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Gli AirPod sono passati di moda?

Sono il gadget “indossabile” più di successo ma anche il più criticato. Un’analisi semiseria dal punto di vista dello stile.

di Silvia Vacirca

Mary-Kate Olsen in giro per New York

Prendete gli AirPod, metteteli nel cassetto, e buttate la chiave. L’essenza della “coolness” adesso sono le cuffiette bianche coi fili, quelle che avevamo rimosso perché facevano troppo Mark Wahlberg. In realtà, le cuffiette non se ne sono mai andate. C’è sempre chi non può permettersi i costosi AirPod, per non parlare dell’élite di ultra-conservatori che li ha odiati da subito perché li considera assurdi e ridicoli. Inutile dire che questi ultimi non possiedono uno smartphone bensì un piccolo Nokia nero con cuffiette nere. Ecco, questi snob rischiano di perdere il loro primato di snob perché, di recente, Mary-Kate Olsen – designer di The Row – è stata fotografata a Manhattan con un paio di EarPod tutti arruffati, penzolanti dalla tasca, e sconnessi dal telefono. Falsi e sublimi come i filari di perle di Chanel.

All’improvviso, nell’epoca che ha esposto tutti i legami più intimi, scardinandoli, per un virus nuovo che c’è ma non si vede, appare un’immagine che è la metafora migliore di questo tempo labirintico e disperato: un piccolo caos visivo di fili bianchi, come quando nel 2014 li tiravi fuori dalla borsa e quelli ti rovesciavano sul marciapiede la tua piccola vita, senza pietà – il fazzoletto secco di pianto, gli spicci – ricordandoci che su quella nostra piccola vita non esercitiamo alcun controllo. Queste filiformi rovine del passato recente erano pronte per essere elette aggeggio all’ultimo grido in fatto di analog-chic, mancava solo che Mary-Kate Olsen li indossasse in una foto che sembra la rappresentazione icastica della fine del mondo.

La settimana della moda di Parigi ci ha appena regalato una fantasia escapista, le cuffiette ci riportano sulla Terra, qui e ora. Nella foto Mary-Kate è del tutto indifferente al caos che si svolge poco sotto la sua vita e, come sempre, è avvolta in un’atmosfera rarefatta. Il mondo finisce, so what? C’è qualcosa di rassicurante e liberatorio nell’idea di rinunciare al labirinto degli sguardi che la moda come fatto sociale e simbolico presuppone. L’angoscia di decidere in dieci secondi quello che diremo al mondo e come lo diremo con i nostri vestiti, provare a controllare il messaggio, e la consapevolezza dolorosa dello sguardo altrui, fuori dal nostro controllo. Che liberazione adesso mettere la felpa sulla maglietta, sul maglione, sul cappottone, uscire a fumare una sigaretta, dimenticare gli AirPod, e il corpo. Vivere tutti nella nostra testa, dove il corpo non c’è e quindi non corriamo alcun pericolo. Forse c’è chi porta le cuffie coi fili perché gli AirPod li ha persi nel Tevere, o forse perché non gradisce la funzione di cancellazione del rumore, ma Mary-Kate no, lei sa che è una scelta di ultra-distinzione, di lusso perverso, di rinuncia impossibile. Come dire, non m’importa di stare al passo con la tecnologia, meglio le cose semplici, che poi è come ragioni quando hai raggiunto la vetta e ti godi il panorama da lassù. Chi altri può permettersi di non avere uno smartphone, o di perdere cinque minuti buoni a sbrogliare un groviglio di cavi?

La scelta della Olsen è ancora più significativa perché Apple ha appena dichiarato che dal 2020 non fornirà più gli EarPod in allegato al telefono, e cioè il nuovo iPhone 12 predisposto per la rete 5G. Il nuovo design dell’iPhone 12 – che esce il 23 ottobre – prende ispirazione da quello degli iPhone 4 e 5. Apple è carbon neutral per le operazioni corporate globali, e entro il 2030 progetta di azzerare l’impatto sul clima.  Questo significa che ogni dispositivo Apple venduto, dalla raccolta delle materie prime alla manifattura, dall’assemblaggio, al trasporto, alla ricarica, fino al riciclo e recupero delle materie prime, sarà totalmente carbon neutral. Inoltre, Apple ha deciso di rimuovere l’adattatore di alimentazione e gli EarPod dal packaging, riducendo ancora di più le emissioni di carbonio. La trovata gli consentirà anche di spedire il 70 per cento di scatoline in più in un solo pallet.

Era il settembre 2003 quando l’agenzia creativa TBWA aveva lanciato la campagna pubblicitaria iPod “silhouette” con le sagome nere danzanti e anonime che reggevano iPod bianchi con cavi di collegamento anch’essi bianchi. Le sagome erano proiettate su colori molto pop: verde lime, giallo, fucsia, blu elettrico, rosa. I primi annunci furono pubblicati su cartelloni pubblicitari all’aperto, all’ingresso di Los Angeles. Gli annunci stampati usavano slogan come “Welcome To The Digital Music Revolution” e “10,000 Songs in Your Pocket”. Il primo spot televisivo presentava ballerini e artisti che indossavano l’iPod mentre si muovevano al ritmo della musica di Hey, Mama dei Black Eyed Peas. In produzione, gli auricolari e i fili bianchi sono un lavoretto del caos, il risultato di un incidente. Erano solo bianchi e non neri perché l’iPod era bianco. Negli annunci, il colore bianco mette in risalto il gadget, la cosa da desiderare. La tecnologia Apple diventa un fenomeno di moda e, in quanto cool, indispensabile. Nel luglio 2004, lo ricordiamo tutti, Newsweek mette Steve Jobs sulla copertina con in mano un iPod e lo slogan: “iPod, quindi sono”. Oggi che la tecnologia ci terrorizza come una seconda natura, il ritorno ai fili forse ha una valenza rassicurante, di recupero in chiave nostalgica, ma quelle sagome con le cuffie, col senno di poi e svariate riunioni su Zoom dopo, hanno un aspetto un po’ sinistro. Sembrano dirci che gli EarPod sono più importanti, più interessanti, più senza tempo di noi. Sembrano dirci che senza di essi non avremo alcuna presenza tangibile nel mondo.