La trasformazione delle popstar da bad girl a sposine

Lana Del Rey, Charli XCX, Selena Gomez, Taylor Swift, Dua Lipa, tutte spose o promesse spose: forse il futuro del matrimonio è diventare un trend.

21 Ottobre 2025

Penso al matrimonio come a un sodalizio, a un patto tra due persone che si scelgono e portano avanti una conversazione iniziata per affinità elettiva. In questo senso, il matrimonio per me non è che una presa di coscienza, un attestato di stima reciproca, di gratitudine consapevole. Avere una bella conversazione, e riuscire a portarla avanti nel tempo, non è affatto semplice. Congratulazioni a chi ci riesce!

Ho sempre avuto l’impressione che la donna che sceglie di sposarsi fosse vista come una che abdica alla propria indipendenza, rinuncia alla propria autonomia, a uno status faticosamente conquistato, e si piega a un’istituzione retrograda e patriarcale. Gli uomini, in questo contesto, mi sono sempre sembrati più agenti passivi che attivi: alla fine, è la donna che decide di sposarsi. Ma il matrimonio, per me, non è diverso da una coppia che funziona e che si mantiene in equilibrio proprio perché entrambi i componenti hanno lo stesso peso.

Il matrimonio della mia popstar preferita

Ed è proprio per questo che, quando cinque tra le più grandi pop star femminili del mondo si sposano o si fidanzano nel giro di dodici mesi, non posso fare a meno di osservare. Lana Del Rey si è sposata a settembre 2024, Charli XCX a luglio di quest’anno, Selena Gomez a settembre, mentre Taylor Swift e Dua Lipa hanno entrambe annunciato il fidanzamento quest’estate. Cinque donne le cui carriere si sono costruite su una narrazione di indipendenza, ribellione o autonomia emotiva, accomunate da testi in cui l’amore è spesso complicato, fallito o tossico. La loro immagine pubblica, negli anni, ha incarnato la figura della donna autonoma, capace di conquistare il proprio spazio in un mondo plasmato da stereotipi maschili. Eppure, in un solo anno, il matrimonio è diventato parte della loro estetica, della loro narrazione pubblica e del loro storytelling visivo.

Non che mi interessi della vita privata di persone che neanche conosco e, a dire il vero, in alcuni di questi casi mi interessa poco anche della musica. Ho sempre pensato, però, che la musica, soprattutto quella pop, fosse un termometro culturale, che riflette, anticipa, o reagisce a un più ampio clima sociale, culturale e politico, più di qualsiasi altra forma artistica. Non riesco a non pensare come, durante l’era Obama, il rap e la trap dominassero le classifiche internazionali, raccontando storie di identità, rivincite sociali e possibilità. Dov’è finita la trap, oggi? Obama è stato il primo Presidente afroamericano degli Stati Uniti, e il suo successo ha acceso una riflessione più ampia sulle questioni razziali, ma pure di genere e, più in generale, sociali. La musica di quel tempo rifletteva un diffuso senso di ottimismo, amplificando il senso di possibilità e fiducia che caratterizzavano quegli anni. Un clima che riguardava gli Stati Uniti, certo, ma che, per l’influenza globale della cultura e della politica americana, si estendeva anche al resto del mondo occidentale.

Sempre negli ultimi anni, i brani delle principali interpreti pop femminili celebravano una donna autonoma, forte, sicura, sexy, padrona della propria sessualità, indipendente, libera, aggressiva. Era il 2020 quando Doja Cat cantava “I’m a bitch, I’m a boss, I’m a bitch Imma shine like gloss” Questa rappresentazione era diventata talmente invadente e pervasiva nei testi delle canzoni, ma anche sui social network, da spingere Lana Del Rey a sfogarsi con un post su Instagram, scrivendo: «Now that Doja Cat, Ariana, Camila, Cardi B, Kehlani and Nicki Minaj and Beyoncé have had number ones with songs about being sexy, wearing no clothes, fucking, cheating etc – can I please go back to singing about being embodied, feeling beautiful by being in love even if the relationship is not perfect, or dancing for money – or whatever I want – without being crucified or saying I’m glamorizing abuse??????». Come ti capiamo, Lana. I testi di Lana Del Rey hanno sempre percorso un sentiero diverso: seppur diversi da quelli delle sue colleghe, sono testi poco compatibili con il registro narrativo del matrimonio, fatto di stabilità, continuità, reciprocità.

