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L’ultima dichiarazione di Aleksei Naval’nyj

Un estratto da Proteggi le mie parole, uscito in Italia per Edizioni E/O, libro che raccoglie le ultime parole pronunciate dagli oppositori al regime di Putin prima di essere condannati. Tra queste, anche quelle del più noto di tutti: Aleksei Naval'nyj.

di Studio

Di seguito trovate l’ultimo discorso fatto da Aleksei Naval’nyj, il 15 marzo 2022, davanti al tribunale di Lefortovo di Mosca che lo avrebbe poi condannato a 9 anni di carcere da scontare in una colonia penale, sotto un regime definito “severo” dalla stessa magistratura russa (a questa prima condanna se ne era poi aggiunta un’altra, a 19 anni, comminata il 4 agosto 2023). Naval’nyj è morto oggi, nella colonia penale di Kharp, dove era stato trasferito nello scorso dicembre. Stando alle prime dichiarazioni ufficiali, avrebbe accusato un malore durante una passeggiata. «Il 16 febbraio 2024, nel centro penitenziario numero tre, il prigioniero Naval’nyj A.A. si è sentito male dopo una passeggiata (…). Si stanno accertando le cause della morte», ha scritto in un comunicato stampa il Fsin, i servizi carcerari russi, della regione artica di Jamal. L’opposizione antiputiniana, ovviamente, definisce Naval’nyj come vittima di un omicidio di Stato: sull’homepage della versione in lingua inglese di Meduza, per esempio, è ricomparso un articolo in cui si definiva la condanna di Naval’nyj «un elaborato tentativo di omicidio». Questo ultimo discorso di Naval’nyj è uno dei tanti contenuti in Proteggi le mie parolelibro uscita in Italia a novembre del 2022 per Edizioni E/O che raccoglie le ultime dichiarazioni dei più noti oppositori di Vladimir Putin prima di ricevere le loro sentenze di condanna. 

«Imputato Naval’nyj, può fare la sua ultima dichiarazione». Se mi avessero dato dei soldi ogni volta che ho sentito questa frase, sarei ricco da un pezzo anche con il crollo del rublo. Tutte queste “ultime” dichiarazioni mi divertono persino, lo confesso. “Se è davvero l’ultima dichiarazione, perché non fa che parlare e parlare e parlare e parlare?”: qualcuno che sgrana gli occhi e lo pensa ci sarà sicuramente. Sarò franco: all’inizio di questo processo ho pensato seriamente di rinunciarci, alla mia ultima dichiarazione. Quante volte può essere l’ultima, eh? Poi ho deciso di farla comunque, e questo perché “l’ultima dichiarazione” è davvero una cosa fuori dell’ordinario. Per l’ultimo giorno di apertura di un negozio cosa scrivono? Non “saldi”, ma “fuori tutto”. E un sacco di gente entra e compra qualcosa. Allo stesso modo, l’ultima dichiarazione è l’opportunità di tirare fuori tutto sapendo che ci sarà più gente a sentire quello che dici. Dunque sì, farò la mia ultima dichiarazione.

Vorrei iniziare con una specie di risposta. Perché, in sostanza, questi processi sono una sorta di dialogo tra me e i miei compagni e voi che avete il potere. Se noi diciamo: «Stiamo facendo questo», voi dite: «Bene, sono cinque anni di galera». Noi azzardiamo «Vorrà dire che faremo quest’altro», voi: «Benissimo: ce ne aggiungiamo un’altra manciata». «Non ci fermerete!» – «Estremisti!». Il tono dello scambio è questo. Approfitto, perciò, di questa mia ultima dichiarazione per annunciare ufficialmente a chi crede che in virtù di questo mio lungo isolamento la Fondazione anticorruzione si fermerà, chiuderà, rallenterà i lavori e andrà in malora (o chissà cos’altro), che tutto questo non accadrà mai. Lo dico perché c’è chi spera che chissà quali disastri la colpiranno una volta emessa la sentenza che mi riguarda. E invece no! Non solo la Fondazione non si fermerà, ma avrà piuttosto una portata globale. Ne faremo un’organizzazione internazionale che il [Roskomnadzor – microfono silenziato] e il Cremlino provvederanno subito a schedare, ma che sarà ancora più grande e più forte. Faremo ancora più video e ancora più indagini, e smaschereremo un numero ancora maggiore di persone che impediscono al nostro Paese di vivere. Ragion per cui la Fondazione anticorruzione non farà che crescere, fino a diventare internazionale. E veniamo a questo processo. Ha una peculiarità importante: è molto diverso da tutti gli altri. Non per questioni procedurali, né perché si svolge mentre sono in carcere, e nemmeno per la pena spropositata che è stata richiesta. Anche perché, Vostro Onore, con tutto il rispetto, il record del processo celebrato presso il tribunale di Chimki resta imbattuto. Là avevo sopra la testa i ritratti di Ežov e Jagoda. Ed è stato pazzesco. Voi non potete che arrivare secondi. Questo processo, però, ha una peculiarità senza paragoni possibili. E cioè non interessa a nessuno. Non che non abbia pubblico, no, ma com’è ovvio, con la [guerra – il microfono viene silenziato] l’interesse scema. E difatti l’ufficio del presidente ha scelto apposta il momento in cui celebrarlo, perché con la [guerra – a questo punto il microfono viene silenziato e poi spento per un po’]…

…Jurij Alekseevič Gagarin: avete sempre voluto essere i primi, no? Infatti siete stati i primi ad andare nello spazio. Dieci anni dopo, nello spazio eravamo ancora primi. Ora non siamo né primi, né secondi, né terzi. Che fine ha fatto tutto quanto? Perché è diventato di colpo tutto [… – su questa parola la trasmissione viene nuovamente interrotta e sugli schermi dei giornalisti che seguono l’udienza compare la scritta: sei stato escluso dalla registrazione]?

[…]

Si pone, insomma, il problema di cosa fare di più concreto del reggere un cartello con scritto “No [alla guerra – di nuovo gli silenziano il microfono]”. Che è comunque cosa buona e giusta, ci mancherebbe. Personalmente, la risposta a questa domanda l’ho avuta da un nostro grande connazionale che ho visto spesso, ultimamente. L’ho guardato spesso negli occhi, durante questo processo, e in circostanze piuttosto intime, addirittura. Sapete bene che per arrivare in questa sala bisogna passare il cosiddetto “punto perquisizioni”. Dove bisogna spogliarsi, togliersi tutto quanto. E dove ti controllano minuziosamente. A me tocca minimo quattro volte al giorno; anche otto, quando le pause si moltiplicano. E siccome tutte le stanze sono occupate, spesso finisco nell’ufficio dietro questa parete, che poi è la scuola del carcere, l’aula di lingua e letteratura russa. E nell’aula di lingua e letteratura russa ti perquisiscono: ogni giorno, più volte al giorno. Lì Buratinkin [un agente] prende le mie mutande e le passa al metal detector. Nel frattempo io me ne sto nudo a fissare il muro, da dove mi guarda Lev Tolstoj, un grande russo che sulle guerre ha scritto molto e ha detto molte cose giuste. Una di queste la annotò nel suo diario. Me la ricorderò sempre, perché la scrisse un quattro di giugno [la trasmissione viene nuovamente interrotta e non verrà più ripresa. Qualche momento dopo, sull’account Instagram di Naval’nyj verrà precisato che aveva concluso la sua dichiarazione con la seguente frase di Tolstoj]:

«La guerra è figlia della tirannia. Chi vuole combattere la guerra deve solamente combattere i tiranni».

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