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Morte nel Pomeriggio Cinque

La storia tra Barbara D'Urso e Mediaset è finita male: dopo anni in cui è stata il volto dell'infotainment, della tv trash, dell'epoca d'oro delle reti berlusconiane, la conduttrice ha scoperto di essere obsoleta. E con lei, forse, tutta la tv generalista.

di Lorenzo Peroni

«La fine di un’epoca», ovunque «La fine di un’epoca»: sui social, nei tweet e nei post di cordoglio per esibire la foto col morto, nei lanci dei tg e nei titoli di giornale. Lo hanno detto tutti, in parte perché è vero, in parte perché, evidentemente, molti non sapevo cos’altro dire (ma si sentivano in dovere di). «Io credo che le epoche si chiudono così, all’improvviso», così Marcello Mastroianni in La Terrazza di Ettore Scola, è la citazione preferita dagli editorialisti agè di sinistra quando muore qualcuno che gli sta simpatico, per Silvio nessuno l’ha scomodata, per Barbara D’Urso – a cui senza preavviso è stato dato il benservito da Mediaset – nemmeno: «Il sentimento dominante? Il dolore, unito allo sgomento e alla rabbia. […] non mi hanno permesso di salutare il mio pubblico», ha dichiarato la presentatrice, furibonda e meno diplomatica del solito, a Repubblica. Non che mancassero le avvisaglie, “quell’epoca lì” era già bella che chiusa da un po’, ma il trapasso del suo promotore ne rappresenta la vera e propria pietra tombale. Sì, perché tra le altre cose, quella di Berlusconi è stata l’epoca della tv tutta d’oro (come racconta Edmondo Conti nel suo podcast), un tv in cui, sì, si poteva nuotare nei soldi, ma che a differenza di quella di oggi – brandizzata, noiosa e a corto di idee – era tutta matta, fatta di idee folli, professionisti improvvisati, star miracolate, sprezzo del pericolo e, ogni tanto, qualche colpo di genio.

Ed è proprio negli anni assurdi di Telemilano che Barbara D’Urso sbarca in tv. Siamo alla fine degli anni ‘70, lei arriva a Milano 2 e per un paio di anni è una delle annunciatrici di quella televisione fatta in cantina. Seguono diverse stagioni in Rai (Domenica in, Un disco per l’estate, Festival di Castrocaro…). Nel ’95 una parentesi a Rete4 dove raccoglie l’eredità di Marta Flavi per tentare di mantenere a galla Agenzia Matrimoniale (che con Barbara diventa semplicemente Agenzia), se ne torna subito in Rai, sotto l’ala di Michele Guardì, per Mattinata in famiglia e Mezzogiorno in famiglia. Insomma, lavora tanto, sempre, ma il vero successo arriva con la fiction: la Dottoressa Giò macina gradi ascolti, è la prima volta che un medico donna è protagonista di una serie televisiva e lei diventa, finalmente, davvero “popolare”. È la svolta. «La Dottoressa Giò resterà per sempre nel mio cuore, la gente per strada continua a chiamarmi Dottoressa Giò! È stato stupendo, abbiamo girato nelle Marche, un posto magico! Un’esperienza incredibile», spiega a Edmondo Conti. Lei che ama definirsi una cretina, che saluta tutti «col cuore», che rispolvera il suo secondo nome (Carmela detta Carmelina), che è dalla parte delle donne, della gente comune, entra nelle case con semplicità, ma sono anni in cui è percepita ancora come una professionista seria, non sarà un’attrice da Oscar, ma al pubblico piace così, genuina e “semplice”.

Il successo cresce ancora con Orgoglio, fiction Rai che segna indici d’ascolto record (12 milioni di ascolto), lei firma un’opzione per una seconda stagione, e qui c’è il colpo di scena: Piersilvio Berlusconi la richiama in Mediaset. Ha una proposta per lei: il Grande Fratello. Lei non vuole accettare, non può, ha un impegno con un altro contratto. Cosa c’entra lei col programma della Bignardi? Ma la rete per quel format ha dei piani ben precisi, motivo per cui Daria se l’è data a gambe dopo le prime due stagioni, di cui la prima, letteralmente, trionfale. È una pazzia, come fare? Ma Barbara è così, come ama ripetere sempre lei, un po’ matta. Piersilvio le lancia una sfida e lei non si tira indietro, si butta. Un azzardo che le  costa una causa da parte della Titanus, per Orgoglio. Ma, evidentemente, ne vale la pena. Da quel momento la tv, già in un momento di grande crisi identitaria, non è più la stessa.

4 marzo 2004: la seconda edizione del Grande Fratello targata D’Urso batte gli ascolti della corazzata Sanremo, già in affanno da diverse edizioni e quell’anno boicottata dalle case discografiche e guidata da Simona Ventura, vittima sacrificale d’occasione. Non era mai successo e non succederà mai più. Col cambio di secolo la televisione cede il passo alla gente reale, al popolo. È la gente di tutti i giorni a diventare protagonista di trasmissioni, talk, reality, tutti possono diventare famosi non come presentatori, attori, cantanti, ma come sé stessi. Su questo umore che impregna i palinsesti e che si riversa a cascata nelle case italiane Garrone nel 2012 ci fa pure un film, Reality, appunto. Il reality show diventa un format sovrano, come il pubblico, si moltiplica in innumerevoli declinazioni, Barbara ne cavalca un po’: La fattoria (anche questo ereditato dalla Bignardi) e Circus, ma il mercato è saturo, le cose iniziano a mettersi male, servono nuove idee. Lei intanto fa teatro. Ma Mediaset ha un’altra sfida da proporle, l’infotainment: «Se sei coraggiosa lo fai», le dicono. Lei molla la sua casa a Roma, si trasferisce a Milano e nel gennaio 2008 inizia con le dirette di Mattino Cinque: «Ringrazio Gesù e la Madonnina, fu un trionfo, con degli ascolti assurdi». Non si ferma più: Pomeriggio Cinque, Domenica Cinque, Capodanno Cinque, Domenica Live!, Live – Non è la D’Urso. Arriva a essere in onda 7 giorni su 7, di mattina, la sera, sempre. 

