Il cinema in Italia è ancora un’industria economicamente sostenibile?

Viene vissuto come un settore “sanguisuga”, che chiede allo Stato finanziamenti a fondo perduto, ma in realtà l’industria cinematografica italiana è in crescita. E potrebbe continuare a crescere ancora molto.

28 Ottobre 2025

Questo articolo è tratto dal numero di Rivista Studio uscito oggi e dedicato al Nuovo cinema italiano. Lo trovate in edicola, nelle librerie selezionate oppure, più semplicemente, sul nostro store online

Aiuti statali distribuiti a pioggia, produzioni di scarso valore artistico o ideologicamente faziose, film che non arrivano neppure in sala o che incassano poco. È questo il ritratto a tinte fosche del cinema italiano emerso negli ultimi mesi, descritto da più parti come un settore tenuto artificialmente in vita da sovvenzioni indiscriminate. Gli illeciti ci sono stati, come la cronaca ha riportato, ma la stretta successiva ha portato a uno stop improvviso dei fondi, bloccando anche produzioni già approvate. A inizio 2024 circa il 70 per cento dei set italiani si è fermato in attesa di nuove regole di assegnazione dei contributi. Una paralisi che ha scatenato proteste senza precedenti e i cui effetti si vedranno nei prossimi mesi sul grande schermo, con conseguenze paragonate da alcuni osservatori agli scioperi hollywoodiani.

Eppure, i dati del box office raccontano unaltra storia. Nel primo semestre 2025 – il primo anno post pandemia con un calendario di uscite regolari – gli incassi italiani hanno superato del 18 per cento i livelli pre Covid. A trainare sono stati soprattutto titoli nazionali, che hanno trovato spazio davanti a unofferta internazionale più debole del previsto. Già a fine 2024 il cinema italiano era tornato ai numeri pre pandemia, mentre i grandi player stranieri ha faticato a recuperare pubblico. Sorprende anche il profilo degli spettatori: il 41 per cento è under 25, secondo i dati CineExpert Italia. Le presenze in sala dei film italiani crescono del 3 per cento rispetto al 2024, raggiungendo una quota di mercato del 30 per cento. Un confronto con la Francia, nazione con un pubblico ben più ampio e cinefilo, è eloquente: lì le presenze in sala per il cinema francese sono calate del 12,2 per cento.

Dove sta allora la verità: in quella fama da settore sanguisuga” che drena i fondi statali nascondendosi dietro a pochi successi o nei numeri che raccontano di un settore che, tra mille difficoltà, ha ritrovato un proprio equilibrio economico? Una prima risposta è arrivata durante lultima Mostra del cinema di Venezia, dove lApe (Associazione Produttori Esecutivi) insieme alla dirigenza di Cinecittà ha voluto fare chiarezza sullintricato sistema del tax credit finito nellocchio del ciclone, che ha regole specifiche differenti per le produzioni italiane e internazionali. Un punto di partenza importante spesso mancato nel dibattito riguardante i finanziamenti è che il fondo per il cinema, che include la quota per il tax credit, non è un finanziamento a fondo perduto prelevato dal bilancio dello Stato. Si tratta, invece, di una quota della fiscalità generata dal settore audiovisivo che viene reinvestita nel settore stesso, autoalimentandosi. È il primo elemento da sottolineare per evitare fraintendimenti, insieme al fatto che quella delle produzioni audiovisive non è l’unica industria a godere di sgravi fiscali, anche al di fuori dell’ambito artistico e culturale. Lo sottolinea l’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco: «Il finanziamento statale non è un “bancomat pubblico” che sostituisce il mercato; al contrario, serve a catalizzare capitali privati e a rendere un progetto sostenibile, anche grazie alla copertura bancaria che ogni film necessita».

Tax credit e Film commission

L’altro dato su cui tutti insistono è che, considerando le ricadute di produzioni internazionali e nazionali sull’economia italiana, ogni euro investito dallo Stato nel cinema ne genera altri 3,54 (la stima è di Cassa Depositi e Prestiti). Un risultato a cui va aggiunto l’indotto e l’impatto su altri settori economici: Marco Valerio Pugini dell’Ape ha per esempio ricordato come quasi la metà dei turisti abbia dichiarato di aver scelto la meta della propria vacanza italiana influenzato da quanto visto al cinema o in tv. Il cinema italiano insomma, come quello europeo, ha bisogno del sistema di tax credit per rafforzare i budget e dare il via alle produzioni indipendenti e non. Di questo circolo virtuoso fanno parte anche realtà regionali che, via Film Commission dedicate, sono sempre più attente a favorire l’arrivo di produzioni e maestranze sul loro territorio, consapevoli del volano economico e turistico che queste portano con sé. 

