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Anche l’estrema destra vuole essere ambientalista
Nel suo Ecofascisti Francesca Santolini racconta cosa succede quando la soluzione alla crisi climatica viene lasciata a conservatori ed estremisti: tutto diventa una questione di nazionalismo e xenofobia.
Il 15 marzo 2019 un suprematista bianco uccise cinquantuno persone in una moschea a Christchurch, in Nuova Zelanda. Prima della strage aveva diffuso un manifesto ecofascista in cui scriveva che l’immigrazione è un attacco ambientale, un’invasione che distrugge la natura. Qualche mese dopo un attacco simile, a El Paso, in Texas, ventitré vittime, stessa dinamica, un altro manifesto, in cui l’assassino diceva che l’immigrazione dal Messico era una doppia minaccia, per i bianchi e per l’ambiente americano. Dieci anni prima, in Finlandia, un diciottenne uccise nove compagni di liceo gridando: «La rivoluzione ambientale è iniziata». L’assassino era un avido lettore di Pentti Linkola, un ambientalista radicale, un ornitologo e pescatore finlandese che aveva descritto così la sua distopia verde: controllo delle nascite, buttare via un prodotto funzionante come reato punibile col carcere, rieducazione in montagna per i consumisti, razionamento. Ecologia profonda autoritaria.
Leggere Ecofascisti – Estrema destra e ambiente (Einaudi), scritto dalla giornalista Francesca Santolini, è come entrare nella galleria degli orrori di un luna park, in cui ogni oggetto è riconoscibile e allo stesso tempo deformato. Subito dopo l’uscita, il saggio ha ricevuto una recensione sprezzante da Il Giornale, che vale come una medaglia. Luigi Iannone parla di «marketing editoriale che furbescamente affila gli artigli», «premesse illogiche», perché l’ecofascismo sarebbe «irrilevante sotto il profilo sociale, quasi nullo sul fronte dei consensi e trascurabile su quello culturale». Il che è allo stesso tempo vero e falso: l’ecofascismo non è un’emergenza politica, né un fenomeno di massa, ma è un laboratorio nel quale il pensiero reazionario prova ad aggiornarsi rispetto al cambiamento climatico. «L’ecofascismo non è un movimento organizzato», scrive Santolini, «ma una modalità organizzativa del pensiero ecologista più reazionario». Matti, lunatici, mistici, sociopatici, nostalgici del sangue e suolo nazista, eversori fissati col biologico come Jake Angeli, l’uomo con le corna di Capitol Hill, lettori di Julius Evola e Alain de Benoist. Tutti insieme appassionatamente. Ci riguarda? Ci riguarda.
In Italia l’idea che la destra possa essere così ambientalista da diventare ecofascista sembra impossibile, il dibattito pubblico da noi è fermo alle forme più elementari di negazionismo, i programmi di Retequattro che citano come se niente fosse i dati dei think tank finanziati dal petrolio (e prima ancora dal tabacco) come l’Heartland Institute, gli sketch di Cruciani e Franco Prodi contro Ultima Generazione, il discorso sul clima ridotto al format La Zanzara, lasciateci cantare, lasciateci inquinare in pace, da bravi italiani.
In altri Paesi europei la protezione dell’ambiente è già diventata una leva reazionaria più affilata. Il Rassemblement National francese ha una costola verde chiamata Nouvelle écologie, che propone una risposta patriottica al cambiamento climatico: abolire i negoziati Onu, chiudere i confini, fare dell’Europa la prima civiltà ecologica del mondo. Il British National Party sostiene di essere l’unico partito verde della Gran Bretagna perché l’unico che ha il coraggio di dire che la minaccia ecologica è la sovrappopolazione, effetto diretto dell’immigrazione. Hanno idee simili il partito nazionalista svizzero, Interesse fiammingo in Belgio, l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland, gli spagnoli di Vox. La formula migliore l’ha trovata Marine Le Pen che, giusto ricordarlo, è nello stesso gruppo europeo della Lega: «I confini sono il più grande alleato dell’ambiente, è attraverso essi che salveremo il pianeta. L’ambientalismo è il figlio naturale del patriottismo».
L’ambientalismo non è un’esclusiva del pensiero progressista, o di nessun pensiero, balla con chi se lo prende. La crisi climatica è una sostanza informe adatta a una lettura di sinistra, basata sulla riduzione delle diseguaglianze come strumento di mitigazione e adattamento. Ma si presta anche a una lettura liberale, tutta basata su tecnologia, finanza e capitale. Sembra funzionare con una lettura conservatrice, cioè lasciare tutto com’è perché tanto l’umanità se la caverà come se l’è sempre cavata (la destra italiana è più o meno tutta su questo punto). E si presta anche alla lettura ultra-reazionaria, l’ecobordering, la comunità dei virtuosi, chiudersi nella contea hobbit su misura di stato nazione e i barbari tutti fuori. Questa visione non ha nessun fondamento scientifico, è ancora più fuori dal mondo del negazionismo: l’atmosfera non ha confini, la crisi climatica non è una forma di inquinamento ambientale, il riscaldamento globale non è una contaminazione locale che si può tenere dall’altra parte di un muro.
Ecofascisti racconta quest’ultima illusione, che oggi è ancora tutto sommato marginale, ma non è detto che rimanga tale a lungo. La destra, a differenza della sinistra, è più a suo agio nel normalizzare quello che proviene dai suoi estremi. Le cricche reazionarie sono il suo indotto ideologico, piccoli centri di produzione che fabbricano idee come se fossero ordigni o virus, andando per tentativi ed errori. La linea di pensiero più forte è quella che collega l’ambientalismo con la xenofobia. Era il pensiero dei killer suprematisti di Christchurch ed El Paso, è l’ideologia nascente dei gruppi nazionalisti, la lettura della giovanile di AFD e di tutte le estreme destre nuove o nuovissime: e se potessimo dare anche questa colpa ai migranti? Contare le emissioni dei loro viaggi, il loro impatto ambientale, la loro impronta ecologica e di carbonio, e ritorcerla contro di loro. Sembra una torsione impossibile del pensiero, anche perché oggi e sempre più le migrazioni internazionali avranno una causa ambientale e climatica. I migranti scappano da danni provocati dalle economie più responsabili della crisi climatica, cioè da noi.
L’estrema destra nei suoi laboratori ecofascisti sta sperimentando idee per rovesciare tutto, trasformare il migrante in capro espiatorio ambientale. Funzionerà? È difficile dirlo. Però sappiamo che l’Europa è il continente più sotto pressione al mondo dal punto di vista climatico, si scalda al doppio della velocità globale. Quello che già oggi globalmente è +1.2°C rispetto all’era pre-industriale, da noi è +2.4°C. Quando il mondo supererà +1.5°C, noi saremo già a +3°C. Insomma, non abbiamo ancora visto niente dell’impatto climatico che rischia l’Europa, continente caldo e politicamente sempre più agitato. Cosa succederà se e quando la crisi climatica, con tutte le sue conseguenze pratiche, andrà fuori controllo? A chi daremo la colpa? A noi stessi, alle aziende oil & gas, alla politica? Oppure, in quel momento l’ennesimo argomento proveniente dall’estrema destra sarà normalizzato e nei talk show sentiremo dire che non possiamo accogliere altri migranti perché c’è la siccità e l’acqua non basta per noi, perché dobbiamo darla a siriani ed eritrei?