È l'horror più atteso e chiacchierato uscito quest'anno, e infatti è da giorni in cima al botteghino italiano. Forse perché parla (anche) di che incubo sia essere genitori oggi e di quanto sia pericolosa questa epoca per i figli.
«Fare Fixed è stato facile… No, forse non è stato proprio facile-facile. Però è stato normale, ecco. La cosa veramente difficile è stata vendere il film». La carriera di Genndy Tartakovsky, animatore, sceneggiatore, regista e produttore, si potrebbe riassumere con questa frase. Fin dal suo primissimo progetto, Il laboratorio di Dexter, si è sempre impegnato per fare qualcosa di nuovo. O almeno, qualcosa di diverso dal solito. E anche con Fixed, disponibile su Netflix dal 13 agosto, è andata così: ha coltivato per anni un’idea; si è impegnato al massimo per realizzarla, e non ha mai fatto un passo indietro.
«Ho iniziato a lavorare a Fixed intorno al 2008», racconta. È in collegamento da un piccolo studio di New York, in piena promozione per il suo film. «E in quel periodo non c’era nemmeno la metà delle serie tv animate per adulti che ci sono oggi. E quindi fare il nostro film era praticamente impossibile; soprattutto, era impossibile farne uno così, sviluppato con la tecnica tradizionale». Nel 2008 c’erano altri obiettivi. «Tutti volevano usare la Cgi. E in un certo senso la colpa è mia: continuo a creare cose fuori tempo. Probabilmente, anziché lavorare a Fixed, avrei dovuto lavorare a una di quelle serie in Cgi per bambini; sarebbe stato sicuramente più semplice».
Animazione per adulti, in entrambi i sensi
Spesso Tartakovsky ride. Ma non sono risate imbarazzate o di circostanza. È fatto così, pieno di energie e sempre pronto a citarti questo o quell’esempio. Fixed è una comedy animata, sexy, piena di scene esplicite. E funziona esattamente per questo motivo. «Lo Studio, alla fine, ci ha detto di sì. Quando hai qualcosa completamente differente rispetto al solito, rispetto a quello che si vede in giro, è difficile. E non tanto per la sua realizzazione. È difficile perché devi convincere gli altri a seguirti, e spesso devi convincere a seguirti quelli che sono i tuoi capi».
Per Fixed, Tartakovsky si è lasciato ispirare dal suo gruppo di amici: quelli che ha conosciuto durante la sua adolescenza, mentre frequentava il liceo. «Sono persone che mi fanno ridere tantissimo, come nessun altro. Probabilmente, se qualcuno di esterno dovesse unirsi al nostro gruppo non troverebbe le nostre battute così divertenti. Ma è una cosa che succede a tutti. In un primo momento Fixed doveva essere il racconto del nostro rapporto. Volevo mettere i miei amici in un film animato per adulti, esagerando il loro carattere e le loro battute». Poi, però, le cose sono cambiate. «Quando sono andato da Sony Animation a raccontare la mia idea, la responsabile l’ha capita immediatamente e l’ha amata. Ma serviva ancora un concept preciso. Di colpo mi è venuta in mente questa idea: un cane che sta per essere castrato e che vive le sue ultime ore prima di andare dal veterinario. Tutti hanno riso, e noi siamo finalmente andati avanti con il progetto».
Il personaggio che si ispira a Tartakovsky è stato tagliato in fase di sviluppo. «Nella prima bozza della sceneggiatura, c’era questo husky russo, chiamato Boris, che parlava con un accento fortissimo. Ma visto che c’erano già troppe cose, ho deciso di eliminarlo». Fixed, alla fine, ha trovato la sua forma e la sua dimensione: funziona perché è in 2D, perché sfrutta l’animazione tradizionale; funziona per la sua eccentricità, per le sue battute, per la sua onestà. Il protagonista passa buona parte del suo tempo a parlare con i suoi testicoli; dà loro un nome, e si lascia andare alla nostalgia, a tutte le cose che hanno vissuto insieme.