Nel panorama attuale lo sbocco possibile di un film non è più solo la sala: durante la produzione, quando si cercano gli acquirenti per il progetto, bisogna già decidere se andare direttamente e in esclusiva su piattaforma o cercare di arrivare prima in sala per il primo step del lungo processo di sfruttamento del titolo. Si tratta di due realtà molto differenti, anche per aspettative di ritorno economico. Se le piattaforme infatti hanno ampliato i clienti possibili di una produzione oltre il circuito cinematografico e il tripolio Rai, Sky e Mediaset, è anche vero che per ora garantiscono un ritorno fisso, che non tiene conto dell’eventuale successo oltre le aspettative di prodotto (ma che “salva” i titoli sottoperformanti). Gli introiti inattesi di un successo sulle piattaforme insomma a livello economico finiscono soprattutto nelle tasche di queste ultime, pur dando ai produttori e agli autori una crescita in termini di forza contrattuale e interesse per i prodotti successivi. 

Laddove invece un film può sperare di andare oltre le aspettative iniziali è ancora il circuito delle sale, come spiega il produttore cinematografico Lorenzo Gangarossa: «La sala ti dà ancora la possibilità di assistere a situazioni in cui un film che sulla carta doveva incassare sei milioni di euro ne incassa sedici. In questi casi, c’è un beneficio economico fondamentale per i produttori e per l’intero sistema. È il momento in cui il lavoro creativo ed editoriale di tutto il team viene premiato». Sulla centralità della sala dal punto di vista economico concorda anche Andrea Romeo, fondatore e Ceo della società di distribuzione cinematografica indipendente I Wonder Pictures: «La sala è fondamentale nella nostra filiera per la creazione di valore di un film e non mi riferisco solo al botteghino. Uno sfruttamento in sala efficace si riflette positivamente su quello digitale, sulle piattaforme e in televisione. Se un film non “si accende” in sala, di conseguenza vale meno per tutti gli sfruttamenti successivi. Ci possono essere casi particolari, degli unicorni, ma sono rari». Il circuito delle sale insomma rimane centrale per l’economia del cinema italiano: sia per i margini di guadagno che garantisce ancora il biglietto staccato in sala, sia perché rimane il luogo d’elezione dove un titolo può innescare quell’effetto di crescita esponenziale via passaparola che fa la differenza tra un incasso discreto e una vera e propria hit. 

Anche un film è una notizia

Un altro punto su cui tutti gli addetti ai lavori concordano oggi è che i talent e i grandi nomi non bastano più. Ogni film ha bisogno di una campagna promozionale su misura in cui investire una fetta di budget anche consistente. Titolo e locandina giusti, trailer curato ma anche periodo di uscita ben ragionato e tour promozionali con attori e registi in sala sono cruciali per sperare d’innescare quella che Gangarossa chiama “notiziabilità” di un film. 

Il botteghino di un film può rimanere a galla con gli ingressi di quel 17,5 per cento di utenza che va al cinema con frequenza regolare, ma per “fare il botto” bisogna entrare nel dibattito collettivo: «Oggi l’importanza di un film da sala sta nella sua capacità di inserirsi nella contemporaneità, di toccare temi che generano discussione, conversazioni, risonanza. Deve uscire dal circuito cinefilo per diventare notizia». Romeo fa qualche esempio concreto dal suo listino internazionale: «È successo con Dio esiste e vive a Bruxelles, con The Whale e soprattutto con La zona d’interesse. Sentivo persone dal parrucchiere discutere del sound design del film: è la dimostrazione che era uscito dallo stretto ambito della cinefilia per entrare nel dibattito culturale, fino a diventare un film da cinque milioni di euro di incasso in Italia».

