni e uova, una ragazzina si rompe 12 uova in testa. In Heaven, una giovane si ribella al bullismo smettendo di farsi la doccia, lasciandosi crescere i peli e tagliando ogni cosa con le forbici. Trovi efficace dipingere la rabbia in modi mai visti?
Sono molto contenta che tu mi abbia fatto questa domanda. Tu hai parlato di rabbia, ma noi diamo questo nome a un’emozione con infinite sfumature. È molto importante evidenziare l’unicità delle emozioni a cui non possiamo dare un’etichetta precisa. Tu hai citato l’atto di Kojima di tagliare con le forbici. Non tutte le persone che leggono interpretano il tagliare come rabbia: potrebbe essere un’espressione di dolore o tristezza. Quello che cerco sempre di fare attraverso azioni dimostrative è di dare forma a emozioni che non sono ancora mai state scritte.
ⓢ Mi ritrovo molto. Leggendo i tuoi libri, si ha spesso la sensazione di meravigliarsi come la prima volta di fronte ai misteri della vita e della morte. Penso a Fuyoko degli Amanti della notte, a quando dormendo si immagina di essere un leone, e alla sua passeggiata notturna annuale in cui si sente viva. Lo stupore che sai risvegliare è una qualità dell’anima, o una tecnica che hai potuto affinare?
In realtà non penso di cercare questo effetto intenzionalmente. Posso dirti che mi piace molto ascoltare gli altri per capire come funziona il cervello delle altre persone, come pensano. Credo che quella che tu evidenzi sia un’abilità che ho acquisito col tempo e che trova forma nella scrittura. La scrittura in quanto tale è tutta una metafora. Quando scrivo cerco di pensare a scene mai scritte, diverse da tutto quello che ho mai letto, e ciò di cui parli è l’esito di questa ricerca. Inoltre, bisogna tenere conto del fatto che i lettori sono tutte individualità diverse, e per fare in modo che quante più persone si possano identificare, è necessario che il romanzo possegga una sua unicità: qui risiede tutto il mio sforzo artistico.
ⓢ Hai detto di avere iniziato a scrivere per esplorare le stranezze della vita umana. Ma hai anche detto di voler cambiare lo stereotipo della letteratura giapponese “stramba e misteriosa”. Come fai a esplorare la stranezza, senza risultare bizzarra?
L’ho detto. È vero che in molta narrativa contemporanea giapponese, specie femminile, prevale la nota del bizzarro. Io però non voglio parlare di quel tipo di stranezza così in voga. Io penso che la stranezza non risieda nelle figure tanto fuori dall’ordinario, ma che sia qualcosa di molto meno vistoso, direi di dimesso, come può essere banalmente la povertà. E penso che per descrivere questa sofferenza nei confronti della vita non ci sia bisogno di rincorrere tutta quella bizzarria.
ⓢ Quest’anno i due principali premi letterari, Akutagawa e il Naoki, non sono stati attribuiti. So che tu sei nella giuria dell’Akutagawa, sai spiegarci come mai?
Beh, l’Akutagawa è un premio per esordienti, quindi non rappresentativo dell’intero panorama letterario giapponese. È però anche un premio che può incrementare molto le vendite di un romanzo, un premio che cambia la vita di uno scrittore. Ci sono nove giurati e il premio viene assegnato solo quando si raggiunge la maggioranza. Che siano delle persone a dare un giudizio oggettivo su un romanzo è di per sé assurdo, ma stabilita questa assurdità, noi cerchiamo di lavorare in modo serio. Ci si riunisce e si discute molto perché 5 persone su 9 devono essere d’accordo. Qualcuno può spingere tanto per un’opera o osteggiarla, ma se non convince gli altri si rimane fermi. L’attribuzione è frutto di lunghissime concertazioni. Come per tutti i premi, non solo letterari, a volte le opere premiate possono essere straordinarie o meno, e ci sono opere meritevoli anche tra quelle escluse. Murakami Haruki ad esempio non ha vinto l’Akutagawa.
ⓢ A proposito di Murakami Haruki. Sei stata così coraggiosa da andare in tv e chiedergli della mera funzione sessuale di alcuni suoi personaggi femminili. E sei indignata perché molte mogli giapponesi chiamano ancora il marito shujin, padrone. Avendo sposato uno scrittore maschio, come hai portato avanti nel privato la tua battaglia pubblica?
Nessuno di noi vive da solo, ma ciascuno vive immerso all’interno di una società. Io ora sono qui a Mantova e starò via 3 settimane e penso: che cosa mangerà mio figlio? E mi chiedo: se mio marito va via 3 settimane, se lo domanda? Probabilmente no. Io credo che questa stereotipizzazione dei ruoli di genere è qualcosa che abbiamo talmente incamerato da non sapere più nemmeno se pensare ai bisogni di un figlio è qualcosa che vogliamo fare o che ci è imposto. Io non so più che cosa voglio io e cosa mi è dettato. Oggi, le cose sono cambiate molto. In un passato recente, io avrei avuto uno stigma sociale se avessi lasciato mio figlio tre settimane. Mi avrebbero detto: ma dove credi di andare? Oggi ci sono tanti modi diverse di essere madre e anche di essere padre e io penso che stiamo andando nella direzione giusta. Purtroppo, però, noi viviamo una volta sola: non possiamo dire ora costruiamo un mondo migliore così poi vivremo un’altra volta. No. Tutto quel che possiamo fare è affrontare di volta in volta le singole situazioni cercando di fare sempre meglio.

Il nuovo film della regista di Past Lives era atteso come il rinascimento della romcom. Vedendolo, invece, si capisce che le romcom forse non torneranno mai perché non c'è più nessuno che sappia farle.