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Dobbiamo aver paura del cibo perfetto?

Le super-fragole create da Plenty sono una perversione tecnologica oppure no?

di Davide Coppo

Una donna raccoglie fragole in una fattoria verticale (foto scattata il 27 aprile 2018 nella città di Visbek, nel nord della Germania, Mohssen Assanimoghaddam/Getty Images)

Ci sono molte cose più frustranti di mordere una fragola, una delle prime della stagione primaverile ed estiva, e trovarla insipida, e dura, e niente affatto succosa, ma se scegliamo di rimanere nell’ambito delle frustrazioni alimentari, no, non ce ne sono molte: le fragole acerbe sono una delle più grandi delusioni gustative che si possano incontrare, in questo esteso mondo. È inutile lasciarle maturare i giorni successivi su uno scaffale della dispensa: le fragole sono frutti non climaterici, come le ciliegie, e a differenza di pesche, banane o albicocche, e una volta staccate dalla pianta madre smettono di evolversi. I frutti in quel cestino saranno acerbi perché, probabilmente, sono stati colti troppo in anticipo, e questo anticipo è, probabilmente, dovuto al fatto che dal luogo di raccolta a quello di vendita sono dovuti passare parecchi chilometri e parecchie ore, o giorni: una fragola già matura si sarebbe consumata in fretta, e sarebbe arrivata sul banco del mercato, o del supermercato, a un passo dal deterioramento.

Ma viviamo in una società che sembra poter avere una soluzione per ogni problema, ed esiste allora una compagnia che ha deciso di risolvere – per sempre – il problema delle fragole acerbe, e di guadagnarci, risolvendolo, moltissimi soldi. Si chiama Plenty, è naturalmente californiana, e ha finora ricevuto oltre duecento milioni di dollari in venture capital (il primo investimento finanziario di rischio per una startup) da investitori come Eric Schmidt di Google, Jeff Bezos di Amazon, e holding come Softbank. Il suo sito ha una bella grafica, sembra quello di un’azienda di design o di una cave au vin alla moda in cui è tutto giusto e al posto giusto: le foto, quadrate, mostrano ciotole sature di verdure alla julienne e mezzi agrumi appoggiati con finta distrazione su piani di lavoro di cucine minimaliste. Plenty produce, per ora, soltanto alcune varietà di insalata, ma il vero obiettivo, ha raccontato un articolo sulla rivista di Medium One Zero, è quello di prendersi il mercato delle fragole, uno dei più redditizi degli Stati Uniti. Il fondatore, Matt Barnard, è sicuro di poterlo fare e di avere un vantaggio netto sulle compagnie avversarie, che è quello del “vertical farming”, il modo in cui cresce tutte le verdure di cui si occupa: ovvero al contrario che in un campo, in cui tutto è all’aperto e disposto orizzontalmente sulla superficie della terra, ma indoor e appunto verticalmente, su scaffali idroponici illuminati e ventilati artificialmente.

La coltivazione verticale non è una novità totale, ma si sta specializzando: se Bruce Bugbee nel 2016 scriveva sul New York Times che «il problema fondamentale è che le piante hanno bisogno di luce: è gratis all’aperto, ma se spostiamo tutto al chiuso dovremo bruciare un sacco di combustibili fossili per sostenerlo», chiudendo con la convinzione che «il vertical farming funziona solo se ci metti a fianco un reattore nucleare», Plenty dichiara di potersi sostenere interamente a energia eolica e solare. Per il momento basata soltanto nella Bay Area di San Francisco, l’obiettivo di Plenty è quello di creare una sede vicino a quante più città possibili per risparmiare sui costi, economici e gustativi, delle centinaia o migliaia di chilometri di viaggio, e poter rifornire gli scaffali dei punti vendita di fragole mature al punto giusto e con un sapore perfetto.

Le fragole su cui Plenty sta lavorando non sarebbero però quelle che troviamo normalmente in commercio. All’esterno bisogna proteggere le piante e frutti da agenti dannosi, irrorare il terreno con concimi e fertilizzanti, e così via. Ma crescendo i frutti in un ambiente asettico e protetto dal mondo esterno, Plenty è certa di poter evitare qualsiasi semenza geneticamente modificata o pesticida chimico: l’obiettivo è creare, in laboratorio, la fragola perfetta. Per fare questo, al momento – è l’estate del 2019 – sta testando, una contro l’altra, undici cultivar (le diverse varietà agrarie di una specie botanica) da cui sviluppare la super-fragola, quanto più rossa, morbida e piena di zuccheri possibile. Suona come una orribile perversione tecnologica della natura? Può darsi, ma in un certo senso Plenty non fa altro che fare ciò che l’uomo ha fatto per secoli.