Confrontare dunque il budget di un film con l’incasso al botteghino per provarne l’insostenibilità economica è un’operazione che fraintende profondamente il ciclo economico di vita stesso di un film, che è fatto di finestre di sfruttamento che iniziano dalla sala ma proseguono nel tempo, talvolta per anni, passando per l’home video, il noleggio o l’acquisto digitale, la Svod (Subscription Video On Demand), fino al passaggio in chiaro, senza dimenticare i moltiplicatori dei mercati esteri. Ogni finestra di sfruttamento prevede accordi precisi e la negoziazione e il pagamento di specifici diritti, così che a fine dello sfruttamento, il film abbia più fonti di guadagno, alcune delle quali sono davvero difficili da stimare per la mancanza di dati a riguardo. 

Quel che è che certo è che con l’arrivo delle piattaforme si sono create nuove possibilità economiche ma al contempo si è ridotto il ventaglio di possibilità di profitto di un film. Lo ricorda Del Brocco parlando di quanto sia cambiato lo scenario nell’ultimo decennio: «Fino a una decina di anni fa, il mercato dell’home video valeva un miliardo di euro l’anno, molto più del box office dell’epoca. Anche la cosiddetta “pay TV” rappresentava una gamba economica importantissima per ogni film. Oggi, l’home video, sia fisico che digitale, ha un valore molto ridotto. Se è vero che durante la pandemia le piattaforme streaming hanno sostenuto l’economia del settore con grandi investimenti, sia in produzione che in acquisizione di diritti, oggi hanno ridimensionato le loro acquisizioni e per i film diventa più difficile sfruttare appieno il loro potenziale economico».

Non si può fare a meno delle sale

Parlando con gli addetti ai lavori e spulciando i pochi dati ufficiali pubblicati da realtà come CineTel per via ufficiale e ufficiosa, si ricava insomma la netta sensazione che nello scenario attuale, sempre più ibrido e in trasformazione, il sistema del tax credit sia necessario per sostenere un comparto economico che dall’introduzione dello stesso è cresciuto per numeri e ambizioni, nazionali e internazionali. Un comparto per cui il circuito delle sale è ancora il passaggio principe e spesso irrinunciabile per la creazione di valore attorno al prodotto, e che per questo motivo non può non vivere che con angoscia il rapido declino del numero di sale sul territorio. Nella primavera di quest’anno Silvano Curcio, docente di architettura alla Sapienza, rilevava come nello Stivale sopravvivano a malapena un migliaio di strutture, con una perdita di cinquecento realtà e migliaia di schermi dal pre pandemia. Negli ultimi tre anni, nella sola capitale, gli schermi scomparsi sono stati oltre un centinaio.

Con la crisi degli incassi dei grandi blockbuster, i problemi strutturali della distribuzione (a cominciare dal “grande vuoto” estivo, con l’offerta di grandi titoli che si concentra soprattutto nel secondo semestre dell’anno) e la difficoltà di molti utenti a raggiungere la sala più vicina (che è spesso sempre più lontana), non si prospetta un periodo facile per l’intero settore, che sta appunto per toccare con mano le conseguenze del grande, involontario stop del cinema italiano. Le piattaforme, sia nel ruolo di committenti e acquirenti, danno vitalità al settore, ma sono lontane dal rimpiazzare quelle fonti di guadagno che la loro concorrenza ha contribuito a contrarre enormemente.

Il ritratto tracciato negli scorsi mesi di quest’industria alla luce di un sistema di incentivi ampiamente ripagato dai suoi introiti viene vissuto al suo intero spesso come ingeneroso. Un’industria che ci tiene sempre a ricordare come sia parte integrante, ma spesso sottovalutata, di quel Made in Italy che rende il Paese competitivo a livello internazionale, come ricorda Romeo: «Il cinema italiano che ha funzionato, dal neorealismo ai peplum, dai musicarelli ai grandi registi da Oscar, ha fatto bene non solo al cinema, ma all’immagine dell’Italia nel mondo. Lo Stato deve continuare a sostenere il settore, anche per continuare a essere competitivi a livello europeo. Lascio al legislatore decidere come garantire che i soldi vengano spesi al meglio, con tutti i controlli del caso. Ma la mia proposta è: considerateci un’industria. La certezza e la puntualità delle erogazioni sono fondamentali per permettere al sistema di funzionare e per premiare i migliori.»

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