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L’ansia da Spotify Wrapped è talmente grave che migliaia di persone hanno creduto a una bufala su una versione modificabile disponibile a pagamento Evidentemente, quella di scoprire di avere dei brutti gusti musicali scorrendo il proprio Wrapped è una paura più diffusa di quanto ci si immagini.
Jafar Panahi ha detto che dopo gli Oscar tornerà in Iran e andrà di nuovo in carcere Mentre era a New York per una premiazione, ha scoperto di essere stato condannato a un anno di carcere per «attività di propaganda».
Secondo Cahiers du Cinéma il film dell’anno è un documentario su un torero peruviano Un film che, per la redazione di Cahiers, è meglio anche di Una battaglia dopo l'altra di Paul Thomas Anderson, secondo in classifica.
La pagina Wikipedia più letta nel 2025 è stata quella di Charlie Kirk Con 45 milioni di visualizzazioni, la pagina dedicata a Kirk ha superato quelle di Trump, del Papa, di Musk, di Mamdani e pure di Superman.
Il nuovo trend di TikTok sono i video anti immigrazione generati con l’AI Milioni di visualizzazioni per video apertamente razzisti e chiaramente falsi che incolpano i migranti di crimini che non sono mai avvenuti.
In Cina le persone stanno andando a vedere Zootropolis 2 insieme ai loro cani e gatti Alcuni cinema cinesi hanno organizzato proiezioni pet friendly per vedere il film Disney con i propri animali domestici.
Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.

Storia della moda per principianti

Instant Moda di Andrea Batilla è il tentativo di raccontare un mondo, spesso bistrattato, che ha fatto la storia (e l’economia) dell’Italia.

04 Dicembre 2019

È vero che la moda non va più così di moda? Probabilmente sì, almeno non nella forma che per prima viene alla mente quando la si nomina. È vero che la moda oggi non è più uno di quegli asset imprescindibili per una definzione identintaria e il racconto di sé. È facile osservare (basta dare un occhio ai soliti stramaledetti socialini), che le leve per il posizionamento personale sono diventate le più diverse: dai viaggi alla tecnologia, dalla spiritualità al food, dal fitness alle fotine sporcaccione alle militanze più variegate. Addirittura le influencer più corporate, nate blogger, dissimulano ormai il product placement in contenuti che devono apparire il più possibile organici.

È altrettanto facile constatare che il racconto che la moda mainstream fa di se stessa fatica ad uscire da quel pantano di postmoderno che furono gli anni ‘80. C’è un qualcosa di comprensibile e umano in questo. La moda ricorda se stessa nel momento di massimo splendore, come una Norma Desmond che resta attaccata alla propria immagine cristallizzata sugli schermi muti dell’epoca d’oro di Hollywood, prima del venerdì nero del ’29. Ora che le Instagram Stories hanno ucciso gli applausi a fine sfilata, cosa ci resta? Una bolla di appassionati che condividono poca magia e ossessioni estemporanee che sembrano più trovate da agenzia creativa (micro-borsette ironiche, macro-sneakers parodistiche) che visioni di un presente o futuro possibili, di umani immaginati e immaginari nonché di soluzioni estreme o assurde alle questioni del mondo. Non sempre, non tutti, ci mancherebbe altro. Eppure è un dato che per regalarci sogni potentissimi su larga scala anche un colosso macina-fatturati come il Gucci di Alessandro Michele e Marco Bizzarri, la Pixar del fashion system, ha dovuto studiare un modello di business in cui è il prodotto a sostenere la cultura.

Sembra incredibile, ma c’è stato un tempo, un tempo durato molto a lungo, in cui si poteva osare. E di quel tempo, un secolo più o meno, racconta Andrea Batilla nel suo Instant Moda appena uscito per Gribaudo. Un libro sornione che si piazza tra il sussidiario illustrato, l’antologia arbitraria, il manuale for dummies (ovvero dedicato a chi non ha conoscenza della materia) e la raccolta di racconti di un formidabile battutista. Batilla è del resto la zia modaiola che tutti abbiamo avuto o ardentemente desiderato. Ha collaborato infatti come designer e ricercatore tessile con alcuni dei più importanti marchi del made in Italy, da Romeo Gigli a Trussardi, da Aspesi a Bottega Veneta. È stato direttore di IED Moda Milano e poi co-direttore, insieme a Sabrina Ciofi, di PIZZA, magazine indipendente che negli anni Dieci ha raccontato la creatività italiana.

Auntie Mame del tessile, ci accompagna nella sua cabina armadio ideale e con nonchalance passa in rassegna le meraviglie novecentesche che pendono dalle grucce, accompagnandole a un racconto sempre in bilico tra l’aneddoto e un disegno più grande in cui inserire quel singolo tassello. Un sistema che ha sempre a che fare con il mondo, con le persone, con tutto quello che stava succedendo al di fuori della moda e degli atelier prima e delle passerelle poi. Tira in ballo vecchie storie, serve deliziosi gin and tonic, e più ci prende la mano più si lascia andare a retroscena anche esilaranti, senza mai perdere però un aplomb da gran padrona di casa. Fa della moda una storia di donne, e lo fa un gran bene. Rievocando nomi che sono stati dimenticati non solo dalla memoria collettiva ma anche dalle scuole di moda a causa di noncuranti eredi, malriuscite successioni o di quell’infausta incapacità della moda di fare i conti con il proprio passato, con quel che è stata. Ridona lustro a Madeleine Vionnet, Jeanne Lanvin, Elsa Schiaparelli e Madame Grès, senza lasciarsi scappare lo sfizio di raccontare l’incontro tra la moda e Hollywood attraverso il formidabile genio di George Cukor e del suo Donne. Femminista programmatico, è quasi scolastico quando, col supporto delle belle illustrazioni di Valentina Biasetti, fa la scelta politica di raccontare il made in Italy anche attraverso il lavoro di Rosa Genoni, Germana Marucelli e la Biki.

Personaggi lontani ma portatori sani di una visione magari meno strombazzata e più legata all’artigianalità del mestiere di fare i vestiti, ma sempre fondamentale. Ci sono preferenze giustificate e mai prese di posizione talebane. Alcune potrebbero addirittura essere considerate scottanti, in un mondo che non nega allori a nessuno, e in cui contrariamente a quanto predetto da Arbasino per la letteratura si passa quasi sempre da giovane promessa a venerato maestro saltando a piè pari la fase del “solito stronzo’”. È il caso di Christian Dior che «è stato sicuramente un personaggio fondamentale ma non il dio assoluto che la stampa ci racconta», una dichiarazione capace di scatenare crisi epilettiche anche tra i fashion editor più stoici. Cristóbal Balenciaga è invece indiscutibilmente amato per la sua «parabola ascensionale verso la purificazione estrema delle forme che non dimostra nessun interesse verso quella che già a quel tempo viene chiamata moda». È beffarda ma spassosa anche la scelta dei due soli nomi che secondo Batilla definiscono la moda oggi: Bernard Arnault e François-Henri Pinault, raccontati in tutto in una decina di righe.

Questo libro è a modo suo un manifesto che cerca di cambiare il tono di voce in un mondo (certo non senza colpe e contraddizioni interne) che è spesso bistrattato e deriso, ma che come ogni altra arte applicata, come si diceva un tempo, ha una dignità perché fatta di e da donne e uomini che le hanno dedicato la vita. Attraverso le storie di chi la moda la fa, riavvicina le persone a un lavoro, ai tanti lavori, che hanno fatto la storia e l’economia di questo Paese. E senza teoricismi, alla fine, spiega una verità incontrovertibile: che la moda, con i vestiti, c’entra poco e niente.

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