Cultura | Letteratura

Convertirsi alla religione di Christian Bobin

Uomo solitario e spirituale, è stato un autore tra i più apprezzati della letteratura francese contemporanea, e negli ultimi anni la sua opera è arrivata anche in Italia grazie alla casa editrice AnimaMundi.

di Roberto Carvelli

In questi giorni ho trovato in libreria un libriccino di Christian Bobin (Le Creusot, 1951 – Chalon-sur-Saône, 2022), autore francese solitario e lontano dai circoli intellettuali – anche se parte del catalogo Gallimard – che trasuda da ogni riga un senso di completezza e d’amore per l’universo che potrebbe sembrare un compendio di citazioni natalizie. Eppure, dietro questa epica delle piccole cose – spesso scritte in forma di pensieri brevi e luminosi – c’è una sensibilità meditativa e metafisica ammaliante che gli ha fatto conquistare tanti lettori e un piccolo culto. Il libro che scopro, Illumina ciò che ami senza toccarne l’ombra, è un’intervista “letteraria” a Bobin dell’editore che in Italia l’ha riportato e ripubblicato, Giuseppe Conoci di AnimaMundi. Gli ho fatto una telefonata per saperne di più.

Giuseppe nella prima vita era un discografico, un giorno a Otranto legge Bobin, viene folgorato sulla via per Damasco e decide di diventare editore. Pubblica il libro, sale su un treno e va a trovare Bobin: lo trova nel bosco di Saint-Firmin, in Borgogna. Il dialogo è scritto con una verve poetica inconsueta per uno scambio orale e contiene anche la sua posizione letteraria sulla micro-narrazione: «Se scrivessi tutto, il libro morirebbe. Occorre molto spazio, molto silenzio, e soprattutto nessuna convenzione. […] I libri più interessanti, i libri migliori, mi sembra che siano quelli più liberi, quelli che sono come riscritti dal lettore».

«Non credo – mi spiega Conoci – possa definirsi cattolico-cristiano, Bobin. Era una persona libera da ogni punto di vista, nonostante l’agorafobia che lo faceva rimanere spesso chiuso in casa. Leggere un suo libro non ti lascia intatto perché è scomodo e tutt’altro che conciliante, ma è proprio questo che ti trasforma, insieme al suo ragionare illuminante». Dopo aver parlato con Giuseppe mi è venuta voglia di cercare altre opere di Bobin nel catalogo AnimaMundi (ci ho trovato anche un cofanetto che raccoglie tutte quelle fin qui uscite in Italia). Abitare poeticamente il mondo mi ha messo davanti ad altre piccole verità. Per esempio: la verità che Bobin rivela mentre guarda fuori dalla finestra e dice che «quando scrivo con la visione di questo prato, sono davanti al più grande concorrente che esista. Sono davanti a un maestro scrittore, uno dei più grandi poeti, che non ha nome né volto, ma che lavora giorno e notte». Peraltro, «ci sono ancora diversi libri da scoprire di Bobin – mi spiega Conoci – da ritradurre o tradurre. Il piano dell’opera ci vedrà impegnati per un po’ a iniziare dalla prima uscita di gennaio dell’anno nuovo».

Se dovesse sfuggire il valore politico delle apparentemente semplici osservazioni di Bobin, basta attendere poche righe perché sia lui stesso stesso a sottolinearlo: «La contemplazione è ciò che minaccia maggiormente e in modo bizzarro il superpotere della tecnica». Avere una vita semplificata, privilegio concesso dalla tecnica, sconfigge spesso l’”insemplificabilità” dell’amore e della morte. Bobin pensava che la scrittura fosse uno spazio di salvezza e di fragilità, un luogo dove «dare rifugio al lato meraviglioso della vita, che non è religioso, che è molto più ampio delle religioni, molto più vasto». In questo, pur avendo nominato (ignorando il San, perché non amava questa e altre etichette) Francesco e Dio nei titoli dei suoi libri, non può essere definito soltanto cattolico. Anche perché non credeva di dover lasciare il monopolio della spiritualità alle gerarchie e pensava che nessun prete lo avesse mai condotto a una spiritualità profonda.

Bobin ragionava spesso sul senso della morte, sull’assenza («prenderci cura della vita», il nostro lavoro, ha senso solo se coloro che amiamo possono «trovare nutrimento» lontano da noi) e, in quello che è considerato il suo libro più importante (Autoritratto al radiatore), scriveva: «Non ci sei più, ma ho tenuto a mente la tua lezione, oggi la scrivo così: “In ciò che pretende di rovinarci, cresce il nostro tesoro”». Lo scrittore francese ci invitava, per così dire, a fare amicizia con la nostra e le altrui ombre più che con la nostra e le altrui figure. È l’unica via per salvarci dalla nullificazione.