L’animazione per adulti, dice Tartakovsky, sta diventando decisamente più popolare. «Se vai in strada, fermi qualcuno e gli parli di animazione, probabilmente ti dirà che è una cosa per bambini. Ma visto l’enorme successo dei Simpson, di South Park e anche di serie come Primal, che è stata accolta bene, c’è ancora un margine di miglioramento piuttosto grande. E sento che siamo molto vicini a coinvolgere un pubblico decisamente più ampio». Quando parla del suo processo creativo, Tartakovsky parte sempre dallo stesso punto: il disegno. «Per Fixed, per esempio, ho cominciato a disegnare i personaggi ispirati ai miei amici. Quando disegni un personaggio, riesci a capire immediatamente se è iconico oppure no. Ha qualcosa di particolare che ti colpisce subito. Ho tantissimi bozzetti di Bull, il protagonista. E ci ho lavorato finché non ho trovato la forma finale. Più o meno, succede lo stesso con tutto quello che faccio. Se non riesco a trovare quel personaggio particolare, metto da parte il progetto. Perché significa che non è ancora arrivato il momento di svilupparlo».
Cartoni animati nuovi e vecchi
Per quanto riguarda l’animazione tradizionale, 2D, il discorso si complica leggermente. «C’è interesse, ne sono sicuro. Soprattutto se pensiamo alle serie tv: per la maggior parte, sono sviluppate tutte in questo modo. Quindi sì, l’animazione tradizionale è ancora viva. Per i film, invece, è più difficile. Ma ci troviamo a un punto di svolta. Una delle cose più assurde che stanno succedendo è che ora si usa la computer grafica per ricreare lo stile dell’animazione tradizionale. Pensiamo ai film animati dello Spider-Verse. Sono film in Cgi che provavano in tutti i modi a sembrare 2D. Ed è una cosa che mi fa impazzire. Basterebbe farli direttamente in 2D!»
Il primo contatto tra Tartakovsky e l’animazione è avvenuto quando era ancora piccolo. Aveva circa 14 anni quando è andato al cinema e ha visto Il libro della giungla. «E non appena l’ho visto c’è stato qualcosa che mi ha colpito profondamente». Non la storia, dice. Ma il modo in cui il film era stato realizzato, la qualità dei disegni e delle animazioni. «Non ho mai pensato di poter fare una cosa di quel livello, e non sono mai stato il migliore del mio corso. Immagino di essere stato okay. Intorno al secondo anno al CalArts (California Institute of Arts, ndr), ho fatto un film che poi sarebbe diventato il punto di partenza per Il laboratorio di Dexter. Ed è stato in quel momento che ho capito di avere un discreto talento per le storie, per i personaggi e, più in generale, per la comunicazione. Sapevo restituire con precisione quello che avevo in mente alle persone. E quando abbiamo cominciato a lavorare a Dexter, tutto ha trovato il suo posto».
Questo, però, non significa saper distinguere immediatamente un progetto di successo da un altro che, al contrario, non sarà nemmeno realizzato. Tartakovsky è piuttosto preciso a riguardo. «Quello che ha funzionato con – per esempio – Samurai Jack è stata la sua genuinità. Era nuovo e differente rispetto alle serie che andavano in onda all’epoca. Ricordo che in quel periodo non c’era ancora questa passione per gli anime; o almeno, non c’era negli Stati Uniti. Gli anime non avevano la stessa qualità che hanno oggi. Io ho provato a essere fedele e rispettoso nei confronti di una cultura e a non strafare. E le persone hanno riconosciuto questo aspetto». Samurai Jack aveva una sua estetica, altro punto fondamentale. «Alle persone piaceva guardarlo. E non mi riferisco alle animazioni: parlo proprio dei disegni. E poi Samurai Jack non aveva così tanti dialoghi: riusciva a coinvolgerti con poco e a risucchiarti nel suo racconto».
