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Capitalismo con mollica

Da Tommaso Mazzanti dell'Antico Vinaio a Donato De Caprio di Con mollica o senza, viviamo l'era dei superpaninari nati come fenomeni social e diventati imprenditori di talvolta inspiegabile successo.

di Giuseppe Luca Scaffidi

Nel giro di pochi mesi, Donato De Caprio ha portato a compimento un arco di trasformazione da fare invidia ai protagonisti dei bildungsroman più blasonati. All’inizio del 2022 la sua vita era quella di un pizzicagnolo normalissimo, stipendiato, ammogliato e tutto sommato felice: lavorava come salumiere in un piccolo negozio di alimentari partenopeo, canticchiando motivetti neomelodici, infarcendo rosette e sfilatini e interagendo con la clientela in modo scanzonato e cordiale. Soprattutto, ai tempi – dirlo oggi è quasi dissacrante – usava i social come la maggior parte delle persone. Si limitava a condividere scampoli di vita privata, come noi comuni mortali non “smollicati”: le passeggiate in centro con i figli, le dediche musicali alla moglie, l’euforia per le partite del Napoli e via discorrendo.

Le cose sono cambiate nel febbraio dello scorso anno, quando (forse senza rendersene conto) De Caprio si è improvvisato sceneggiatore e ha scritto la sua personalissima origin story, quella che nei fumetti americani assolve alla funzione di far conoscere al lettore le modalità che hanno portato l’eroe di turno a venire a conoscenza del proprio superpotere. Il suo morso di ragno è arrivato in maniera totalmente inaspettata, mentre si filmava nell’atto di riempire uno sfilatino con prosciutto cotto e carciofini. A quel punto, De Caprio ha preso contezza del suo vero talento: elevare un’arte modestissima e ancestrale – letteralmente: riempire due fette di pane – al rango di performance situazionista. Di più: De Caprio è riuscito a generare un’impronosticabile ondata di interesse nei confronti dell’alimento più ordinario, semplice, atavico e nazionalpopolare che esista.

Seguendo l’hashtag #panino su TikTok, ci si imbatte quasi esclusivamente in contenuti riconducibili a Donato e al particolare microcosmo che è riuscito a forgiare a suon di taralli sbriciolati, mortadelle tartufate, prosciutti crudi al barolo e nocciole di Vico. Attorno al suo claim pavloviano, “Con mollica o senza?”, è venuta a crearsi una comunità intergenerazionale e fidelizzatissima, quella degli “smollicati”, che apprezza i suoi contenuti per motivi che vanno al di là di quello gastronomico: c’è chi guarda i suoi tiktok per andare a dormire, calmarsi, chillare, o semplicemente per rimanere spiazzato davanti all’espediente narrativo che sfoggerà per trasformare la preparazione di un panino nell’ennesimo spettacolo d’arte varia.

Non dovesse bastare, quando vuole questo paninaro con capacità istrioniche fuori dal comune sa anche essere divisivo. Ha dato sfoggio delle sue doti teatrali anche di recente, quando ha dedicato al piccolo Nial, un bambino scomparso prematuramente a causa di un arresto cardiaco, uno speciale “smollicato” con stracciatella di bufala, bresaola e mozzarella, diventando per un giorno il nemico pubblico numero uno di una metà del Paese e l’eroe della domenica dell’altra. Il capolavoro imprenditoriale e comunicativo di De Caprio è culminato nell’apertura di un franchise con ottime prospettive di crescita: il taglio del nastro con tanto di bagno di folla dello scorso 12 ottobre, giorno dell’inaugurazione della sua seconda salumeria a Milano, è stato solo l’ennesima certificazione delle capacità di questa sorta di mogul dei salumieri nostrani. Se riletta con le lenti odierne, la parabola working class di De Caprio sembra quasi una fotografia sbiadita: oggi quell’anonimo salumiere è un colosso da 4 milioni di follower su TikTok, una specie di startupparo illuminato della gastronomia prêt-à-porter.

Risalire all’origine della catena di eventi che ha generato questo cortocircuito sociale e gastronomico è difficile. Alle nostre latitudini il panino non era un fenomeno di costume almeno dagli anni Settanta, quando furono pubblicati due libri che rivelarono al Paese l’esistenza di un nuovo campo alimentare, con i suoi riti e i suoi valori: 201 panini d’autore di Cesare Cremoni e Anna Maria Mojetta e I panini freddi e caldi salati e dolci mignon e formato famiglia, classici e nuovi croste, crostini, focacce ripiene, false pizze di Elena Spagnol. Furono testi seminali che, come ricordano Alex Revelli Sorini e Susanna Cutini, affrancarono questo alimento dal sottobosco delle botteghe e delle salumerie per innalzarlo a simbolo di una nuova società dei consumi che andava di fretta e voleva allontanare a ogni costo lo spauracchio della stasi, soddisfacendo un bisogno di frugalità e velocità di fruizione.

Forse il successo di De Caprio è la manifestazione più evidente di un ritorno di tendenza che nessuno poteva prevedere: è la revanche dei paninari, la risuscitazione di un prodotto talmente routinario e dimesso da risultare quasi scontato. I prodromi di questa rivoluzione, però, potevano essere rintracciati già prima che De Caprio diventasse un fenomeno su TikTok: prima di “Con mollica o senza?” ci fu “Bada come la fuma”, lo slogan di Tommaso Mazzanti, il fondatore di quell’entità ciclopica chiamata All’Antico Vinaio.

Mazzanti aveva previsto un futuro roseo per i panini già una decina di anni fa, quando diede inizio a una timida espansione con l’apertura del suo secondo locale in via de’ Neri a Firenze. Nel 2019 si trasferì a Manhattan per un mese, inaugurando un pop–up che gli permise di esportare le sue schiacciate all’interno della pizzeria Enoteca Otto di Joe Bastianich (con numeri impressionanti: 400 panini venduti in 3 ore durante la prima giornata). Appena due anni dopo avrebbe aperto la sua prima sede a New York, nei pressi di Times Square, e le sue schiacchiate avrebbero incassato l’endorsement di due potentati editoriali come il New York Times e il New Yorker.

In un’intervista rilasciata a Gambero Rosso, il diretto interessato ha ammesso di essere stato copiato praticamente da chiunque, ma anche che i tentativi di imitazione della concorrenza non lo disturbano affatto. «Mi gratifica, me lo hanno detto in molti che hanno preso spunto da me. In America mi hanno sempre detto che la concorrenza non è un male se è fatta lealmente e in maniera imprenditoriale. Se vedo un bar che lavora, cerco di capirne il motivo. Se mi copiano è un vanto perché si copia dai migliori, e le copie non sono l’originale». Provate a dargli torto: il solco aperto da Mazzanti è sotto gli occhi di tutti. I franchise che propinano ai consumatori in pausa pranzo panini, “durini”, “d’autore”, “ignoranti”, “doc”, “tosti”; sono ormai una presenza asfissiante, un costante invito a immergersi in questa distopia wilkiana fatta di creme tricolori, prosciutti San Daniele stagionati 234 mesi e sale dell’Aconcagua.

È merito (o, secondo alcuni, colpa) di persone come Mazzanti se la pratica di affrontare ore di fila per ottenere come contropartita un panino – che, nella stragrande maggioranza dei casi, potrebbe essere preparato in casa senza nessuno sforzo in termini di tempo e fatica – è stata pienamente normalizzata. Forse un giorno ci sveglieremo da questa allucinazione collettiva e smetteremo di affrontare code chilometriche per assicurarci una ciabattina imbottita con ingredienti dozzinali che potremmo tranquillamente acquistare in un qualsiasi supermercato.