Anche sposarsi è una performance

Mi chiedo, allora, come l’esperienza del matrimonio influenzerà i testi delle loro produzioni future, e come verranno recepiti dai fan e dalle fan. Come nota Catherine Shannon nel suo Substack Catherine, la cultura recente ha premiato l’affermazione e il prestigio economico individuale, oltre a emozioni intense come rabbia, brama di affermazione, desiderio di riscatto e rivincita, o sentimenti più fragili come ansia, tristezza, paura, emozioni e pulsioni che trovano grande spazio nelle piattaforme regolate da algoritmi, in quanto capaci di generare attenzione, coinvolgimento, identificazione. Le qualità che penso siano alla base di un buon matrimonio, come il coraggio, la contentezza, la pazienza, la generosità, l’integrità, hanno lo stesso peso performativo?

Se da un lato tutte queste artiste hanno ormai raggiunto un’età da matrimonio, la loro vita privata non è mai solo una scelta personale: vendono un prodotto culturale e la loro stessa immagine è una forma di capitale. I loro matrimoni, o anche solo l’annuncio di essi, diventano subito eventi di costume, episodi simbolici che rimbalzano su social, podcast, riviste, nelle conversazioni quotidiane. Donne che hanno costruito la loro carriera sul mito dell’indipendenza, o dell’amore complicato, improvvisamente introducono il matrimonio nella propria narrazione. Non come obbligo sociale, non come vincolo, ma come atto estetico e narrativo, che si integra nella loro immagine pubblica e mediatica. In fin dei conti, brat non è il primo termine che mi viene in mente se penso al matrimonio. C’è stata una sorta di riappropriazione estetica e simbolica di un’istituzione conservatrice, come se all’improvviso queste artiste si fossero accorte che forse la vita in due non è meno interessante della vita da sole. Che si può amare in modo sano, che ci si può scegliere. Il sì detto all’altare diventa allora possibilità di controllo, una decisione performativa di libertà. Ciascuna in maniera diversa, ognuna con la propria estetica, si appropria del concetto di matrimonio, rendendolo, in qualche modo contemporaneo, cool.

Non intendo entrare nel merito del matrimonio, né sondarne dati o tendenze, eppure mi sembra che la sua percezione stia cambiando, e mi chiedo da cosa dipenda. Tutto quello che fanno queste artiste nasce da un’opportunità, dalla domanda: cosa vende di più? Che narrazione funziona meglio, oggi? Il loro prodotto è plasmato dalla domanda, e insieme finisce per orientarla, ridefinendo i desideri e le aspettative di chi lo ascolta. Annunciare, celebrare, mostrare il proprio matrimonio diventa parte del loro storytelling, parte del prodotto culturale che propongo. C’è qualcosa di paradossale e allo stesso tempo profondamente contemporaneo, in questo gesto. Ed è un gesto che parla di desiderio di stabilità. È come se, in un clima mondiale segnato da incertezza, paura, confusione, cambiamento, guerre e da una percezione diffusa di difficoltà a progettare il futuro, la narrazione della donna autonoma, forte, che tutto può e tutto conquista, stia cominciando a mostrare delle crepe, in favore della ricerca di legami più stabili, profondi e autentici, su cui poter contare e fare affidamento. In un periodo in cui l’autodeterminazione sembra sempre più difficile da realizzare, ritrovarla almeno nella propria vita sentimentale e relazionale, dà conforto, sicurezza, un senso di controllo e, forse, un modo per sentirsi meno soli. Questo le fa apparire più deboli? Ai miei occhi, no, anzi, suggerisce una forma diversa di forza, consapevole e moderna, fatta di libertà e scelta.

Perché continuiamo a sposarci?

Esistono delle ragioni pratiche, certo. Ma è vero anche che per chi si sposa oggi il matrimonio è un'occasione per raccontarsi, distinguersi, talvolta anche "esibirsi".

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