Fino ad oggi. Oggi tutto questo finisce. Luci spente. Un programma in meno per volta, le era rimasto solo Pomeriggio Cinque, con un orario sempre più ristretto, e un’edizione kamikaze de La Pupa e il Secchione, che nessuno sano di mente avrebbe mai accettato di condurre, ma lei, come ha dichiarato quando la accusavano di essere onnipresente in video, fa semplicemente l’operaia per l’azienda, se la chiamano c’è. Ora il comunicato shock (come le buste shock di Domenica Live) che annuncia che Barbara, con contratto Mediaset in scadenza a dicembre 2023, non tornerà a Pomeriggio Cinque, si vocifera che al suo posto verrà piazzata Myrta Merlino: «Con quel comunicato hanno fatto pensare che fossi d’accordo con la decisione. Io non ho concordato niente», sottolinea lei a Repubblica.

È troppo trash, Piersilvio è stanco del trash, queste sembrerebbero le motivazioni del ridimensionamento prima e dell’epurazione ora. Con la morte di Silvio, è come se fosse venuto meno una sorta di patto tra l’azienda e la conduttrice. Barbara inizialmente tace, posta una foto con un pigiama, tacchi a spillo e un trolley LV: «Si parte!! Per un altro dei miei piani A #colcuore». Dopo aver guidato con grande successo due rivoluzioni del piccolo schermo, quella dei reality prima e quella dell’infotainment dopo, ora Barbara viene accompagnata alla porta. Con puntualità strategica poi ecco l’intervista a Repubblica, nel giorno di presentazione dei nuovi palinsesti, Mediaset Barbara D’Urso serve un bel caffeuccio bollente: «Ne ho sopportate tante – forse un giorno le racconterò – ho messo la testa sott’acqua, perché lavoravo con passione. Ma questa volta no».

«La polemica […] è il piedistallo delle celebrità», ha scritto Honoré de Balzac in Illusioni perdute, e Barbarella le ha rincorse tutte con gioia. A fianco dei grandi ascolti ci sono anche programmi fallimentari, per Baila! arriva una denuncia per plagio dalla Rai, Stasera che sera! viene chiuso dopo un’intervista a Francesco Nuti, dai più ritenuto non in grado di andare in onda a causa dello stato pietoso in cui versava. Ma Barbara è così, lei non si ferma davanti a niente. La critica televisiva (quella poca che c’è) l’ha sempre fatta nera: «La sua cifra espressiva è la gnagnera, qualunque cosa voglia dire: è monocorde, vuole ma non può, la sua voce è un prurito, non distingue il pomeriggio dalla sera, parla, parla anche se non si capisce cosa voglia dire», ha scritto di lei Aldo Grasso sul Corriere. A difenderla ci ha pensato Aldo Busi, che lei aveva chiamato a sé dopo l’esilio tv in cui lo scrittore era incorso per essersi ritirato daIl’Isola dei Famosi 7: «Quel che il tuo stroncatore del giorno Aldo Grasso ignora è che ci vuole del talento anche per parlare con “la gnagnera senza distinguere la sera dalla mattina” come fai tu facendo però il 19 per cento di share. Tutti i programmi […] vantano lo stesso pregio di de-costruzione del linguaggio fino al grado zero dell’uso razionale della lingua, e rivolgersi alle masse meno alfabetizzate e quindi più meramente emotive e globalmente più arretrate del Paese richiede forse più lavoro di lima che non fare un prodotto platealmente sofisticato e intelligente e moderno come fa la Gabanelli».

La mutazione dell’infotainment targato D’Urso rappresenta un percorso significativo: dalle prime edizioni di Mattino Cinque, che avevano un taglio da rotocalco, senza pubblico e con servizi di approfondimento leggero, fino a un giornalismo spettacolo che scava nel torbido, nel privato, che porta in video gente inattrezzata ai meccanismi del mezzo televisivo, una deriva condita da faccine tristi e contrite che scatena anche il malcontento dell’ordine dei giornalisti. Col caso Scazzi il punto di non ritorno, lei porta in studio un’amica di famiglia nel ruolo di supertestimone, in trasmissione telefona Michele Misseri che dà di matto. 

Sono stati anni segnati da tormentoni, catch phrase (col cuore, il caffeuccio, etc), polemiche, liti, ospiti discussi, sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, per i diritti della comunità Lgbtq+ e le famiglie arcobaleno, preghiere alla Madonnina in diretta con Salvini, gossip e cronaca nera: un minestrone di ingredienti che per molti non dovrebbero stare assieme. Tanti selfie con bocca a papera e luci sparate in faccia, per appianare le rughe, dicono i maligni. Sono stati anni di liti tra la Marchesa d’Aragona e Patrizia De Blanck (la nobiltà è una cosa seria), anni di test di maternità in ascensore, anni di storie brutte brutte brutte, anni di Pratiful: quella di Pamela Prati e Mark Caltagirone è stata l’ultima grande saga in grado di catalizzare davvero l’attenzione del Paese, ormai in grado di concentrarsi su un argomento al massimo 24 ore, deroga per la morte di Berlusconi, che ci ha tenuto impegnati per 48 ore, ma sembrano ormai già passati anni). Sono stati anni in cui la tv ha contato più di quanto conterà.