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La non violenza non può essere un crimine
Diverse leggi approvate fin qui dal governo Meloni criminalizzano la protesta pacifica: ma la storia del '900 dimostra che il mondo è migliorato anche grazie alle azioni non violente.
È conosciuto soprattutto per le misure sulle intercettazioni ma nella logica dell’omnibus ci è finito dentro di tutto, e tra questo tutto pure il passaggio dalle sanzioni amministrative a quelle penali per chi manifesta il proprio dissenso sulle strade anche “ferrate” come si legge. È l’Atto Camera 1660 (che emenda il vecchio decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66) recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”. Qualcuno lo ha chiamato Decreto Sicurezza o Decreto Piantedosi, così come uscito dalla Camera e passato al Senato, dove è atteso all’approvazione con eventuali modifiche. Gli emendamenti attuali danno l’idea dell’inasprimento delle pene: «Con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000 » sono sostituite dalle seguenti: «Con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro» e «La pena è della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite». Le polemiche sono venute a cascata ma non solo per quello che “dice” l’articolo 14, anche per gli altri che trattano di intercettazioni e cannabis, schede Sim ai non italiani e molto altro.
Nelle sintesi dal sito Camera, in particolare, si legge che «l’articolo 14 prevede che sia punito a titolo di illecito penale – in luogo dell’illecito amministrativo, attualmente previsto – il blocco stradale o ferroviario attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo. La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite». A leggerlo così in filigrana il passaggio da amministrativo a penale sembra la cancellazione di decine di anni di lotte nonviolente. Ma, soprattutto, s’intuisce una radicale repressione in atto contro i cittadini che protestano in maniera nonviolenta: identificati, seguiti e portati a processo. Una cosa che impatta su molti. Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, ha bollato il provvedimento sicurezza del governo Meloni definendolo «un modello di “cattivismo” che intacca profondamente, tra gli altri, il diritto di protesta pacifica inasprendo criminalizzazioni o introducendone di nuove».
Nel sito Fridays for Future Italia leggiamo che «il movimento si oppone con forza all’approvazione anche ad altre misure recenti del governo come la proposta di autonomia differenziata, che acuirà le disuguaglianze, anche ambientali, e del DDL 1660 (Decreto Sicurezza), una delle leggi più liberticide della storia della Repubblica, consapevole che la fortissima repressione e criminalizzazione delle proteste per la giustizia climatica e sociale è un sintomo della mancanza di risposte concrete ai problemi materiali del nostro presente. Il governo non riuscendo a convincere con la propaganda, prova a farlo con la forza». E tornano alla memoria le immagini di uno degli ultimi arresti della loro leader mondiale Greta Thunberg, kefiah al collo, mentre protesta per la guerra in Palestina ma accendono anche la memoria delle battaglie per Assange o Regeni o Zaki.
Michel Forst, relatore speciale Onu sui difensori dell’ambiente, l’ha definita “criminalizzazione del dissenso”. Il vento sta cambiando direbbe qualcuno tronfiamente. Siamo sicuri? Perché intanto il clima che non migliora – nonostante corposi e fruttuosi investimenti – è sempre più presente nelle agende degli Stati. E le guerre – o più che altro il loro costo – aumentano con gli ultimi conflitti ma hanno un occhio di bue addosso grazie alle associazioni pacifiste che le contestano. L’ideale però, sembra dire il ddl, è che tutto accada senza troppe proteste o rallentamenti sulle tangenziali.
Fa sorridere – e arrabbiare anche se un po’ meno e poi capirete perché – rileggere Le tecniche della nonviolenza di Aldo Capitini riuscito in questi giorni per Manni Editore. Pubblicato la prima volta nel 1967 e scritto sulla falsariga dei “manuali di guerriglia” che circolavano in quegli anni, ma opposto nella vocazione, sembra utopico letto in questo intrico di atti parlamentari e corse verso l’ordine (ri)stabilito. Il libro contiene la storia delle pratiche e tecniche pacifiste, con esempi concreti e ora non più replicabili stante il ddl in corso di approvazione, come marce, boicottaggi, scioperi, digiuno, sabotaggi e noncollaborazione sulla scorta delle esperienze storiche di Gandhi e Martin Luther King.
In era social forse diventati più pervasivi ed efficaci nonostante il disimpegno paventato della Generazioni Z. Nell’introduzione Goffredo Fofi con amarezza rilancia che «è sconsolante rileggere Gandhi, la Weil, Capitini alla luce di quanto oggi avviene, di quanto continua ad avvenire e certamente non ha mai smesso di avvenire anche se non volevamo saperlo e non volevamo vederlo. Quel radicalismo ci sembra allo stesso tempo più che necessario e però infinitamente utopico, ché ogni segnale che ci manda la realtà sembra smentirlo, lo smentisce». Eppure le lotte nonviolente nel mondo hanno i loro successi. Nel gennaio 2021, in India, decine di milioni di persone sono scese in strada per uno sciopero nazionale di protesta. E, sempre quell’anno e il precedente, Samyukt Kisan Morcha, il fronte dei contadini indiani, con modalità pacifiche, si è accampato alle porte di New Delhi, ottenendo la cancellazione di tre leggi – le cosiddette black laws – che liberalizzavano il mercato agricolo a favore delle grandi imprese e contro le organizzazioni del mondo rurale. Direte “certo in India, nella patria di Gandhi e dove se no”. Ma da noi il Satyagraha che successo ha?
