A Bad Bunny non basta essere l’artista più ascoltato al mondo

Anche stavolta c'è lui in cima alla classifica mondiale di Spotify, degna chiusura di un 2025 in cui ha realizzato uno dei dischi più apprezzati, messo la sua Porto Rico al centro del mondo della musica e, soprattutto, fatto imbestialire la destra americana.

04 Dicembre 2025

Coesistono due realtà parallele: in una, l’artista statunitense più popolare al mondo scelto per lo show più visto degli Stati Uniti (l’Halftime Show del Super Bowl); nell’altra, il più grande impero dell’Occidente che si sente minacciato dalla presenza di uno “straniero” sovversivo nel suo evento più patriottico. Alla convergenza dei due mondi c’è il 31enne portoricano Benito Antonio Martínez Ocasio, più noto come Bad Bunny. Artista più ascoltato al mondo su Spotify per tre anni consecutivi dal 2020 al 2022 e poi di nuovo nel 2025, autore dell’album più ascoltato nella storia della piattaforma (Un Verano sin Ti, 2022) e del primo brano di quest’anno a raggiungere un miliardo di stream (“DtMF”), in Italia unico artista straniero nella classifica Fimi dei singoli e dei dischi più ascoltati dell’anno; detentore del record del maggior numero di video nel Billion Views Club di YouTube (16 video), autore della performance di un singolo artista più vista nella storia di Amazon Music e del tour con i maggiori incassi in un anno solare con il suo World’s Hottest Tour, vincitore di 3 Grammy Awards e 12 Latin Grammy Awards; wrestler professionista, co-presidente del Met Gala nel 2024, attore (Bullet Train, Happy Gilmore 2, Caught Stealing) designer (con Adidas) e modello (per Calvin Klein, ma già lo sapevate). Il tutto in sei anni.

Ma anche: «Una persona non in grado di attrarre un pubblico ampio» (Mike Johnson, Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti); «Massive Trump hater e attivista anti-ICE [Immigration and Customs Enforcement, agenzia federale responsabile del controllo delle frontiere – e delle deportazioni]» (Benny Johnson, National Review); «Semplicemente una persona terribile» perché «odia l’America, odia il presidente Trump, odia l’ICE, odia la lingua inglese» (Greg Kelly, Newsmax); e un artista «non americano» (Tomi Lahren, Fox News) – affermazione fattualmente falsa, dato che Porto Rico è territorio statunitense.

Logico quindi che la sua scelta per l’Halftime Show del Super Bowl – con il rischio di «performance sessuali demoniache» (Marjorie Taylor Greene, deputata della Georgia) – sia stata definita «assolutamente ridicola» (Donald J. Trump, Presidente degli Stati Uniti). E tutte queste attenzioni, da miliardi di fan e da mezzo governo statunitense, il cantante se le è guadagnate semplicemente facendo aderire Benito a Bad Bunny, nel modo più sincero e spontaneo possibile. È il suo più grande merito, e a quanto pare per molti anche la sua imperdonabile colpa. Ma è anche evidentemente la sua indole, dalla quale non ha mai dato segno di volersi discostare, come dimostrano i suoi testi da sempre in spagnolo (o meglio, in slang portoricano). Anzi, sembra volerla abbracciare sempre di più, come ha fatto con No Me Quiero Ir de Aquí (Non voglio andarmene da qui), una residency di 30 spettacoli a San Juan, iniziati l’11 luglio e proseguiti ogni venerdì, sabato e domenica fino al 14 settembre.

Per qualsiasi altro artista con un nuovo album da promuovere, restare a casa per trenta date consecutive, nel luogo che l’ha cresciuto, potrebbe sembrare inconcepibile, se non autolesionista. Ma, supernova diventata buco nero, ormai Bad Bunny è un centro gravitazionale che piega attorno a sé le leggi stesse della realtà economica e culturale in cui opera. Così, dopo aver portato la musica portoricana in tutto il mondo, è riuscito a portare il mondo intero in Porto Rico: durante la bassa stagione turistica, circa mezzo milione di persone sono giunte sull’isola, generando un indotto stimato di 733 milioni di dollari (dati The Independent). Non soddisfatto, ha poi annunciato un tour mondiale di 56 date, nessuna delle quali negli Stati Uniti. A giugno l’artista ha liquidato la questione dicendo a Variety che semplicemente una tappa negli USA sarebbe «unnecessary». Ma il mese scorso, in un’intervista per i-D Magazine, ha ammesso di essere preoccupato per i suoi fan latini immigrati, temendo che i suoi concerti possano trasformarsi in esche per retate della «fucking ICE».