La più completa forma di espressione
L’animazione, sottolinea Tartakovsky, ha una sua specificità. «Una cosa che il live action non ha. Mi spiego: oggi, grazie alla tecnologia, si può fare quasi qualunque cosa in un live action. Quando però vedi un film o una serie animati, riconosci lo stile di chi ci ha lavorato, la sua mano, la sua visione. Ha qualcosa di unico, l’animazione. E questo vale soprattutto per l’animazione tradizionale. L’evoluzione di ciò che vedi, della storia che ti viene raccontata, è palese. È davanti a te. Quando guardi un film in live action, invece, c’è l’attore con la sua interpretazione. E poi c’è il set. Con l’animazione, qualunque cosa, anche una linea tracciata come orizzonte, è unica. E questa unicità passa pure dal movimento. L’animazione, per me, è una delle forme più complete di espressione. Lo so che sembrano un mucchio di stronzate…». Tartakovsky ride di nuovo, di gusto. «Ma è così; o almeno, così mi sembra. Ricordo che quando avevo 18 anni mi trovavo a Chicago, e mi erano stati chiesti due minuti di animazione per uno spettacolo teatrale: c’era un momento in cui l’attore in scena si voltava e dialogava con quanto veniva proiettato su un telone. Ecco, quando i miei disegni sono comparsi e la gente ha cominciato a ridere, mi sono sentito benissimo. Era come se sul palco ci fossi io; quello che si muoveva veniva dalla mia mano. Ed è stato in quell’istante, credo, che mi sono deciso: farò animazione per il resto della mia vita. Ad Annecy, ho visto Fixed con mille persone. E sentirle reagire, ridere per le battute, è stato stupendo».
Volendo allargare il discorso, è interessante per un momento concentrarsi sullo stato dell’industria dell’animazione. «Per i progetti originali, la situazione non è delle migliori. Per i progetti che vengono da serie di successo, o da altri film, ci sono moltissimi soldi. Ci troviamo, insomma, in una sorta di equilibrio», spiega Tartakovsky. «C’è questa tendenza di seguire il leader, chi va bene. Quando ha avuto successo Toy Story, tutti hanno provato a riprenderne lo stile e a usare la Cgi. Ma il punto, con Toy Story, non è mai stato lo stile. È la storia, ciò che dice. Probabilmente avrebbe funzionato anche in 2D».
Tra le serie preferite di Tartakovsky ci sono i Looney Tunes («vale come serie?»), i Simpson («un capolavoro»), South Park («lontanissima da me e da quello che faccio, ma assolutamente incredibile») e Spongebob. «Ciò che mi piace è il linguaggio, la qualità delle animazioni e soprattutto l’ironia. Io ho bisogno di ironia». Tra le serie che ha fatto, invece, ricorda volentieri Primal («abbiamo creato qualcosa di nuovo, con un suo stile e un suo scopo, che ha avuto successo») e Il laboratorio di Dexter («se oggi sono qui, è merito suo»).
Tornando a Fixed, Tartakovsky dice che c’è una differenza sostanziale nella percezione del sesso come tema in America e in Europa. «In Europa, se ne parla e, tutto sommato, va bene. Il problema è la violenza: quanta se ne può mostrare; fino a che punto ci si può spingere. In America è l’esatto contrario: la violenza va bene, il sesso no. Per quanto la cultura americana possa sembrare aperta, siamo molto puritani sul sesso. Ci sono le grandi città, con la loro storia, la loro vita quotidiana, e poi c’è il resto del Paese, che non è né pronto né intenzionato a esprimersi su certi temi». Fixed è dunque l’ultimo tassello della carriera di Tartakovsky, un percorso decennale, capace di influenzare profondamente l’industria animata.

È l'horror più atteso e chiacchierato uscito quest'anno, e infatti è da giorni in cima al botteghino italiano. Forse perché parla (anche) di che incubo sia essere genitori oggi e di quanto sia pericolosa questa epoca per i figli.