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Il piacere di comprare vino online

Il bello di scappare da supermercati ed enoteche per affidarsi a un universo da scoprire a poco a poco, tra entusiasmo e curiosità geografiche.

di Davide Coppo

Foto di Dan Kitwood/Getty Images

La maturità si acquisisce lentamente e a costo di fatica e di errori, o almeno così mi è sempre sembrato, ma mi è anche sembrato di trovare, talvolta, piccoli gradini netti e improvvisi da scalare, conquiste nette e definitive. Vestirsi “da grande” con naturalezza e senza imbarazzi adolescenziali. Pagare una multa subito, senza nascondere la busta lontano dagli occhi e dal cuore, anche. Accorgersi che mangiare e bere bene spendendo un po’ è tutto sommato meglio, soprattutto. Qualcosa legato alla pulizia domestica e all’ordine, anche, sicuramente. Di questi piccoli gradini, uno dei più importanti è per alcuni la decisione di farsi una propria piccola cantina di vino in casa. Non nel senso di produrlo, anche se volendo e disponendo di uno spazio nemmeno troppo grande si potrebbe fare con facilità, ma in quello, più comodo, di raccogliere in dispensa un certo numero di bottiglie di diverse varietà e uvaggi, così da non dover recarsi al supermercato ogni sera prima di cena.

A fare un passo indietro, parlando di vino, ci sarebbe da superare anche il gradino del supermercato: abbandonare gli scaffali di Esselunga o Carrefour è un percorso che conclude idealmente quello che si inizia quando, in un imprecisato momento intorno ai vent’anni, si apprende – di solito senza insegnamenti esterni – che esiste un intero mondo sopra i tre euro, e che il momento è giusto per esplorarlo. Parliamo, quindi, di creare una cantina che non si basi sui supermercati, sugli Est! Est!! Est!!!, gli Aragosta o la finta ricercatezza dei Feudi Di San Gregorio. In enoteca, dunque. Quelle con mescita, che chiamiamo wine bar, o quelle senza, più classiche e ingessate, spesso brutte da vedere e con i commessi ostili ormai in là con gli anni. Oppure, ed è uno dei settori più in crescita in Italia perché era tra quelli rimasti più indietro negli ultimi anni, online: rispetto al mercato dei viaggi, a quello dei libri, a quello della moda, i vini sono estremamente conservatori. Il consumatore medio è maturo, non si fida delle transazioni online, e poi le bottiglie magari si rompono, a trasportarle. In più, mancava un player in grado di fare quello che Amazon ha fatto con i libri, insomma, il vino era una cosa vecchia e con un mercato per persone vecchie, almeno prima che una specie di nuova onda iniziasse a spazzare le coste da queste parti, da qualche anno a questa parte.

Il panorama italiano delle enoteche online, per chiamarle con questo nome che continua a sembrarmi imbranato, è però ancora molto legato a un internet da primi anni duemila. Hanno nomi tipo Callmewine o Xtrawine, Soundtaste o Vinitaly Wine Club, in inglese e che ricordano i programmi per scaricare musica illegalmente del 2005, hanno grafiche spoglie, sembrano talvolta siti per incontri di persone di mezza età. C’è un’eccezione, e vorrei dire che questo articolo è sponsorizzato dall’eccezione, ma purtroppo non lo è: Tannico, fondato nel 2012, più di un milione di bottiglie vendute nel mondo, 14,9 milioni di euro di fatturato, ricavi in crescita del 40%, e tutti questi ottimi titoli per giornali e comunicati stampa. Soprattutto, dal punto di vista di un utilizzatore, è bello, è facile, mi consiglia le bottiglie che mi piacciono e mi manda una newsletter che ogni volta non riesco a non aprire, ha un bel copywriting e parla una lingua diversa rispetto a quella, tradizionalmente, associata al vino.

Foto Afp/Lionel Bonaventure

Che a lungo è stata percepita come ampollosa e vecchia, presuntuosa, barocca, eppure è un’abitudine nuova, dei tardi anni Novanta, e piuttosto scema. Più il vino è di valore, più scemenze gli vengono accostate, come in una parodia di un pezzo di Battiato: miele di eucalipto di Okkaido, sigarette egiziane di contrabbando, fiori d’arancio appassiti tra i muschi. In molti, a partire dagli Stati Uniti, stanno muovendosi per asciugare questi eccessi. Matt Kramer, per fare un esempio, è un editorialista dello Wine Spectator e autore di un manifesto chiamato True Taste in cui sostiene che soltanto 6 parole siano necessarie per parlare di una bottiglia. Le schede di Tannico sono semplici, alle note di degustazione sono dedicate poche righe precise, e molto spazio è riservato alla cantina, alla sua storia, al territorio e al metodo di lavorazione. Succede così che uno si interessa sì al sentore di mele renette, ma inizia ad associare il vitigno al luogo geografico, a navigare tra monti e vallate su alpi e appennini, a capire cosa significa, al palato, un certo tipo di affinamento, a valutare il piacere della macerazione, a godersi il lusso di un’anfora.

Il mondo del vino online è ricco di produttori medi e piccoli e, soprattutto, in grado di raccontarsi bene. Anche attraverso le etichette, i nomi, un marketing semplice ma fatto spesso nel migliore dei modi. Al consumatore – come a me, da oltre un anno – si apre un mondo nuovo: per una volta possiamo ringraziare le macchine e la fredda automazione per toglierci l’ansia di inservienti saccenti e incalzanti, scaffalature mute che incombono senza spiegazioni, i rischi di acquisti affrettati e troppo costosi. E così, felicemente, riempio le mie casse a domicilio svuotando il conto in banca, con un affascinante rosso di Salina della cantina Hauner grazie a cui posso pensare al mare delle Eolie anche a novembre e in città, con il triste tramonto pomeridiano; con un cerasuolo fermentato in anfora in Abruzzo; faccio tuffi in Alsazia attratto dalle bottiglie con il collo da Modigliani e imparo ad amare il vituperato Sylvaner; scopro piccole cantine sulle Colline del Milanese, altra zona disprezzata e invece capace produrre un bianco che sa ricordarmi, frizzante e acido, i racconti contadini dell’infanzia.

Svuotata da libri poi ricollocati in altri posti, una parte di libreria si trasforma in una dispensa di etichette di bianchi e rossi e rosati e arancioni, frizzanti e non, bottiglie di altezze e opacità varie, bordolesi, alsaziane e albesi. Come i libri che hanno sostituito, mi abituo a non berne una dall’inizio alla fine, ma stappo, verso e poi interrompo, mi stanco di uno per aprirne un altro, e allora il giorno dopo devo invitare qualcuno ad assaggiare qualcosa per non far sciupare i fondi già aperti. È un arredo vivo, che si rinnova con la sete, e in un certo senso si usa in modo simile a quello che ha sostituito: etichette, geografia e storie, sempre quella cosa lì.