Quello dei finti sold out ai concerti è un problema ma non è una notizia

Se ne riparla anche questa estate, per Elodie e Selvaggia Lucarelli. Se ne parlava anche l'estate scorsa. E quella prima. E quella prima ancora.

di Studio
19 Giugno 2025

Stadi che non si riempiono, malgrado una comunicazione incessante e capillare. Biglietti che ieri costavano centinaia di euro, di colpo svenduti a dieci, cinque. Uno. E alla fine gente fatta entrare gratis last minute, purché i social non si riempiano di foto e video con spalti vuoti – perché non va più via, l’odore dell’insuccesso.

Di cosa stiamo parlando, in questa estate 2025? Del Mondiale per Club FIFA organizzato dall’ammanicatissimo italo-svizzero Gianni Infantino? In fondo, è una storia di eventi gonfiati a dismisura, di sponsor da tirare dentro, di numeri che a tavolino sembravano promettenti, di tifosi da spremere come stupidi limoni, di giornalisti che negano l’evidenza, perché qualche briciola dal tavolo dei grandi vale più della dignità.

Superflop

Di QUESTO parliamo, nell’estate 2025, giusto? Perché le scottanti rivelazioni su supertour e supershow non esattamente trionfali non sono una novità. Escono ogni anno. Solo che ce ne scordiamo, come degli indimenticabili duetti di Sanremo e le azzeccatissime hit estive. Tranne, forse, se a essere colpito è qualcuno che ci sta molto a cuore. O che ci sta molto sulle palle. La musica non è diversa dal tifo, si gode a vedere la squadra avversaria perdere. Ma siccome la constatazione “È sempre successo” è una delle più insoddisfacenti del mondo, la curiosità di scoprire se si tratta di una dinamica che fa parte del rischio d’impresa ci ha portati a interpellare un* manager di artisti ovviamente italiani. L’asterisco non è per correttezza, è per completo anonimato. Come da perentoria ma comprensibile richiesta iniziale.

«C’è un business della musica. Per qualcuno sarà una scoperta incredibile… Ma è così dai tempi di Sinatra e di Elvis, dei Beatles e dei Rolling Stones. Dietro ogni nome popolare, anche non strafamoso, ci sono scelte strategiche, mosse fortunate e sfortunate, gente che ha perso soldi, magari si è rovinata. Parlo anche di manager, e di etichette fallite». Però, ci spiega, «il business dei concerti è un po’ diverso dalla discografia. Non tutti i concerti sono sostentamento per gli artisti, per integrare le quote di Spotify e YouTube ed Apple. No, alcuni concerti sono comunicazione pura. Nessun artista ha realmente bisogno di un tour negli stadi per tirare il 27 del mese. Federico Zampaglione qualche giorno fa è intervenuto in questa discussione dicendo che i giovani artisti sono le vittime sfruttate, gli ingenui su cui manager e promoter scaricano i costi del flop, dopo averli illusi, costringendoli ad accollarseli di tasca loro.

Ma questo livello di ingenuità è molto raro, oggi, anche tra i ragazzi della provincia italiana, dice. «Quasi tutti hanno un’idea abbastanza precisa della propria fanbase e delle potenzialità del loro prodotto. Sanno che gli sponsor, il branding, sono importanti quanto i tour, e più importanti dello streaming. Non c’è musicista di questo secolo che lo ignori. Chi vive di musica sa le partite che sta giocando. E quando si parla di concerti, l’ipotesi dei palazzetti o stadi semivuoti è sempre, sempre contemplata. E si contempla anche l’eventualità di lavorare in perdita. Lo metti in budget. Perché può convenire da altri punti di vista».

Breve ma esaustiva lista di precedenti che dimostrano come questa sui sold out che non sono davvero sold out non sia una discussione nuova, affatto.

Nel 2019

Striscia la Notizia sostiene che in alcuni live di Claudio Baglioni e Ligabue ci sono tanti biglietti regalati o venduti a pochi euro, e chiama in causa altri artisti che in quel momento hanno come priorità un parterre pieno, piuttosto che l’incasso (Emma, Biagio Antonacci. La fonte è TgCom24. Citiamo la fonte perché artisti, manager e i loro avvocati sono sensibilini quando si parla di queste cose. Come se non bastassero i fan).

Nel 2020

Il Covid tira legnate un po’ a tutti. Alcuni artisti sono al loro picco, fissano le date delle autocelebrazioni. Ma devono rinviarle. In alcuni casi, risarcire. In altri, gli acquirenti rivendono sottocosto (girano voci soprattutto su Ultimo, che poi, va detto, si riprenderà ciò che è suo). Ma anche su Salmo. Forte dell’album Playlist (7 dischi di platino), doveva esibirsi a San Siro il 14 giugno 2020. Poi, diventato il 12 giugno 2021. Poi, diventato il 6 luglio 2022. Ma improvvisamente lo stadio di Milano è diventato un po’ grande per lui. Impietoso, il collega Luché lo deride pubblicamente: «Imbarazzante a Sanremo, regali 10000 biglietti a San Siro».

