Attualità | Tech
Lo spaventoso mondo dello stalkerware, lo stalking tramite app spia
Un nuovo documentario del collettivo Flares fa luce su un fenomeno sempre più diffuso: il controllo tecnologico sul(la) partner.

«Se ti dicessi che mi basta avere il tuo telefono in mano per un minuto per poter sapere tutto su di te, come ti sentiresti?». È da questa domanda che parte il primo documentario di Flares, un nuovo collettivo di giornalismo investigativo fondato da Silvia Boccardi (giornalista specializzata in diritti umani e civili, ha collaborato con Vice Italia, SkyTG24, LA7, Will Media) e Silvia Lazzaris (reporter e autrice che esplora l’intersezione tra scienza, tecnologia, ambiente e potere, e ha collaborato con Corriere della Sera, BBC World Service, Wired UK, Will Media, L’Espresso e Domani), che vuole specializzarsi in inchieste digitali, audio e video. Si chiama App spia o stalkerware: quando la tecnologia diventa violenza, è uscito il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a poco più di un anno dalla scomparsa di Giulia Cecchettin, e offre una panoramica sui nuovi strumenti digitali – terrificanti quanto, purtroppo, diffusi ed efficaci – utilizzati per spiare i telefoni altrui.
Dalle indagini sul femminicidio di Giulia Cecchettin è emerso che Turetta aveva provato a installare un’app di controllo sul suo telefono (non si sa con certezza, perché il cellulare della vittima non è mai stato trovato). Prima di essere un assassino, in un certo senso, Turetta era uno stalker, un maniaco del controllo. Come funzionano questi programmi? Serve, appunto, un minuto: sono invisibili nella schermata Home dei telefoni delle vittime, e sono collegate a un altro account che riceve ciò che viene spiato. Ovvero, le ricerche su Google, le foto che scatta, le chiamate che fa, i messaggi che si scambia, la geolocalizzazione in diretta: il controllo è totale.
Il documentario mostra come queste app abbiano anche pubblicità roboanti, tipo film d’azione, che promettono di entrare nelle chat, nei social, negli spazi più intimi del(la) partner. Tutto pubblico, anche su YouTube. A partire dalla comunicazione, c’è una misoginia evidente nella natura di questi servizi: un post di un blog interno a un’azienda che vende app di sorveglianza titola: «Il tradimento è donna? La scienza è pronta a scommettere di sì». Continua: «Da un recente studio condotto da scienziati e psicologi dell’Università del Texas e della California è emerso che le donne potrebbero essere geneticamente predisposte al tradimento».
Il documentario di Flares è arricchito dalla testimonianza di Laura Carrer, giornalista di Irpi Media che ha lavorato a un’ampia inchiesta sullo stalkerware (si legge qui). Spiega che la maggior parte degli utenti di questa app sono uomini che vogliono sorvegliare donne. Molto più rara, ma presente, è l’evenienza contraria, o il controllo interno alle famiglie. Per un anno intero Carrer ha seguito il caso di SpyHide, un’app creata da due programmatori iraniani, oggi non più esistente. Soltanto per questa app, sono stati registrati ben 750mila download. I numeri sono impressionanti.
Questo tipo di stalking è un reato penale, e le pene sono alte: il problema è che il fenomeno è quasi completamente sommerso. E sulle poche informazioni che abbiamo pesa, naturalmente, anche una confusione culturale, per cui ancora troppo spesso si scambia il controllo (e l’ossessione) per una forma d’amore. Pochi gli indizi concreti con cui identificare l’esistenza di questi sistemi di controllo: consumo altissimo dei dati, batteria che dura pochi minuti. Oltre, naturalmente, al fatto che il partner possa essere in possesso di informazioni mai condivise. L’elenco dei centro antiviolenza 1522 si trova qui, regione per regione. Il numero da chiamare (è servizio pubblico) contro la violenza e lo stalkin è invece il 1522.