Franco Avati del Movimento per il Disarmo & Associazione Culturale e di Edizioni MID spiega: «Gli atti parlamentari riguardo giurisprudenza penale e provvedimenti nuovi in programma e proposta dal Governo in materia di sicurezza sono a mio avviso una proposta politica liberticida che va contro la cultura di libertà di manifestare. A mio avviso le realtà dei giovani come Ultima Generazione e Extinction Rebellion applicheranno l’insegnamento di Gandhi a proposito della Disobbedienza Civile e Io li comprenderò perché secondo me sono sempre i giovani a salvare l’umanità dalle guerre anche politiche e ingiustizie sociali liberticide».
Sul sito di Ultima Generazione campeggia il titolo di un articolo vuoto che dice “Roma, ddl Anti Gandhi alla Camera, arriva la sorveglianza speciale” e dice “Due nuovi esempi della strategia di accanimento del governo contro chi protesta”. E Fede Merlin, una neodiciottenne studentessa padovana, da giovane crede ancora nel messaggio-Capitini «scritto per gli anni 60 e 70 ma ancora attuale». Nonostante il ddl crede ancora nelle lotte ma è preoccupata: «Ho paura del carcere, nessuno di noi ha la statura spirituale di Gandhi ma non credo che il decreto spegnerà la lotta. Trovo assurdo che io non possa essere preoccupata per il mio futuro e manifestarlo quando una serie di indicatori seri mi dicono che è in pericolo. Dietro vedo la volontà non di cancellare una preoccupazione ma di sostenere chi quella preoccupazione ha contribuito a crearla. E questo è preoccupante non solo dal punto di vista della democrazia».
Il sito di Extintion Rebellion mostra la foto di un loro striscione che dice “SETTE GOVERNI DECIDONO IL MONDO INTERO BRUCIA” e un comunicato stampa congiunto delle due associazioni con Legal Team Italia, Osservatorio Repressione e Giuristi Democratici riportato per intero sottolinea come la strategia del DDL 1660 sia quella di rendere il cittadino «un docile oggetto di controllo, in una società che si vorrebbe plebiscitaria». E chi si ribella finisce per essere considerato un “soggetto estraneo” al modello di società, che deve essere punito. «È un modello – spiegano – di società estremamente pericoloso ed estraneo ai principi costituzionali. Se il disegno di legge sarà approvato, siamo certi che molte delle sue norme saranno dichiarate incostituzionali. Nel frattempo, però, avranno fatto germogliare nella società le malepiante politiche e culturali che le nutrono, oltre ad aver colpito le persone che ne saranno nel frattempo state vittime». Anche qui, nessun accenno alla resa.
Scriveva Capitini, che è stato il fondatore della rivista Azione Nonviolenta, nel suo libro ora ridato alle stampe, una verità che suona profetica anche se dolorosa: «Ai due elementi, Verità e Nonviolenza, si aggiunge strettamente il terzo, che è la propria sofferenza. Non è possibile intendere il Satyagraha senza comprendervi la prontissima disposizione a soffrire, che è la garanzia della sincerità e serietà delle posizioni che si difendono, la prova che il satyagrahi non vuole schiacciare l’avversario, trionfare su di lui, ma soltanto persuaderlo. Dice Gandhi: “La Verità si difende non facendo soffrire il nostro avversario, ma soffrendo noi stessi”».
Michele Boato, autore del saggio-guida Nonviolenza per la Terra: dalla parte di acqua, aria, foreste e popoli nativi, ricco di 69 storie offerte da 20 Paesi dice «è evidente il ritorno a tempi bui come quelli delle leggi di Scelba, contro contadini e operai (anni ’50) e di Reale, col fermo di polizia, soprattutto contro gli studenti e i movimenti extraparlamentari (anni ’70-’80). Perciò vanno studiate bene le forme di lotta in modo che prevalga l’efficienza della nonviolenza sulla prepotenza della repressione, per non essere costretti a spendere tutte le energie in difesa dei militanti fermati/arrestati piuttosto che nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, ambientali o sociali». Da questo punto di vista risultano illuminanti i precedenti, spiega Boato: «Bisogna confrontare la sconfitta di Budapest (1956, 20 mila morti) e la (parziale) vittoria di Praga (1968, 72 morti) rispetto a identiche occupazioni militari russe oppure tra le vincenti lotte di liberazione indiana (nonviolenta con 30 mila morti su 300 milioni di abitanti) e quella algerina (violenta con 300 mila morti o più su 20 milioni di abitanti)».
La gente ha fretta di andare a lavoro o di tornare a casa (la politica su mezzi di soccorso e ambulanze è, invece, a prova d’incidenti vedi le Faq di Extinction Rebellion). Eppure, il mondo – società, lavoro – e persino la natura hanno i loro difetti di fabbrica. Riparare il mondo, se si può e soprattutto si è potuto, è ed è stato merito delle azioni non violente. Sempre Fofi, nell’intro a Capitini, cita Anna Maria Ortese quando ripeteva che la creazione è imperfetta, e sta a noi intervenire per cambiarla. Riparare il mondo non è un’impresa naturale né creazionista. L’acqua non va al mare – la metafora è dolorosamente attuale e tragica – delle volte le azioni servono e spesso quelle non violente sono disinteressate ed efficaci ma per ora – dice La Politica forse incoraggiata dall’Economia – toglietevi dalla strada “ferrata” o meno che sia.