Un operaio durante il controllo delle torri di coltivazione verticale (19 febbraio 2019 a Newark, nel New Jersey, Angela Weiss/Afp/Getty Images)

La divisione tra attività dell’uomo – tecnologia – e natura “selvaggia” è un fraintendimento vecchio di decenni – almeno quanto il Romanticismo e la Rivoluzione industriale – ma resistente come il mogano: una natura “naturale” e indipendente dagli esseri umani, in realtà, non esiste, e ogni pensiero ecologico, per essere davvero utile, deve tenerne conto. «Quando l’Homo Sapiens fece la sua comparsa in questo mondo», scrive Elio Cadelo, «la natura non aveva previsto il suo arrivo: gli alberi non avevano frutti commestibili, le piante non fornivano cibo». Quando addentiamo una banana o una pesca stiamo mangiando un prodotto creato dalla natura grazie alla collaborazione dell’uomo.

Uno dei possibili ostacoli alle ambizioni di Plenty è quello della debolezza delle fragole, se non doverosamente protette da agenti nocivi. Il Ceo Matt Barnard è sicuro che nulla possa introdursi dentro una “fabbrica di fragole”, ma la più diffusa fragola commestibile, Fragaria x ananassa, è molto fragile: il solo fatto che possa esistere ed essere così diffusa, scrive Elizabeth G. Dunn su One Zero, è «un trionfo della scienza sulla natura». L’estrema fragilità è una condizione non rara tra gli incroci più diffusi, e mi ha ricordato quella delle rose, o meglio, di quella che oggi la maggior parte di noi considera La Rosa, vale a dire la Tea Ibrida. Anche le rose più comuni, come le conosciamo oggi – il bocciolo, lungo come un becco, i pochi petali carnosi avvolti intorno al centro – non sono prodotti “della natura”. Sono, anzi, piuttosto disprezzate dagli appassionati di rose, che le considerano una barbara semplificazione di quelle che dovrebbero essere le “vere rose”, ovvero quelle antiche, diversissime dalla Tea Ibrida, dalla forma complessa, e con due caratteristiche importanti: un’unica fioritura all’anno, e una struttura arborea massiccia. Come racconta Michael Pollan in Una seconda natura, le Tea Ibrida iniziarono a diffondersi di pari passo con la crescita della classe media, che non disponeva dei grandi giardini aristocratici – e voleva piante più piccole, che potessero crescere in uno spazio limitato – e che non intendeva, soprattutto, aspettare quattro stagioni per una fioritura. Allo stesso modo la fragola perfetta di Plenty, crescendo in laboratorio e con luce artificiale, potrebbe essere di stagione per tutto l’anno.

Anche il grano più diffuso per la pasta italiana è un incrocio molto recente nato dalla necessità di aumentare la resa produttiva: si chiama Creso ed è stata registrato nel 1974, diventando in breve la varietà più coltivata, capace di produrre 40-80 quintali per ettaro, molto meglio del Cappelli, da cui è stato selezionato, che si limitava a 12-18 quintali per ettaro. Il Creso ha fatto crescere tutta la coltura del grano duro e l’industria pastaria, ha fatto risparmiare un’enorme quantità di superficie di terreno, eppure, come le fragole o le rose più comuni, richiede un’attenta cura. «È paragonabile a una Ferrari che per esprimersi in tutta la sua potenzialità richiede una posta di Formula 1, assolutamente artificiale», l’ha descritto Luigi Rossi, ex direttore dell’Unità Biotecnologie dell’Enea.

Le super-fragole di Plenty – a cui la compagnia vorrebbe far seguire altre “berries” e soprattutto pomodori – sono quindi una perversione della natura o un modo per preservarla? In teoria, entrambe le cose: da un lato sono rappresentano una modifica iper-tecnologizzata di una pianta che sarà capace di sopravvivere soltanto in ambienti asettici da batteri e altri agenti esterni “naturali” (e che fine farà il terroir?), dall’altro, promette la compagnia, con questo modo di coltivazione si potranno risparmiare enormi quantità di suolo e risorse energetiche e idriche, ovvero naturali. Il piano di Plenty per la conquista del mercato americano richiederebbe la creazione di una “vertical farm” per ogni grande città, ed è quindi probabile che le cose non vadano troppo velocemente e in modo massificato, per il momento. La morale da trarne è sempre quella: evitare il manicheismo, e cercare di mantenere un equilibrio, attento e complesso, sulla bilancia che contiene sia noi che la natura. La promessa di Plenty, oltre al risparmio sul trasporto, è la più semplice e migliore: fragole buonissime.