Nel 2022

Due senatori del giornalismo musicale, intervistati da testate diverse concordano: l’Italia è piena di sold out gonfiati. Marco Molendini a Dagospia: «Fare gli stadi è diventato un biglietto da visita. Fa crescere lo status, il nome acquista valore. Alla fine diventa come un obbligo, e se non hai un pubblico reale per riempire, qualche escamotage si trova sempre. Come non ricordare il caso dei Modà di qualche anno fa, protagonisti di un picco di successo improvviso, e grazie esclusivamente a RTL 102,5. E fecero subito gli stadi, senza simili precedenti. Da allora il meccanismo di riproduzione del percorso non si è mai arrestato. Ma bisognerebbe verificare quanti biglietti si vendono, e quanti sono regalati. (…) Con tutta la simpatia possibile, Alessandra Amoroso non è una cantante che può mettere insieme il pubblico di uno stadio. Se non con biglietti regalati o dimezzati. Non tutti i nomi sono rilevanti allo stesso modo. Alla fine è un’esagerazione che illude lo stesso artista». Mario Luzzatto Fegiz a Mowmag: «Anche in passato, quanti avevano dei buchi paurosi? Tozzi, Bertè, anche ai tempi della loro grande popolarità, non riempivano mica coi paganti. Esistono varie tecniche, e soprattutto si regalano i ticket. Tanto per vantare un sold out inesistente. E i promoter ci tengono eccome, che le notizie siano così declinate. Altrimenti… sa che ad Andrea Spinelli del Quotidiano Nazionale hanno ritirato l’accredito perché ha parlato di un mancato sold out?».

Nel 2023

«I sold out? Biglietti regalati e cifre gonfiate», tuona Manuel Agnelli, intervistato da Mattia Marzi di Rockol. La punta dell’iceberg è il povero Blanco, enfant prodige del nuovo pop italiano, nel 2021 pubblica l’album di debutto, 7 dischi di platino: uno dei 20 migliori dischi dell’anno, sentenzia Rolling Stone. Nel 2022 vince Sanremo insieme a Mahmood. Il tour nei club è sold out, e vengono annunciate per l’anno successivo due date a San Siro e all’Olimpico. “Tutti pazzi per Blanco, polverizzate le vendite dei biglietti”, titola La Stampa. Invitato dai vescovi, canta in piazza San Pietro. Ma nel 2023 torna a Sanremo da solo: un problema tecnico lo irrita e quando prende a calci dei fiori sul palco (performance concordata con Amadeus), eccede un po’. Viene sostanzialmente scomunicato. Piovono le disdette. Alcune testate affondano i colpi, ma Andrea Conti sul Fatto Quotidiano tende una mano. «È stato un passo più lungo della gamba? Sulla carta (e anche un po’ artisticamente) sì, non c’è dubbio, ma l’energia esplosiva del cantante ha riempito ogni singolo centimetro del palco».

Nel 2024

«I numeri della musica sono gonfiati, ma nessuno dice niente». Non sembrerebbe. Ma stavolta è Gianluca Grignani a inveire, in un’intervista a Claudio Todesco di Rolling Stone. «Potrei anch’io far finta di fare lo stadio, come fanno in tanti». Tra i possibili riferimenti del 2024 ci sono i Negramaro, che a San Siro, con superospite Elisa, suonano per 30.000 spettatori (fonte: Ansa) dopo aver avuto problemi con le date di Bari e Messina.

Nel 2025

Eccoci. Dopo che sono saltate tre date di Rkomi (nei palazzetti di Bologna, Roma, Milano) e dopo che Bresh (attuale n.1 nella classifica degli album) ha annullato quattro date (Bari, Senigallia, Alba, Montesilvano) e soprattutto, dopo che i prezzi dei biglietti per Elodie – a San Siro e al Maradona – sono magicamente scesi, a far diventare mainstream l’annuale versione dell’annosa polemica è Selvaggia Lucarelli, erede di Striscia e Dagospia (noterete che non di rado, tutto parte da gente che ha la libidine del flop altrui, anche se oggettivamente c’è un’ampia casistica di stadi mezzi pieni e bicchieri mezzi vuoti). E ogni volta i commenti sui social seguono le dinamiche del tifo calcistico: il ghigno malvagio dei tifosi avversari, la negazione della realtà e responsabilità dell’arbitro secondo gli ultras.

Ma siccome la constatazione “È sempre successo” è una delle più insoddisfacenti del mondo, chiediamo all’anonim* manager perché è sempre successo e perché continua a succedere. Un artista cosa ci guadagna dal correre questo rischio? Gli conviene correrlo perché così mostra che ha “comunicato” che era in uno stadio? Perché girano i video dei fan? «Anche. Sei comunque entrato in quella dimensione. E tieni conto che oggi il tuo flop si perde, è una mezza notizia per tre giorni, tanto gli stadi li fanno centinaia di artisti, il Comune li concede a chiunque, non è più come ai tempi di Bob Marley che c’era un tiraemolla di mesi per UN concerto, con le squadre di calcio che si opponevano. Ma a parte questo, in molti casi confrontarsi con lo stadio è un esame di maturità. A San Siro, all’Olimpico, tu devi misurarti con un altro livello, devi fare uno spettacolo, devi intrattenere, dare una festa. A meno che tu non sia Vasco, e pochi altri, e allora hai una storia e un repertorio e un seguito tale che potresti anche fare solo le canzoni. Niente visual, niente ospiti, niente coreografie, niente concept, niente show. Se però non lo sei, per te è una sfida artistica». E perderla, evidentemente, non è poi questa tragedia.

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