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Sulle “colpe” di Israele

Perché tra l'editoriale di Haaretz, che attribuisce a Netanyahu una grande responsabilità, e la dichiarazione degli studenti di Harvard, che accusano il regime israeliano, c'è un'enorme differenza.

di Anna Momigliano

Ci sono i fatti, in questo caso fatti atroci, che cambieranno la storia, in peggio, nei decenni a venire, e poi ci sono le reazioni ai fatti, che a volte fanno schifo pure quelle ma di cui ci dimenticheremo nel giro di una settimana. Proprio perché delle seconde presto non ci ricorderemo più, vale la pena di cristallizzarle per un secondo. Mentre dei terroristi attaccavano cittadine, kibbutz, persino un festival, nel Sud di Israele, ammazzando civili, uomini, donne e bambini, stanandoli casa per casa, mentre i terroristi – chiamateli anche “gruppo radicale” come ha fatto il Post, non sono quelle due parole che fanno la differenza – postavano festanti immagini di cadaveri dissacrati, in un raccapricciante cross-over tra Bucha e il Bataclan, capitava che un giornale israeliano pubblicasse un editoriale che accusava il primo ministro: «Il disastro che si è abbattuto su Israele porta la responsabilità chiara di una persona: Benjamin Netanyahu». Quell’editoriale, nella sua versione in inglese, è girato moltissimo sui social occidentali.

Sui social occidentali però è girata moltissimo anche un’altra accusa, lo screenshot di una dichiarazione, firmata da svariate dozzine di associazioni studentesche di Harvard, che decretavano: «Riteniamo il regime israeliano interamente responsabile dei fatti violenti». Il ragionamento era questo: l’attacco terroristico non si è svolto in un vuoto storico, sono decenni che gli israeliani hanno fatto di Gaza una prigione a cielo aperto, sono 75 anni che gli israeliani ammazzano i palestinesi, la priorità adesso è evitare la “rappresaglia coloniale”. Il fatto che le due accuse, quella di Haaretz e quella degli studenti di Harvard, girassero nella stessa bolla, mi spinge a pensare che la gente non ha capito un cazzo.

A questo punto si potrebbe fare un bel discorsetto sul moral high ground, sul fatto che i giornalisti di Haaretz (glasnost: persone che conosco, giornale con cui collaboro) scrivevano sotto i razzi, mentre perdevano amici e parenti, mentre aspettavano notizie di un redattore asserragliato coi figli piccoli in un kibbutz, e invece le Karen di Harvard sputavano sentenze dal New England. Si potrebbe buttarla sul moral high ground, che su internet tira parecchio, ma la verità è che sono due accuse completamente diverse, perché dicono cose completamente diverse.

Cosa intende Haaretz quando dà la colpa a Netanyahu? Che è un incompetente e un pazzoide nazionalista, dove le due cose vanno a braccetto. Da quando è al potere, Netanyahu ha concentrato tutti gli sforzi a consolidare la presenza dei coloni e dell’esercito in Cisgiordania, ma ha di fatto indebolito l’apparato securitario in tutto il resto del Paese. Quando i terroristi sono entrati nei kibbutz e nelle cittadine vicine a Gaza non c’era neanche mezzo soldato, e sì che quelle parti un tempo erano considerate pericolose. Accecato dalla sete espansionistica, ma anche dall’illusione che i terroristi palestinesi non fossero veramente pericolosi (sorpresa: lo sono), Netanyahu ha trasformato l’esercito israeliano in una forza di protezione per il coloni, e abbiamo visto i risultati, per tutti.

Le Karen di Harvard invece dicono altro. Dicono: l’occupazione è disumana, è da mo’ che i palestinesi vengono ammazzati a Gaza, che cosa vi aspettavate? Dicono: la priorità non è evitare che di ripeta il cross-over tra Bucha e il Bataclan, ma evitare che Israele si vendichi. Spero non ci sia bisogno di spiegare perché è moralmente ripugnante, ma forse si può ricordare perché è, fattualmente, suicida, che, se facciamo nostra la prospettiva del “che cosa vi aspettavate?”, si va verso una escalation senza fine. Ora, l’indignazione per la conclusione (ve la traduco: Israele se l’è andata a cercare) non deve evitare di riconoscere che alcuni dei punti da cui partono sono validi. L’occupazione è moralmente sbagliata, è una violazione dei diritti umani e civili dei Palestinesi, e deve finire. Certo, l’occupazione è una delle cause per cui il conflitto continua ad andare avanti, e non si vedono vie d’uscita senza che essa finisca. Ma pensare che sia quella l’origine di tutto, e che basti eliminare quella per porre fine alle violenze significa non avere capito nulla, foss’anche che la guerra tra arabi e israeliani è cominciata da ben prima del 1967. Alle Karen di Harvard non penserà più nessuno tra qualche giorno. Forse non penseranno più neppure loro a quella dichiarazione, visto che a ottobre ci sono gli esami di metà semestre. Per gli altri, quelli per cui la guerra è un incubo, non un’occasione di virtue signalling, il peggio deve ancora venire.