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Mentre la Germania legalizza la cannabis, cosa succede in Italia?

Dall'1 aprile in Germania è entrata in vigore la legge che legalizza vendita e consumo, un passo avanti che evidenzia ancora di più l'arretratezza italiana, tra vuoti legislativi e crisi di mercato.

di Gabriel Seroussi

Da lunedì 1 aprile il consumo di cannabis diventerà legale in Germania. La legge autorizzerà infatti tutte le persone con più di 18 anni ad avere con sé fino a 25 grammi di cannabis, possederne fino a 50 grammi in casa e coltivarne fino a tre piante. La cannabis potrà essere acquistata solo in specifici “cannabis club”, cioè associazioni senza scopo di lucro che potranno avere fino a 500 membri. Per la prima volta uno degli Stati leader dell’Unione va oltre le ipocrisie e legalizza il consumo ricreativo della marijuana. Infatti, a differenza di quanto si pensa comunemente in Italia, nei Paesi Bassi e in Spagna l’uso della cannabis non è formalmente legale. Nel primo caso si tratta di un regime di tolleranza. La produzione e la vendita di marijuana nei famosi “coffee shop” sarebbe un reato, ma lo Stato olandese ha, nei fatti, smesso di applicare le leggi in materia. In Spagna, invece, il mercato della cannabis prospera a Barcellona a causa di una zona grigia legislativa nata dai conflitti sulla questione tra il parlamento Catalano e il governo centrale di Madrid.

In Italia la situazione è ancora più caotica, grottesca e a tratti incomprensibile. L’ultimo tentativo di legalizzazione è infatti naufragato con la sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2022, la quale ha rigettato il testo del referendum popolare che avrebbe chiamato i cittadini ad esprimersi sulla tematica. Dei passi in avanti nell’ultimo decennio si erano però visti sulla cosiddetta “cannabis light”. In particolare, c’è stato un periodo, tra il 2016 e il 2019, in cui questa forma di marijuana era diventata assai diffusa nel nostro Paese. I negozi di “erba legale” prosperavano e si pensava che l’apertura di questo mercato potesse essere il preludio ad una legalizzazione più ampia. Oggi, però, molto è cambiato. Nonostante esistano ancora piantagioni, negozi e acquirenti il mercato si è contratto e la rilevanza di questo settore, anche nell’opinione pubblica, si è ampiamente ridotta.

Il boom della “erba legale” ha origine nel 2013 quando l’Unione Europea vara il Regolamento n. 1308 sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli. All’interno di questa normativa viene fissato un tetto alla presenza di Thc nella canapa entro cui la sostanza non può essere categorizzata come stupefacente. L’approvazione di questa legge genera una vera e propria corsa all’oro con decine di migliaia di coltivatori e piccoli imprenditori che si buttano nel mercato della “cannabis light”. A due anni dalla legalizzazione, nel 2018, le stime del Consorzio Nazionale per la Canapa parlano già di quasi mille shop fisici attivi più altrettanti negozi online specializzati, con una filiera che impiega 10 mila persone generando un fatturato annuo di 150 milioni di euro.

Questa fase di crescita esponenziale e sregolata del mercato della cannabis legale è stata dominata dall’iniziativa individuale, delle volte anche impreparata, di giovani che si imbarcavano in un settore nuovo dalle prospettive tanto sconfinate quanto instabili. Un esempio di ciò sono le difficoltà in cui sono incorsi molti piccoli coltivatori che, anziché investire su talee di piante, hanno preferito risparmiare acquistando sementi. Infatti comprando le prime, ossia frammenti di una pianta madre che danno vita ad un nuovo esemplare, è garantita l’omogeneità di Thc su ogni pianta derivata, mentre acquistando i semi questa sicurezza non ci sarà e ogni pianta della coltivazione avrà un valore di Thc differente. Il rischio quindi di violare la legge è stato molto diverso tra coloro che più hanno potuto investire e chi invece si è avventurato in questo nuovo mercato con meno possibilità economiche. Un’altra criticità, riscontrata in questo caso dai distributori, è stata la titubanza da parte delle banche di fornire prestiti e di abilitare l’acquisto con carta di credito sui siti di e-commerce. I sistemi bancari ritenevano che le aziende non avessero una adeguata stabilità e valutavano le transazioni come sospette.

