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Amiamo l’autunno o l’Autumncore?

Pumpkin spice latte, foliage, pile di libri e trapunte: la mezza stagione per eccellenza è la migliore per i nostri feed social.

di Greta Elisabetta Vio

Chi frequenta un certo tipo di social, quelli non più tanto popolari dove è il testo a essere il protagonista, sa che le persone si dividono in due grandi categorie: gli estaters e gli inverners. Ovvero, mimando il gergo dei fandom, chi ama subire temperature anomale, sudore e zanzare pur di godersi la vita lenta del bagnasciuga, e quegli altri convinti che, in un mondo di amanti del caldo, affondare il mento in una sciarpa sia un gesto rivoluzionario. O almeno credo, non c’è molta letteratura sugli amanti dell’inverno, che spesso si limitano a difendere la loro passione dietro un «beh, almeno non fa caldo».

Quella tra le due fazioni è una battaglia talmente antica che, ammesso ne abbia mai avuto, ha perso del tutto di senso. Non tanto perché manca di un certo spessore culturale, ma perché le stagioni hanno smesso di essere quello che erano tempo fa. Gli estaters e gli inverners hanno iniziato a scontrarsi in pubblica piazza quando raggiungere i 32° nel Nord Italia era ancora considerato scandaloso e la neve poteva essere avvistata anche in città. Ora, quella cosa delle mezze stagioni che non esistono più o, anzi, che sono l’unica cosa che ci rimane, è realtà.

Alla latitudine dalla quale scrivo – «somewhere in Northern Italy», per citare un classico degli estaters – da qualche mese incombe una perenne mezza stagione molto simile all’autunno. Non è un problema, il pastume grigiastro di ottobre e novembre mi piace. Spesso mi sento come se fossi stata allevata ad amarlo e difenderlo, per una specie di questione di sangue. Più della pioggia e dei passanti che mi tossiscono addosso, però, la cosa che non mi torna è la chiara discrepanza tra quello che vedo quando esco di casa e il caleidoscopio di colori e profumi che sembra investire chi dell’autunno fa una ragione di vita. A detta di internet, l’autunno è diventato un -core come tutte le altre stagioni – o come qualsiasi altro aspetto della nostra esistenza, perlomeno digitale. I pilastri dell’autumncore, mi pare di capire, sono: una palette arancio-verde-marrone, fogliame dai colori incandescenti (a proposito, il foliage va ancora di moda?), tazze piene di tè o caffè. Per gli intellettuali: libri, specialmente se in linea con un’altra popolare aesthetic, la dark academia. Per i simpatici e i tipi esoterici: tutto a tema Halloween, costumi e decorazioni, dalle zucche ai gatti.

Ho chiesto a degli amici un po’ di impressioni sulla stagione meno popolare. Per alcuni, l’autunno arriva davvero quando decine di video di funghi invadono i loro feed di TikTok. Per altri, la prima zucca in forno è una specie di piccola festa d’inaugurazione. Altri ancora pensano che questo sia il periodo perfetto per cercare un partner stabile e arrivare pronti alle feste natalizie. Per me, l’arrivo dell’autunno coincide con un preciso tipo di meme che ogni anno, a settembre, inizia a girare su internet. In diverse declinazioni, include delle utility jacket e una battuta sulla falsariga di “credo nella supremazia delle giacche autunnali”. Mi fa ridere, spesso perché asseconda la mia intenzione di iniziare a indossare un giacchetto. Il punto di non ritorno.

In altri luoghi, e soprattutto negli Stati Uniti, dove mi sembra che l’Autumncore sia vissuto con reale trasporto, intere porzioni di mercato si mobilitano al cadere delle prime foglie. Basti pensare a Starbucks e al suo pumpkin spice latte, il complesso beverone che negli anni è diventato sinonimo dell’autunno in una maniera quasi aderente al meme. E poi, un intero corredo di tipi umani: la Christian Girl (il cui autunno, negli anni, si è contrapposto alle varie declinazioni della Hot Girl Summer), il Granola Boy, stregoni e streghette, fan di Twilight e di Una mamma per amica, che regna indiscusso nel campo dei prodotti culturali autunnali. Lo capisco, poche cose aiutano la transizione verso il grande freddo come guardare centocinquantaquattro puntate di americane privilegiate che accolgono il nuovo secolo prendendo solo decisioni sbagliate.

Il mio autunno, complice forse il fatto che vivo in una grande città al limitare della Pianura Padana e non nella parte pittoresca del Connecticut, si compone invece di maleodoranti impasti di fango e foglie (sempre marroncine, mai arancioni), capelli crespi, particolato oltre i limiti imposti. Un chiaro monito che sta lì a ricordarmi che, come spesso accade, tante cose sono meglio su internet, specie se vengono masticate e digerite sotto forma di aesthetic virali. Ma potrebbe anche essere un problema di latitudine: in un’edizione dell’Atlantic datata ottobre 1862, Henry David Thoreau raccontava degli europei che si recavano in America ad ammirare il foliage perché qui non esistevano spettacoli simili. Questa povertà, poi, si ripercuoteva sulla letteratura e sull’interesse generale per la stagione. In Europa nessuno parlava dell’autunno, non c’era niente di speciale da vedere.

Capisco, allora, perché nella lotta tra mezze stagioni sia sempre la primavera a guadagnarsi il primo posto, a venir considerata il periodo dell’anno ideale, capace di raccogliere tutto il meglio che possiamo desiderare. Ma l’autunno è custode di tante piccole cose belle e romantiche: il freddo che inizia a pizzicare il viso, andare a Venezia quando arriva la stagione del caìgo, le castagne matte da tenere in tasca, abituarsi al cambio dell’ora e guardare le luci della sera riflettersi nel fiume, gli uomini col Barbour.

E se ancora credete che la primavera sia la stagione dell’amore e dei grandi inizi, vorrei mettere sul tavolo una verità non trascurabile: nessuno ormai pensa che marzo sia il principio di un nuovo ciclo. In un mondo in cui tutte le cose che regolano le nostre vite iniziano a settembre, facciamo fatica a pensare a gennaio come il vero Capodanno, figurarsi marzo. L’autunno arriva con le migliori intenzioni e senza il carico di aspettative delle stagioni nelle quali riponiamo tutte le nostre speranze, come l’estate. L’autunno non si aspetta che leggiamo tutti i libri lasciati a metà durante l’anno né ci impone di baciare ogni turista nei paraggi. È la stagione perfetta per sentirsi persone migliori, soprattutto se il prezzo da pagare è solo un malanno che ci aiuta a immedesimarci nella condizione di chi sta espiando un qualche peccato.