Un film che riesce a dare sostanza alla materia letteraria informe e nervosa del libro e la piega, senza tradirla, all’interno del mondo cinematografico del regista.
Ha il piglio di un documentario e le atmosfere di uno dei sogni lucidi: Agon è l’esordio registico di Giulio Bertelli, in cui finzione cinematografica e realtà sportiva s’intrecciano di continuo, contaminandosi. Dato che davanti alla cinepresa c’è la judoka oro olimpico Alice Bellandi, nei panni di una versione distopica e mitologica e di sé stessa, e dietro c’è un regista già velista di fama internazionale, verrebbe da scambiare Agon per un documentario sul dolore nascosto dietro il sipario del sogno sportivo.
Bertelli però è lontanissimo da quella retorica della sovrumanità che circonda le imprese sportive, risvegliandoci da questo stereotipo con il suono delle martellate inflitte dai chirurghi al ginocchio di Bellandi per ricostruirlo. Martellate che poi Bellandi si infliggerà, metaforicamente ma nemmeno tanto, nel tentativo di riavvolgere il nastro del tempo e tornare al momento precedente l’inizio del calvario. Li seguiamo tagliare le carni, cucire i tendini, aspirare il sangue per tutta l’operazione attraverso uno spioncino nella porta austera ed elegante di Agon, che (da titolo) ci porta nell’agone sportivo, indugiando anche ai suoi margini, esplorando la zona d’ombra al di fuori del tatami, della pedana e del campo da tiro.
Una storia violenta
La scelta dei tre sport raccontati non è casuale, anzi. Sia il judo, sia la scherma sia il tiro sono infatti discipline le cui radici affondano nei tempi di pace in cui ci si prepara alla guerra. Sono sport nati dall’urgenza bellica, poi nobilitati e infine trasformati in intrattenimento. Nel tempo la necessità diffusa di cacciare, di utilizzare armi, di sapersi difendere anche a mani nude, è divenuta (quasi) anacronistica e le federazioni l’hanno trasformata, sublimandola in un puro gesto tecnico, in competizione agonistica.
Oltre l’eleganza formale delle gare ufficiali ricreate in un clima austero, silenzioso e senza pubblico, Agon è impregnato di una tensione diffusa e palpabile. Quella alimentata dallo scarto, incolmabile, tra la fallace natura umana e gli altissimi ideali olimpici che le tre atlete professioniste sono chiamate (costrette) a incarnare. È in questo spazio che Bertelli trova le zone di grigio, i territori poco poco esplorati del racconto sportivo contemporaneo. Talvolta il grigio si inscurisce, passa al nero, il colore di cui si tingono le vite atletiche, votate a routine alienanti e a enormi sacrifici, e nonostante questo intrappolate nel contemporaneo, nelle logiche commerciali, nei desideri.
Giochi pericolosi
Le tre storie di Agon raccontano una quotidianità fatta di simulazioni, palestra, allenamenti, ma anche di controlli antidoping con un enorme mole di codici, etichette e burocrazia. Per ogni momento di preparazione tecnica e fisica c’è un contraltare umano: il momento di gossip tra lottatrici che si chiedono se una collega russa si dopi, una scena di masturbazione con un anime hentai come ispirazione sullo schermo di un tablet, una cena a base di fast food consumata con famelico appetito dopo giorni di attentissimo controllo sul peso, in vista delle gare.
Nella cornice dei giochi fittizi di Ludoj 2024, Bertelli s’ispira a vicende sportive controverse passate e presenti per testare gli estremi limiti a cui tre esseri umani sono portati da discipline che richiedono una condotta eccezionale, anche quando non c’è nessuna gara. La fiorettista Yile Vianello, per esempio, si ritrova davanti alla giustizia sportiva per un incidente ispirato alla tragedia che colpì lo schermidore russo Vladimir Smirnov nel 1982, quando finì per uccidere in pedana il suo avversario (ad oggi unico incidente mortale della storia della disciplina). Sul banco degli imputanti – nelle aule giudiziarie ma anche sulla stampa e sui social – ci finisce la reazione emotiva, la condotta extra sportiva (secondo alcuni non sportiva), l’umano dietro l’atleta.
Sofija Zobina interpreta una tiratrice medaglia d’oro che incappa nella inevitabile shitstorm che si scatena su ogni vita pubblica, quando online inizia a circolare un video in cui la si vede armante, trionfante, accanto a una pila di carcasse di lupi che ha ucciso durante una battuta di caccia illegale. Si scopre che per soldi ha accettato di accompagnare un ricco cliente a caccia nella tundra. L’accaduto pregiudica competizioni, sponsor e prospettive di un’atleta fino ad allora corteggiata anche per la sua avvenenza e per un talento innato nello stare davanti all’obiettivo dei fotografi di moda.
Ci sono anche gli e-sport che bussano alla porta, perché in un mondo in cui tutto è una commodity un’atleta medaglia d’oro, anche se caduta in disgrazia, è uno status symbol da sfruttare e sfoggiare. Non importa se è disprezzata e abbandonata dal mondo intero, anzi, è il nome perfetto da associare a un tipo d’intrattenimento sportivo in cerca di nobilitazione.
Docufiction
Alternando un’estetica rigorosa e pseudo documentaristica a riprese dal vivo, simulazioni in computer grafica e gare ricostruite in arene silenziose, deserte e semibuie, Agon riesce a raccontare lo scarto tra atleta ideale e la donna reale, mettendo al centro l’essere umano a cui viene chiesto di aderire a un modello di perfezione ovviamente irraggiungibile. Il tutto in una realtà sociale, economica, politica che assottiglia i confini tra pubblico e privato, tra sportivo e intimo, in un racconto di vicende in chiaroscuro che mettono in risalto per contrasto l’eccezionalità (sia in positivo che negativo) che sta alle fondamenta di un’atleta.
Presentato alle Settimane della critica alla 82esima Mostra del cinema di Venezia e distribuito nella sale da Mubi, Agon è un esordio di austera eleganza e polso fermo nell’addentrarsi nelle ombre ai margini del mondo sportivo, guidato dalle sue protagoniste che ammira per la loro dedizione sportiva, senza però fare loro sconti sul lato umano.

Una grande commozione e una standing ovation di 23 minuti per il film di Kaouther Ben Hania, che mescola documentario e finzione per raccontare la storia vera di una bambina uccisa a Gaza dopo una lunghissima agonia.