Se vi manca Ben Lerner, leggete Le luci

Tradotto da Martina Testa e pubblicato da Sellerio raccoglie le migliori poesie, in versi e in prosa, scritte dal talento dell'autofiction nel corso degli ultimi quindici anni.

25 Settembre 2025

Sellerio ha pubblicato due giorni fa Le Luci, il nuovo libro del venerato scrittore americano Ben Lerner, tradotto da Martina Testa. Più che nuovo, meglio dire inedito in Italia: Le Luci è una raccolta delle migliori poesie, in versi e in prosa, scritte da Ben Lerner nel corso degli ultimi quindici anni. Qualcuna è già stata pubblicata sulle riviste letterarie più prestigiose tipo il New Yorker, la Paris Review e la London Review of Books, o addirittura in una delle sue opere precedenti di narrativa. È noto che prima di diventare, grazie alla sua produzione romanzesca negli anni Dieci, uno degli scrittori più talentuosi della sua generazione, Ben Lerner ha conquistato fama e solidità economica da giovanissimo scrivendo poesie, destino comune a pochi eletti e che raramente garantisce una pensione. Nel Dono di Humboldt di Saul Bellow il poeta del titolo, dopo un successo precoce, muore in disgrazia, povero e derelitto. Secondo Bellow, questo è il tipo di poeti che l’opinione pubblica americana apprezza: la loro decadenza rafforza l’idea che uno stile di vita disciplinato e laborioso conduca molto più lontano di un’esistenza d’artista, presupposto fondamentale per mantenere in piedi il sistema capitalista. Per essere rispettato da tutti un poeta deve brillare da giovane e crollare prima di raggiungere la maturità, vittima della sua sensibilità e del suo talento.

Un poeta anomalo

Non è stato, per ora, il caso di Ben Lerner, professore universitario quarantaseienne, padre di due bambine. Lerner, come si diceva, è diventato un poeta professionista dopo l’università, grazie a tre raccolte di poesie. A venticinque anni, dopo una brillantissima carriera accademica, pubblica The Lichtenberg figures, cinquantadue sonetti sul linguaggio e sulla memoria. Successo, concorsi letterari, premi in denaro. Due anni dopo esce il suo secondo libro di poesie, Angle of Yaw, finalista ai National Book Award. A trent’anni pubblica il terzo, Mean Free Path, premiato anche in Germania. Un anno dopo, Lerner cambia mezzo espressivo. Una casa editrice indipendente stampa il suo spassosissimo debutto da romanziere, Un uomo di passaggio. Il successo è clamoroso, così come il risentimento della sua cricca di poeti, che lo accusa di tradimento. Nasce una polemica di nicchia, un po’ come quando le band punk negli anni Novanta venivano accusate di vendersi se lasciavano il garage della nonna per firmare con un’etichetta discografica mainstream. La critica, intanto, se lo coccola, i colleghi lo ammirano, i lettori lo adorano. Da allora, Ben Lerner ha trascurato i versi per scrivere altri due romanzi e un lungo saggio (Odiare la poesia, dedicato al suo primo amore), diventando un gigante dell’autofiction. Le Luci, quindi, è la raccolta delle migliori poesie che Lerner ha scritto nei quindici anni che ha trascorso a occuparsi d’altro.

Autofiction poetica

Per gli appassionati di Lerner, Le Luci è una miniera di chicche. I temi delle poesie selezionate sono gli stessi della sua produzione romanzesca: le contraddizioni, i piccoli successi silenziosi, i fallimenti, le pretenziosità e le incomunicabilità tipiche dell’esperienza su questo pianeta. Come ci si sente a essere contemporaneamente padre e figlio, analisi sul conflitto fra il lavoro di operaio e quello di artista, due sistemi incompatibili, e il senso di colpa di appartenere alla seconda categoria («penso all’arte come svago che è lavoro in case che i clandestini costruiscono, riparano» oppure «sono troppo triviali / i miei uffici, troppo intimi, non è manodopera / non posso portare le mie figlie al lavoro»), l’enorme disparità che c’è fra le persone che soffrono e i ridicoli tentativi di rincuorarle: un suo caro amico è depresso e si lamenta che, per consolarlo, la sua compagna gli  «invia un messaggio con l’ultimo articolo sul microdosing. Magari questo aiuta, faccina triste. L’assorbimento nei fatti propri è sconvolgente». Il fratello tossico di un’amica, durante un viaggio in macchina, si sfoga così: «quando uno guarda dentro la scatola, si aspetta che il gatto sia vivo o morto, non vivo e morto; ti insegnano la sovrapposizione quantistica ma ti si richiede di funzionare in uno spazio euclideo, poi ti accusano di essere distante, ti costringono a fare questi campi scuola di rafting per ragazzini con problemi, provano a farti aprire su tuo padre mentre siete seduti intorno a un falò».

I richiami ai suoi lavori precedenti, nelle duecentoquaranta pagine di Le Luci, sono continui. C’è una poesia dedicata al periodo che Lerner ha trascorso in una residenza per scrittori a Marfa, in Texas, che era già in Nel mondo a venire, il suo secondo libro. Ci sono versi dove si raccontano i procedimenti dietro a certe scene di Topeka School, il suo terzo. Ci sono riflessioni sui musei e sull’esperienza di visitarne uno, familiari per chi conosce la produzione di Ben Lerner come critico d’arte e soprattutto per chi ha letto l’incipit del suo primo romanzo, Un uomo di passaggio, dove il narratore, un giovane poeta americano che vive a Madrid grazie a una borsa di studio del governo americano vinta con la sua prima raccolta di poesie (già, proprio come Lerner), durante una delle sue solite visite mattutine al Prado per ammirare, sotto effetto di hashish e caffeina, la Deposizione dalla croce di Rogier van der Weyden, vede un uomo che scoppia a piangere rumorosamente davanti ai quadri, in singhiozzi convulsi, destando la preoccupazione del guardiano del museo presente nella stanza, che sta lì indeciso. Che fare? Intervenire o lasciarlo stare? L’uomo è pazzo, o in preda a una profonda esperienza artistica? Da un lato, il guardiano deve proteggere oggetti di inestimabile valore dai pazzi. Dall’altro, l’unico prestigio del suo incarico sta nella convinzione che quei capolavori possano indurre un uomo alle lacrime e alla pazzia.

Distinzioni sottili

Le opere di Ben Lerner condividono una peculiarità ricorrente: partono dal mondo interiore del narratore, dalla sua singolarissima percezione di un fatto qualunque, per suggerire vie originali dove si intravedono sentimenti universali che avevi già mezzo capito, ma non saresti riuscito a spiegare così bene. Dentro Le Luci convivono riflessioni sull’opportunità di portare il gatto dal veterinario durante una pandemia, un trittico di poesie sull’Auto-Tune («Il vocoder piega il tono della mia voce verso una norma / la nostra capacità di correggere la tonalità di chi canta è il risultato involontario di un tentativo di estrarre idrocarburi dalla terra: / in origine la tecnologia è stata sviluppata da un ingegnere della Exxon per interpretare dati sismici»), pensieri sul rito mattutino della rasatura (“Sono più vicino / che mai ad avere una barba, ma non tanto vicino. / Radersi è un modo per cominciare la giornata ritualmente / senza tagliarsi la gola quando invece si potrebbe”), sonetti d’amore dedicati ai parchi cittadini di notte. Nell’attesa del prossimo romanzo di Ben Lerner, Transcription, in uscita l’anno prossimo, ecco un’altra occasione per fare un viaggio nella mente di un essere umano brillantissimo.

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