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Bruce Lee, la leggenda del santo lottatore

Il 20 luglio del 1973 moriva Bruce Lee: cinquant'anni dopo la sua influenza è più evidente che mai e la sua storia continua a essere raccontata in film, libri, videogiochi che a lui si sono ispirati.

di Francesco Longo

Il 20 luglio 1973 nelle redazioni dei tabloid di Hong Kong si diffonde la notizia della morte di Bruce Lee. È una morte misteriosa, inattesa, avviene mentre è a casa di Betty Ting Pei, la donna con cui ha una relazione segreta e quando l’ambulanza arriva, per evitare lo scandalo, si fa finta che sia ancora vivo e viene portato in ospedale, ma la messinscena sarà scoperta subito; Bruce Lee è giovane, ha trentadue anni, è famoso per avere un fisico perfetto, tutto addominali, dorsali, avambracci, senza un grammo di grasso, si allena tutti i giorni da quando è nato, è la quintessenza della forza e della salute, non può morire.

È appena diventato una star del cinema, ha case di produzione di tutto il mondo che lo vogliono per girare film da protagonista (riceve una proposta anche da Carlo Ponti per un film con Sophia Loren). Quando muore è al punto della sua parabola artistica in cui può ottenere tutto ciò che desidera, è conteso tra produttori cinesi e americani, in questa competizione, il più sfrontato gli spedisce un assegno in bianco, sarà Bruce a dover scrivere la cifra che vorrà per il prossimo film. Alla notizia della morte, a Hong Kong, le strade si riempiono di migliaia di persone, gli studenti scendono in piazza con cartelli in cui scrivono che l’assassina è la sua amante, sebbene l’ipotesi più accreditata del decesso sia un semplice colpo di calore. Il primo funerale è a Hong Kong, dove è tornato a vivere per cercare un po’ di riposo, il secondo funerale è a Seattle, il 30 luglio, dove ha vissuto quando si è trasferito negli Stati Uniti, prima di venire sedotto dalla California. Neanche tre settimane dopo la morte, proprio a Los Angeles, esce il suo ultimo film, Enter the Dragon, a cui si è consacrato spendendo tutte le sue energie, sfinendosi, dimagrendo forse troppo. Alla prima del film, una fila di persone serpeggia dalla sera precedente per diversi isolati. Solo nel 1973, a fronte di una spesa di 850 mila dollari, il film incasserà novanta milioni di dollari.

Si può raccontare la grandezza di Bruce Lee partendo dalla fine invece che dall’inizio, osservando cosa è successo dopo la morte, cosa ha lasciato, qual è la sua eredità. A voler sintetizzare: non c’è film di arti marziali in cui non si veda la sua influenza. Alcuni riferimenti sono espliciti: Tony Manero della Febbre del sabato sera si guarda i muscoli davanti a un poster di Bruce Lee, in Fight Club Brad Pitt cammina e si mette in guardia come Bruce, in Kill Bill I e II Uma Thurman veste la tuta gialla e nera copiata da Bruce. Da Arma Letale a Matrix, fino ai Mission Impossible, Bruce è il punto di riferimento dei film d’azione, e i suoi calci, i salti, il suo look è in tutti i videogiochi dove si combatte, dai primissimi Double Dragon e Street Fighter. È riuscito a riscrivere l’identità cinese nel cinema e nella realtà. Se alle sue prime feste californiane lo scambiano per uno della servitù, alla fine gira con una Mercedes rossa decappottabile, è costretto a uscire scortato dalla polizia, è idolatrato, inseguito da squilibrati e invasati che lo rendono paranoico.

Per i cinquant’anni dalla scomparsa arrivano altre statue, mostre, rassegne. In Italia il suo mito è raccontato in un libro esaustivo, accattivante, molto dettagliato, scritto da Michele Martino, intitolato Bruce Lee. L’avventura del piccolo drago (editore 66thand2nd). Il libro ricostruisce l’immagine pubblica e il percorso intimo di Bruce Lee, dalla adolescenza a Hong Kong, tra scontri per strada, passi di danza e violenza, alla decisione dei genitori di mandarlo negli Stati Uniti, dove in realtà era nato, fino alle leggende sulle cause della morte. Seattle è l’opposto di Hong Kong, caotica e umida questa, tranquilla e imbiancata di neve la città americana. Per anni sopravvive dando lezioni di kung fu, in palestre, a casa, in garage, da «perenne espatriato, né cinese, né americano, sospeso a metà tra due culture», con qualità fisiche innate «riflessi più felini che umani, forza muscolare, elasticità, equilibrio, agilità, senso del ritmo». È una biografia appassionante per chi ama Bruce Lee e per chi non ha mai visto un suo film.

Per alcuni Bruce Lee è un eretico, uno che ha sempre criticato le vecchie tradizioni delle arti marziali, un traditore, per altri è un faro, un guru, addirittura il simbolo dell’emarginato che lotta contro l’oppressore bianco: esiste tutta una scena hip hop nera americana, Wu-Tang Clan sopra tutti, che si ispira ai film di kung fu, ricalcandone l’estetica. Si allena con bastoni e coltelli, è un osservatore della boxe, si appassiona alla scherma (si procura 68 libri), si fa progettare attrezzi, macchinari, si inventa bibite iperproteiche, assume vitamine, pappa reale, pochi anni prima di morire apparirà «l’uomo più in forma del pianeta».

La sua storia concentra lo spirito del suo tempo, sullo sfondo si avvertono le energie febbrili dei quartieri violenti, di combattimenti di strada, in primo piano invece appaiono altre star le cui vite si sono intrecciate alla sua, Elvis Presley, Roman Polanski (quando lo invita a sciare gli regala la tuta gialla e nera che diventerà iconica), Chuck Norris. Mentre sfiora le tempie dei suoi avversari con un piede o spacca tavolette con le mani si trasforma in un qualcosa di molto più profondo, nel simbolo di una nuova civiltà, in cui Oriente e Occidente si sfidano, si mescolano, si confondono. Forse è anche questa capacità di sintesi di mondi lontani la sua vera forza. È la storia di un sogno americano alterato, di un bullo che diventa un profeta. Una storia unica ma con tratti universali, con un elemento di estrema semplicità in cui tutti si possono riconoscere. La prima volta che esce con Linda Emery – che sposerà e da cui avrà due figli – la va a prendere con una Ford Fairlane nera super accessoriata, l’appuntamento per la cena romantica è al ristorante rotante in cima allo Space Needlee, il grattacielo più chic di Seattle. Tradimenti a parte, successo planetario a parte, resteranno insieme fino all’ultimo giorno.