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Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".
È morto Paul Daniel “Ace” Frehley, il fondatore e primo chitarrista dei KISS Spaceman, l'altro nome con cui era conosciuto, aveva 74 anni e fino all'ultimo ha continuato a suonare dal vivo.
Dell’attentato a Sigfrido Ranucci sta parlando molto anche la stampa estera La notizia è stata ripresa e approfondita da Le Monde, il New York Times, il Washington Post, Euronews e l’agenzia di stampa Reuters.
Oltre alle bandiere di One Piece, nelle proteste in Usa è spuntato un altro strano simbolo: i costumi gonfiabili da animale Costumi da rana, da dinosauro, da unicorno: se ne vedono diversi in tutte le città in cui si protesta con Trump e contro l'Ice.
Secondo Christopher Nolan, non c’è un attore che quest’anno abbia offerto un’interpretazione migliore di The Rock in The Smashing Machine Quello del regista è il più importante endorsement ricevuto da The Rock nella sua rincorsa all'Oscar per il Miglior attore protagonista.
Dopo 65 anni di pubblicazione, Il Vernacoliere chiude ma non esclude il ritorno Lo ha annunciato su Facebook il fondatore e direttore Mario Cardinali, che ha detto di essere «un po' stanchino» e spiegato la situazione di crisi del giornale.

Laurent Binet e l’omicidio di Roland Barthes

Intervista all'autore de La settima funzione del linguaggio, un'indagine che prende spunto da un'ipotesi di finzione per raccontare la semiologia.

11 Aprile 2018

L’ultimo libro di Laurent Binet si intitola La settima funzione del linguaggio, come un manuale di filosofia dell’università. Parla di Roland Barthes, di Michel Foucault, di strutturalismo. E consta di 454 pagine. Eppure è un romanzo – l’eppure è d’obbligo – e si fa leggere come un thriller di James Elleroy. Tant’è vero che in Francia ha venduto quasi 200.000 copie: un risultato che ha del prodigioso, se si considerano il contesto in cui la vicenda è ambientata e la miriade di citazioni cui Binet fa ricorso per portare avanti il suo intricato congegno narrativo. Come in HHhH, suo romanzo d’esordio che raccontava l’attentato del 27 maggio 1942 a Reinhard Heydrich (il più misterioso e crudele dei gerarchi del Terzo Reich), anche qui Binet sorprende per la precisione della ricostruzione storica. Stavolta, però, l’operazione era più rischiosa. Binet è infatti partito dalla falsa premessa che il celebre critico Roland Barthes sia stato ammazzato. Il 25 febbraio 1980 Barthes fu effettivamente investito da un furgone della lavanderia, come molti dei suoi lettori sanno, e morì un mese dopo in seguito alle ferite riportate, ma nessuno ha mai nutrito il sospetto di un omicidio. Nemmeno Binet.

«Il mio è un presupposto infondato» mi dice con un sorriso fanciullesco sulle labbra, mentre siamo seduti nella reception di un grand hotel al centro di Milano. «È solo una mia invenzione. Tutti sanno che è stato un incidente. La cosa strana, o perlomeno interessante da un punto di vista romanzesco, è che prima dell’incidente Barthes era a pranzo con l’allora presidente della repubblica francese Mitterrand».

ⓢ Certo, è il punto di partenza del suo romanzo…

In realtà il punto di partenza è stato un altro, più filosofico. Volevo rendere omaggio alla semiologia, che è anche l’arte di Sherlock Holmes. Diciamo che ho creato una specie di nesso immaginario tra l’incontro di Barthes con Mitterrand e l’incidente avvenuto dopo. E il resto della storia mi si è srotolato davanti.

ⓢ Quindi – vecchio dilemma – crede che la filosofia e il romanzo possano andare in qualche modo d’accordo? Non mi riferisco solo a un approccio strutturale alla Gadda, ma proprio all’utilizzo delle categorie filosofiche in un libro di narrativa, come fa lei.

