Questo è il primo articolo della nostra serie estiva “Gran Turismo” , in cui le autrici e gli autori di Rivista Studio raccontano luoghi e città dal punto di vista del turista o di chi i turisti li subisce. È un modo, un po’ più leggero, per continuare a far vivere il nostro numero estivo, tutto dedicato al turismo: da come, negli ultimi anni, sia diventato un problema politico (overtourism), a come nonostante tutto, il viaggio continui a conservare una sua dimensione romantica. Lo trovate in edicola e sul nostro store online.
L’anno scorso, nelle due settimane centrali di agosto, sono stata in Trentino, cedendo alle lusinghe della promessa di un luogo attrezzatissimo per i bambini. Chi parte dal centro Lazio per il Trentino dice sempre che ci va “per spurgare”, come una tellina di Torvaianica messa in acqua e sale. In effetti, il Trentino è pieno di parchi divertimento, aree gioco all’aperto, mini golf, escursioni nelle miniere, sentieri tematici perfettamente integrati con la natura. I giochi sono sempre in legno, una reinterpretazione calvinista dei circuiti di allenamento dei Marines, dove aleggia lo spirito di Maria Montessori al posto di quello del sergente maggiore Hartman. Chi ha figli, può davvero lasciarli sfogare in tutta tranquillità: è un piacere guardarli saltare per tre ore di fila su un tappeto elastico montato a duemila metri di altezza, mentre si lanciano a cento chilometri orari aggrappati a una piccola carrucola sospesa su un soffice prato verde, attraversare e riattraversare piccoli ponti tibetani, la Nintendo Switch finalmente abbandonata a sé stessa nella stanza d’hotel. Nel frattempo, i genitori possono finalmente distendersi sereni sulle sdraio a prendere il sole di montagna, respirando aria pura, stordendosi di grappa alla nocciola o birra, a seconda di quanto vogliono spurgare. A quel punto, i genitori del centro Italia partono con feroci invettive contro le amministrazioni locali di giù, soprattutto contro la Regione Lazio e la Regione Campania. Non se la prendono con Gualtieri, che almeno qualcosa fa, ad esempio pubblicare video divertentissimi su TikTok. Perché non riusciamo a farle anche noi queste prodezze ingegneristiche per bambini? Perché il sud è così inadatto al parenting? Ci chiediamo, storditi dalla grappa e iniziando a vagheggiare di mollare tutto e trasferirci sulle Dolomiti, già immaginando l’articolo del Corriere della Sera con la nostra storia in stile “cambio vita”.
Altri pregi della montagna per i genitori: i bambini non vanno docciati cento volte al giorno, non bisogna lottare contro la sabbia che si infila negli anfratti più nascosti delle valigie, si cena alle diciannove e un quarto. I contro: bisogna lasciare almeno cinquecento euro a Decathlon, dove ci si lascia subito prendere un po’ la mano, e la vacanza in Trentino prende subito l’aura da scalata al K2. Pantaloni da trekking modulabili con zip al ginocchio, maglie termiche, scarponi alti, bastoncini da nordic walking, felpina perché lì la sera fa fresco, ma poi in realtà non così tanto fresco. Io prendo anche un completo “sport-chic”, come recita l’etichetta, sentendomi una Deborah Compagnoni in ritiro. Così bardati da spedizione sul fronte alpino, si parte per l’escursione “Sentiero del Sole (giro delle malghe)”, la prima che ci propone l’app “Mio Trentino”, quasi 20 km a piedi, con un dislivello di 1.156 metri in salita e 887 metri in discesa, insomma facilissima, soprattutto per chi, come noi nel Lazio, prende la macchina anche per fare gli 800 metri da casa al supermercato. A circa metà percorso, io e mio figlio piccolo (la frangia meno sporty della famiglia) cominciamo ad avvertire i primi segni di un cedimento nervoso, che superiamo solo quando ci promettono una sosta alla prossima malga, con doppia razione di strudel di mele e un panino col bratwurst. Nella malga avviene una scena che una qualsiasi femminista di Instagram ci avrebbe campato almeno fino a Natale. Mentre siamo seduti al tavolo, figlio grande mi dice: «Mamma, c’è uno che ti sta fissando». «In che senso mi sta fissando», gli chiedo, girandomi verso il bancone dove staziona un gruppetto di uomini vocianti in camicia da boscaiolo, pantaloncini di jeans e scarponi, che stanno bevendo birra da grossi boccali a mezzogiorno. Uno di loro, capelli e barba biondo-rossicci, sulla trentina, in effetti mi sta guardando e quando vede che lo guardo anche io, mi fa inopinatamente l’occhiolino.
Un po’ sono sotto shock, un po’ neanche tanto, ricordandomi dei miei trascorsi in Erasmus in Germania, comunque il boscaiolo si avvicina il tavolo e inizia una conversazione con me e con mio figlio grande, che finisce con lui che mi chiede il numero di telefono, e mio figlio grande che mi suggerisce di non darglielo. Io gli rispondo, ma qui davanti c’è mio marito (e i figli, quello piccolo che continua a mangiare il suo bratwurst senza accorgersi di nulla). Mio marito reagisce come reagirebbe Raimondo Vianello, allorché il ragazzo biondo-rossiccio risponde che le donne sono tutte Schlampe, pensando che io non lo capisca. Ma io ho fatto l’Erasmus in Germania e a me Schlampe non me lo dici. Mi arrabbio e lo mando a quel paese, grazie alle competenze linguistiche acquisite durante la nota esperienza didattica europea. Lui si risente molto, e a quel punto dice in italiano: «Voi, venite qui da noi a manciare i nostri funghi porcini», e non posso che dargli assolutamente ragione. Poi aggiunge: «meno male che adesso c’è Jannik Sinner che sta facendo vedere al mondo di che pasta siamo fatti noialtri!». Infine, si allontana, lasciandoci mangiare in pace, ma quando ce ne andiamo rispunta da dietro il bancone e mi saluta con: «Ciao, bella». E questo aneddoto straordinario me lo giocherò in tutti i pranzi, le cene e gli aperitivi successivi, suscitando l’ammirazione delle amiche per aver fatto colpo sull’altoatesino (quella perennemente single esclamerà: «Oh, ma allora ci vado pure io!»). Completiamo l’escursione “Sentieri del Sole” e ci ritroviamo finalmente a fondovalle, stanchi morti, fermandoci a riempire le borracce in un parchetto vicino una chiesa. Anche questo piccolo parchetto è curatissimo, l’erba verde e soffice, i giochi di legno, le panchine, le fontanelle da cui sgorga acqua fresca e dove qualche bambino ha lasciato i suoi giocattoli in ammollo, barchette e pupazzetti di animali. La chiesa è bianca, il campanile ha la punta rossa, la luce filtra di sbieco tra i rami frondosi degli alberi. Per un attimo mi sembra di vedere Heidi, non la bambina del cartone ma Klum, la modella, ma capisco che è solo la babysitter di due gemelli, biondi, di forse due anni e mezzo, che trotterellano scalzi per il prato. «Dio, perché qui è tutto così bello?», penso. Ripenso al boscaiolo, ai funghi porcini e a Jannik Sinner, di cui non sono ancora una fan ossessionata (cosa che succederà durante gli Internazionali di Roma di quest’anno). Dico a mio marito che aveva ragione: il Trentino è un sogno.