A quanto pare quell’intervista è stata letta dai politici e opinionisti sopracitati, nonché da Kristi Noem, Segretario della Sicurezza Interna degli Stati Uniti, che all’annuncio della performance al Super Bowl ha promesso che l’ICE sarà schierato in forza all’evento. Gli organizzatori, ha aggiunto, «fanno schifo. Noi vinceremo. E Dio ci benedirà». Le ha fatto eco il suo consigliere Corey Lewandowski: «Non c’è nessun luogo dove si possa offrire rifugio sicuro a persone che si trovano illegalmente in questo Paese. Non al Super Bowl, né altrove. […] Vi troveremo, vi arresteremo, vi rinchiuderemo in un centro di detenzione e vi deporteremo». Si è attivata anche TurningPoint USA, l’organizzazione fondata dal defunto attivista conservatore Charlie Kirk, annunciando uno spettacolo alternativo in segno di protesta, al quale si è offerta di cantare Lara Trump, nuora del presidente, diecimila ascoltatori mensili su Spotify. La scelta di chiamare l’evento All American Halftime Show rafforza il dubbio che i repubblicani sappiano che il Porto Rico è un commonwealth degli Stati Uniti e che i suoi abitanti siano cittadini americani – e che, dunque, l’Halftime Show di Bad Bunny sia già All American.

In ogni caso, una tale mobilitazione si addice a una minaccia per l’establishment dei livelli di Malcolm X, non a un cantante reggaeton e latin trap – anche se si considera che il reggaeton ha radici politiche: negli anni ’90 era così sovversivo che la polizia portoricana multava regolarmente chi veniva sorpreso ad ascoltarlo in pubblico. E anche se è risaputo che Bad Bunny è decisamente schierato e molto attivo: ha partecipato a proteste e finanziato cartelloni per l’indipendenza di Porto Rico; ha realizzato un breve documentario sui continui blackout nell’isola e affrontato il tema della gentrificazione nel videoclip di “El Apagón”; nel video di “NUEVAYoL” fa scusare coi migranti un’imitazione della voce di Trump, mentre nel brano “Lo Que Pasó” a Hawaii mette in guardia i suoi connazionali prendendo come esempio le Hawaii, dove l’aumento del turismo le ha rese lo stato più caro degli USA.

Ma, più che in queste operazioni esplicite, la vera forza politica di Benito sembra risiedere nel suo essere serenamente se stesso. Vestirsi non secondo le convenzioni di genere (dallo smalto sulle unghie al drag completo, come nel video di “Yo Perreo Sola”, passando per lo java, il cappello della tradizione popolare portoricana), non adottare l’inglese, l’esibirsi a Porto Rico sono le scelte che più fanno imbestialire i suoi oppositori; tutte scelte che sembra fare con estrema spontaneità, senza doppi fini – anche se si traducono in un’ottima strategia politica. La star pare aver capito che, più di quello che dice, è la sua stessa esistenza a minacciare la destra americana (e non solo). La sua più grande arma è la sua presenza – o assenza – che ora sembra impiegare consapevolmente per veicolare la sua posizione politica. Se ha accettato di esibirsi al Super Bowl non è perché ha venduto i propri principi di fronte a un’occasione troppo ghiotta, ma proprio perché si tratta di un’occasione per affermarli: ha aggirato gli Stati Uniti con il tour mondiale solo per poi colpirli dove fa più male, sul loro palco più importante in assoluto. Bad Bunny sta individualmente negoziando con una potenza mondiale nota per il suo bullismo ed egocentrismo, dimostrandole di poterne fare a meno.

E lo fa con il sorriso: dopo la tempesta seguita all’annuncio, è apparso raggiante a Saturday Night Live, recitando parte del suo monologo in spagnolo e concludendo: «Se non avete capito quello che ho appena detto, avete quattro mesi per imparare». L’anno scorso l’Halftime Show del Super Bowl è stato visto da 133,5 milioni di persone; alle ultime elezioni presidenziali hanno votato in 154 milioni. Quando Bad Bunny salirà sul palco sarà nel pieno delle elezioni di metà mandato del 2026: vedremo se avrà qualche commento da fare a riguardo. In caso converrà davvero imparare lo spagnolo, dato che alla sua performance ai Grammy Awards 2023 i sottotitoli riportavano semplicemente “speaking non-english”.

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