Pensi al thriller, è perfetto per parlare di strutturalismo. Il thriller non è altro che un gioco di combinazioni, in questo molto simile alla filosofia. Soprattutto il poliziesco, molto apprezzato anche da Barthes. Barthes leggeva Simenon.

ⓢ Da italiano, faccio un po’ di fatica a mettere Barthes tra i filosofi…

Vede, per noi francesi Barthes è stato fondamentale. Certo, soprattutto per le sue ricerche in campo semiotico e per le sue interpretazioni dei testi letterari. Ma ha partecipato all’ultimo grande periodo del movimento strutturalista e ne è stato il rappresentante più noto, anche perché gli altri, da Jakobson a Lévi-Strauss, li studiavano soprattutto negli Stati Uniti. Barthes, invece, lo studiavano ovunque.

ⓢ E Foucault?

Anche Foucault è stato importante.

ⓢ Lei ne fa un ritratto bellissimo…

Beh, per parlare di Barthes bisogna parlare anche di Foucault. Erano molto diversi, sia come intellettuali che come persone. Ed erano grandi amici, frequentavano insieme le saune gay, eppure avevano un temperamento opposto. Foucault era sfacciato, Barthes introverso. Foucault rivendicava ovunque la propria omosessualità, Barthes la nascondeva, anche perché, come racconto nel libro – che, premesse a parte, è basato su fatti reali – era morbosamente legato alla vecchia madre, e forse temeva di darle un dispiacere.

ⓢ L’investigatore del suo romanzo è dichiaratamente fascista. Come mai?

Avevo bisogno di uno stereotipo un po’ alla James Bond per controbilanciare la figura dello studente di sinistra che lo affianca nelle indagini.

ⓢ Non fu Umberto Eco – che è anche tra i protagonisti del suo romanzo – a dire che James Bond è fascista?

Vero, perché James Bond è tutto tradizione, bandiera dell’Inghilterra. Gli inglesi non hanno mica avuto Lupin. Anche se c’è da dire che Eco l’ha definito fascista in un periodo in cui la parola investiva moltissimi ambiti di significato. Oggi è più pericoloso usarla.

ⓢ Lo ha conosciuto?

L’ho conosciuto perché abbiamo lo stesso editore francese. Una sera, a una festa, gli raccontai l’idea del mio nuovo romanzo e gli dissi che tra i protagonisti ci sarebbe stato anche lui. Ne fu molto sorpreso e lusingato, ma non mi accontentai di quella chiacchierata. Andai a Bologna a fare ricerche su di lui, dove viveva, dove mangiava, intervistavo i camerieri dei bar in cui andava e i suoi vicini di casa. Fu un periodo bellissimo. Sa, Eco è stato in grado di capire ogni volta quali erano le cifre in cui si esprimeva l’epoca in corso, era una specie di paragnosta dell’attualità, anche e soprattutto quando parlava del passato.

A questo punto gli chiedo quale è la cifra della nostra, di epoca. «Il web» risponde senza neppure riflettere. Con la faccia da ragazzino e un tirabaci sulla fronte, Binet dimostra almeno vent’anni meno di quelli che ha, perciò non mi sorprende sentirglielo dire. «Deleuze è stato illuminante nel parlare di una costruzione a rizoma, cioè senza centro, senza un inizio e senza una fine, pur non avendo conosciuto la rete. Infiniti link che costituiscono una specie di arborescenza senza radici. È questa la cifra della nostra epoca, qualunque cosa significhi».

ⓢ Non le fa paura?

Dal punto di vista psichico sì, perché la rete è un’esperienza straniante. Ieri sera mi sono seduto al computer e, dopo un po’ che stavo leggendo un articolo sullo squalo bianco, mi sono ricordato il motivo per cui ero lì. Cercavo informazioni sulla figlia di Francesco I.

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