Nonostante queste difficoltà, anche naturali per un settore nato dal giorno alla notte, fino al 2019 quello della “cannabis light” è stato un commercio prospero. La crisi era però dietro l’angolo. Dopo i primi anni l’euforia è drasticamente calata, la contrazione della domanda ha quindi generato una crisi di sovrapproduzione. A pagarne le conseguenze sono stati soprattutto i coltivatori che in molti casi sono stati costretti a svendere i propri prodotti o addirittura a chiudere l’azienda. Non si è trattato semplicemente dell’esaurirsi di una moda passeggera. Ad intervenire sono stati diversi fattori.

Innanzitutto hanno giocato un ruolo fondamentale le pressioni politiche nel demonizzare il consumo di marijuana. Un esempio pratico in questo senso è stata la campagna mediatica che Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, fece tra il 2018 e il 2019 contro i rivenditori di cannabis legale. Tra proclami sulla droga come emergenza nazionale e annunci di sigilli ai negozi di cannabis legale, Salvini ottenne dei risultati sul campo: moltissimi tabaccai, categoria storicamente legata alla destra, smisero di vendere “cannabis light” creando una crisi in un settore già di per sé in difficoltà.

Un altro fattore, forse il principale, che ha contribuito a far sprofondare il mercato della marijuana legale è stato l’instabilità a livello legislativo. Nell’arco di quattro mesi, tra febbraio e maggio del 2019, due sentenze della Corte di Cassazione esprimevano pareri opposti sul tema. La prima, accogliendo il ricorso di un esercente che aveva subito il sequestro del suo negozio, stabiliva che la vendita della “cannabis light” fosse legale. La seconda, invece, ripristinando il Testo unico sulle droghe come testo di riferimento sull’argomento, permetteva la vendita di sostanze solo «in concreto prive di efficacia drogante». Queste due sentenze, in evidente contraddizione l’una con l’altra, hanno avuto l’effetto aumentare l’incertezza negli imprenditori del settore e di accrescere la discrezionalità da parte delle forze dell’ordine. Con gli anni questo contesto non ha fatto che peggiorare con decreti e contro decreti che hanno reso per le aziende molto difficile orientarsi. L’ultimo capitolo di questa assurda vicenda risale all’ottobre del 2023, quando il Tar del Lazio ha sospeso il decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci, che vietava la vendita di prodotti a base di canapa nei negozi specializzati, rendendo i derivati della sostanza acquistabili solo in farmacia tramite presentazione di una prescrizione medica.

Nel frattempo, a porre ulteriormente in crisi il mercato della “erba legale” era arrivata anche la pandemia. Durante i lockdown il mercato legale si è conformato alle direttive governative subendo gravi danni a livello economico, mentre quello nero non è stato intaccato, anzi. Dal punto di vista delle organizzazioni criminali transnazionali, molti sono gli indicatori che ci raccontano di un innalzamento dei profitti dal commercio di stupefacenti. Mentre per i consumatori è interessante osservare come la pandemia abbia favorito l’avvento di nuovi strumenti, molto più comodi del passato per acquistare sostanze illegali. Penso soprattutto a Telegram, il servizio di messaggistica criptato, il cui utilizzo è cresciuto in maniera esponenziale in Italia proprio durante il Covid-19.

Il mercato della “cannabis light” è oggi molto ridimensionato. La produzione è assai più ridotta rispetto all’età dell’oro post legalizzazione. I più svantaggiati in questo senso sono i coltivatori, costretti a profitti molto bassi dalla contrazione del mercato. Ad essere cambiati sono anche i gusti del pubblico. È infatti in grande crescita il commercio degli oli e dei prodotti alimentari a base di marijuana. La diversificazione sembra essere il mantra delle aziende del settore in attesa di tempi migliori che, sull’esempio della Germania, ci auguriamo verranno. Al momento, l’unica iniziativa simile a quella tedesca è una proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dall’associazione Meglio Legale. Finora, ha raccolto 40 mila firme.