La mostra di Hito Steyerl è come un’isola fuori dal tempo nel centro di Milano

L'artista tedesca porta negli spazi di Osservatorio, in Galleria Vittorio Emanuele II, un progetto che intreccia fisica quantistica, IA e archeologie sommerse.

11 Dicembre 2025

Ogni giorno, nella Galleria Vittorio Emanuele, passa un flusso costante di persone: turisti, shopper, lavoratori, un pubblico che scorre davanti alle vetrine del lusso come dentro un grande display commerciale. In mezzo a questo movimento continuo, sopra la Pasticceria Marchesi, c’è però la possibilità di un’altra esperienza. Per quasi un anno, l’Osservatorio della Fondazione Prada ospita The Island,  il progetto che Hito Steyerl ha concepito appositamente per questo spazio sospeso nel cuore economico e turistico della città. Un’isola, appunto: non un altrove esotico, ma un ambiente in cui la percezione del tempo e delle immagini si smarca rispetto a quella che imperversa qualche piano più sotto.

Steyerl (Monaco, 1966) tra le figure più influenti dell’artworld e una delle voci teoriche più lucide sul rapporto tra tecnologia, politica e produzione delle immagini, costruisce qui un lavoro che non è semplicemente una mostra, né un’installazione, né un film, ma un dispositivo di pensiero. The Island prende forma come un insieme di scavi fittizi, documenti reali, racconti personali, video interviste e un film che tiene tutto insieme, mostrando come fenomeni naturali, sistemi tecnici ed economie simboliche si rispondano a vicenda.

Il concetto che orienta il progetto è l’inondazione. Non solo quella fisica, segno ormai quotidiano della crisi climatica, ma un’inondazione come paradigma: il traboccare dell’informazione, l’amplificazione dell’autoritarismo attraverso sistemi guidati dall’intelligenza artificiale, la saturazione percettiva generata da algoritmi che modellano l’immaginario globale. L’opera non si limita a rappresentare questi processi: li attraversa, li intreccia, li mette in collisione con scale temporali e spaziali che eccedono l’orizzonte umano.

Dal micro al macro, tra realtà e finzione

Il percorso si apre con “Lucciole”, un lavoro dedicato al plancton bioluminescente e alla molecola della luciferina, studiata dal Nobel Osamu Shimomura. Una luce minuscola, prodotta da organismi microscopici, diventa il primo punto di accesso a un progetto che continuamente scivola dal micro al macro. Da qui si passa all’isola artificiale neolitica scoperta nel 2021 vicino a Curzola, sette millenni di storia riemersi dopo essere stati sommersi per secoli. La piattaforma ottagonale installata al primo piano dell’Osservatorio richiama proprio la forma di quella struttura, trasformandosi in uno scavo immaginario da cui riaffiorano una spada, una lampada e soprattutto un libro: Le metamorfosi della fantascienza (1979) di Darko Suvin.

È proprio da un racconto di Suvin che nasce l’impulso narrativo dell’intero progetto. Il critico e teorico della fantascienza, (intervistato da Steyerl e reperibile nel Quaderno della Fondazione Prada) ricorda l’esperienza vissuta nel 1941, durante un bombardamento a Zagabria. Per affrontare la paura, immaginò di trovarsi improvvisamente dentro Flash Gordon alla conquista di Marte. Un salto mentale, un cortocircuito tra realtà e finzione che gli permise di resistere. Steyerl commenta così questo passaggio: «Suvin si rese conto che in qualsiasi situazione è possibile trovare altri mondi. È il fondamento della fantascienza: creare mondi paralleli anche nelle circostanze più avverse».

Cosa significa immaginare oggi?

In “The Island”, questo principio si espande attraverso la fisica quantistica (un riferimento ricorrente nei dialoghi con gli scienziati coinvolti) e diventa una chiave per comprendere come viviamo oggi: in un sistema di realtà parallele che spesso non sappiamo di abitare. Il film di Steyerl, proiettato al secondo piano in una sala che richiama i cinema anni Quaranta, mette in scena salti improvvisi tra tempi e luoghi diversi: dal plancton alle rovine sommerse, dagli archivi alla fantascienza, dai laboratori di ricerca agli scenari distopici in cui l’IA produce immagini ripetitive e quasi autoritarie nella loro estetica standardizzata. L’artista parla di “AI slop”, un immaginario già sovraffollato, fatto di segni riconoscibili e confortanti, che descrive con ironia come «una reinterpretazione trasgressiva delle estetiche fasciste, una sorta di Musk-olini style».  Oltre che ironica, è anche una definizione estremamente ficcante, come del resto quasi tutte quelle delle quali l’artista e filosofa tedesca ci ha fatto dono in questi anni, basti a pensare al concetto di “immagini povere” enunciato nel saggio “In Defense of the Poor Image” (2009) per descrivere un particolare tipo di immagini circolanti nel mondo digitale contemporaneo la cui scarsa qualità tecnica diventa simbolica di una condizione economica e politica.

Oggi l’artista ci invita a riflette su questo nodo cruciale che riguarda l’iperproduzione contemporanea di mondi alternativi generati senza tregua dalle AI, la domanda diventa quindi: cosa significa immaginare oggi? Steyerl non propone una fuga da questa realtà, ma una ricombinazione. Lo suggerisce anche il fisico Tommaso Calarco nel film, spiegando che esistono “armoniche superiori” generate dalle interazioni tra fenomeni diversi, come se ogni incontro aprisse un nuovo livello di realtà.

L’isola come punto di osservazione

Il canto tradizionale dalmata Klapa, che attraversa tutto il film, funziona da contrappunto a questa stratificazione: una coralità che sostituisce la voce unica e lega paesaggi, epoche, saperi e memorie differenti. The Island non è una denuncia e non è l’ennesimo compiacersi del distopico disastro digitale. È un ambiente in cui si attraversano temporalità diverse e si osserva come queste temporalità collidano. Steyerl parla di “junk time”, il tempo frantumato del capitalismo digitale, fatto di loop e interruzioni; e, allo stesso tempo, evoca il tempo profondo delle strutture sommerse, dei millenni geologici, delle culture arcaiche. La mostra mette questi piani in relazione senza cercare un equilibrio, lasciando che l’immersione produca una forma di consapevolezza diversa.

Si esce dall’Osservatorio con l’impressione che l’isola del titolo non sia un rifugio, ma, coerentemente con il luogo, un punto di osservazione, un laboratorio dove capire tante cose diverse, complesse ma aiutati come scolaretti da un display immersivo; questa volta nella migliorie delle accezioni. L’isola è dunque un microscopico punto sulla mappa da cui guardare il presente da una distanza sufficiente per coglierne la deriva, ma non così lontana da smettere di sentirne il peso e l’urgenza. In mezzo alla Galleria e al suo spettacolo instancabile, The Island offre un’altra prospettiva, un’altra possibilità di assorbire concetti, e forse un altro modo di immaginare come convivono, o potrebbero convivere, i mondi che abitiamo.

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