Soprattutto grazie a "Confession", bellissima canzone a lui dedicata dall'amica Mylène Farmer.
Al di là di dire “io c’ero”, raccontare un concerto dei primi anni ’80 vuol dire raccontare qualcosa che ancora non era ma aveva le premesse per essere. Tutto in quei tempi sembrava essere così, guardandolo adesso. A cominciare da un tendone circense nella spianata laterale della Cristoforo Colombo, appena a lato della vecchia Fiera di Roma, una landa cristallizzata nell’abbandono, unica funzione possibile ospitare rave o prestarsi a luogo buono per l’urbex.
Questa storia è una storia piena di necrologi, se ci penso. Non ci sono più gli Smiths (uno di loro, Andy Rourke, è anche morto e con lui e prima di lui qualunque possibilità di reunion o galà punkettoni), non c’è più la ex Fiera e neanche il tendone del concerto, una struttura priva delle ormai tipiche brandizzazioni se non quella, allora, di una famiglia di acrobati e domatori, i Togni. Il fatto che stiamo parlando del concerto sia quello degli Smiths, la loro unica data italiana, il 14 maggio 1985, aggiunge qualcosa a questa storia piena di necrologi.
Tutto sembrava la premessa di tutto in quella serata. A cominciare dal culto di una band di cui nessuno sapeva più di quello che riportavano le cronache di Rockerilla o Rockstar, o voci come quella sempre attenta ai fenomeni culturali giovanili di Pier Vittorio Tondelli e del promoter Paolo Bedini, che li aveva portati in Italia con un telex da Sarzana, La Spezia, costato diverse migliaia di sterline. In quegli anni, sapere le cose era una caccia. Cercare una copia in edicole iperfornite di NME, Melody Maker, riviste che sembravano fanzine, fanzine vere e proprie che sembravano la versione per il tempo di pace dei ciclostilati della lotta armata.
Persino il vinile sembrava una premessa e basta. E l’attesa che rappresentavano quei suoni fruscianti anticipava l’emozione che sarebbe arrivata, resa ancora più esplosiva proprio dai tempi dilatati della ricerca ossessiva di dischi di importazione. Tutto era attendere, in quel tempo. La scoperta della data di un concerto grazie al passaparola o al canale di una radio libera come era a Roma Radio Città Futura, 97.7 in modulazione di frequenza. Persino la fila a prendere i biglietti di carta. Una fila fisica e arrembante, in quella Roma spezzettata in alcuni santuari per gli appassionati, come il negozio di dischi Disfunzioni Musicali a San Lorenzo. Il biglietto era un semplice contraccambio di un tagliandino di carta rosa pallida con scritto in nero SMITHS e qualche sponsor tecnico, un ricordo che sarebbe stato conservato in un cassetto, a casa, fino al concerto, per timore di perderlo. Storie di ordinaria materialità.
Fu un concerto senza paragoni. Per gli Smiths non ci sono i palchi rotanti come per gli U2 o gli stadi come i Rolling Stones. Tutto nasce e si consuma tra 2 o 3 mila fan impazziti, che fumano e bevono birre e vino in bottiglia con tappo a vite, incuranti di qualunque limitazione imposta dalla salute o dall’ordine pubblico. Fumare dentro il tendone fu in ogni caso una pratica consentita. Del walkman AIWA con cui registrai, usando una cassetta TDK, l’intero concerto non ho ricordi. Dove l’ho nascosto? Non me l’hanno sequestrato nel corso della serata.
Insomma, raccontare gli anni ’80 partendo dalla luce di una serata vagamente psichedelica fatta di flower power e camicie fantasia è una sfida al tempo. Sono qui solo per dire che c’è un bootleg – forse uno di quelli che si trova in rete è il mio – caricato su YouTube di quella serata. Di immagini in realtà non ne esistono, se non qualche scatto di Mario FoB Rosati che gira su internet e che lui ancora si emoziona a ripensarci. E poi ci sono i ricordi che ognuno dei presenti sente il bisogno di condividere con altri presenti, anche solo per avere una conferma di esserci stato davvero.
Il 14 maggio 1985, per essere filologici, degli Smiths in Italia girava solo qualche ospitata a Top Of The Pops o a Tube. Il resto sono tutte fantasie che ci eravamo fatti da soli nelle nostre camerette. Prima fra tutte quella che esistesse un gruppo che rispondeva al nostro bisogno di poesia e rock messi insieme, una band che coniugasse palco e intimità facendoci sentire orgogliosi di essere rockettari e di avere un libro tra le mani. Citando gli Smiths, di quel 14 maggio di 40 anni fa posso dire che Questa notte mi ha aperto gli occhi.
Tutto quello che avanza è l’indicibile che tutti accettiamo come mistero: quello di essere stati incommensurabilmente felici e dolorosamente infelici adolescenti (a prescindere da quale decennio sia il decennio in cui si è vissuto questo rito di passaggio) senza ricordare bene come tutto sia iniziato né finito.