Cos’è la destra, cos’è la sinistra lo decidono i jeans di Sydney Sweeney

La campagna pubblicitaria di American Eagle è stata indubbiamente efficace: i liberal di tutto il mondo hanno abboccato alla provocazione e i conservatori hanno colto al volo l'occasione per ribadire che non si può più dire niente.

04 Agosto 2025

Se dovessi riscrivere La metamorfosi di Kafka dal mio punto di vista, invece che svegliarmi con le sembianze di un gigantesco insetto mi ritroverei oggetto di un post di Matteo Salvini. Il ministro che usa i suoi canali ufficiali per raccontarci i prodigi dell’orto, mentre la situazione trasporti italiana dà risultati leggermente meno soddisfacenti delle sue zucchine – ma perché non lo fanno ministro dell’ortofrutta e dei social? – periodicamente sceglie di occuparsi di una faccenda del tutto irrilevante per le sorti della politica italiana ma molto allettante per quanto riguarda quella del suo feed. Lo schema è più o meno sempre uguale: decontestualizzare una dichiarazione, appiccicarla su una foto del soggetto prescelto a diventare il mostro del giorno, l’insetto gigante kafkiano di cui sopra, allegare una didascalia elementare del tipo «ma solo io penso che la Nutella sia buona?», aspettare che la natura faccia il suo corso. L’ultima vittima del suo radar della polemica è Sydney Sweeney, protagonista di un disegno ben più largo del salvinismo performativo. «Sinistra e femministe lo hanno definito persino “fascista” e stereotipato. Solo a me sembrano reazioni folli?» scrive Salvini sul suo profilo da due milioni e mezzo di follower, allegando il video della campagna pubblicitaria di American Eagle, il brand di jeans che ha scelto di far detonare la macchina dell’engagement mondiale in questa torrida estate senza tormentoni. Del resto, negli Stati Uniti non avevano mica i vocali di Raoul Bova per distrarsi dall’apocalisse. 

La tempesta perfetta per l’algoritmo

Facciamo però un passo indietro, perché va bene che il nostro ministro dei Trasporti quando si parla di meloni e viralità – pun not intended, da qualsiasi punto di vista – è sempre in prima linea, e va bene pure che in estate bisogna pure farlo camminare un po’ questo algoritmo, ma con l’affaire Sweeney siamo di fronte a qualcosa che va ben oltre la portata dei pentoloni della sagra a Pontida. Ciò che Salvini commenta, infatti, è la tempesta perfetta del flame internettiano contemporaneo, la Waterloo delle guerre culturali, o la Caporetto delle diatribe digitali che hanno come unico scopo quello di renderci tutti un po’ meno intelligenti (impresa non scontata in alcuni casi) e un po’ più radicalizzati nelle nostre convinzioni forgiate da ore di scrolling a suon di brainrot e Skibidyboppy. So che la frase appena scritta non meno di dieci anni fa sarebbe sembrata un delirio, ma il tempo vola e il fiume incessante dei contenuti non smette mai di scorrere, dunque eccoci qua, a disquisire se uno spot di jeans americani con protagonista un’attrice molto in vista, diciamo una creatura mitologica a metà tra Cameron Diaz e Marilyn Monroe, sia o meno un prodotto della propaganda nazista. 

American Eagle, geni e jeans

Facciamo dunque un altro passo indietro, stando attenti a non cadere nelle tenebre che ci fissano mentre noi fissiamo gli occhi blu di questa giovane attrice e rispondendo alla semplice domanda: chi è Sydney Sweeney e perché un video di lei che sale su una macchina d’epoca dopo essersi asciugata le mani sul sedere con fare ruspante è finito sul profilo Instagram di un nostro ministro, oltre che su tutte le testate giornalistiche presenti sul globo, nei trend di Tik Tok, in quelli di X e, dulcis in fundo, la garanzia della qualità, sul blog di Nicola Porro? Se Don Draper esistesse si starebbe sfregando le mani, e se il fine giustifica i mezzi, come dice il tatuaggio sul labbro inferiore di Michele Morrone, e l’obiettivo di American Eagle, un brand di jeans che probabilmente molti di noi non avevano neanche sentito nominare fino a pochi giorni fa, era quello di emergere dall’oblio dell’irrilevanza, possiamo dire che la missione è stata portata a termine. A scatenare la shitstorm perfetta che divide in modo preciso le due tifoserie, quelli del «solo a me sembrano reazioni folli?» contro quelle del Sydney Sweeney è la nuova Eva Braun, ci sono due elementi: il primo, la scelta dell’attrice, il secondo ciò che dice l’attrice.

Non è la prima volta che una campagna pubblicitaria sfrutta l’omofonia tra le parole “jeans” e “genes”, cioè geni. Già negli anni Ottanta, una Brooke Shields minorenne era diventata testimonial di Calvin Klein con uno spot in cui recitava «the secret of life lies hidden in the genetic code» infilando con difficoltà un paio di pantaloni – «You wanna know what comes between me and my Calvins? Nothing» è il claim che ha fatto la storia, non senza problemi per l’attrice stessa e la sessualizzazione asfissiante che ha subito, come ha confessato anni dopo in un documentario. Nella versione 2025 della sfacciataggine reaganiana, in pieno spirito MAGA, American Eagle fa dire a Sweeney che «Genes are passed down from parents to offspring, often determining traits like hair color, personality, and even eye color. My jeans are blue», voce ammiccante un po’ ASMR e movenze sensuali. 

La genesi di Sydney Sweeney

Ma chi è, appunto, questa bellissima donna dagli occhi indubbiamente blu e dal grazioso DNA? Sydney Sweeney è stata una delle tante attrici benedette dal film di Tarantino, Once upon a time in Hollywood, all’interno del quale hanno recitato anche Margaret Qualley, Mikey Madison, Maya Hawke e poi dall’amata Euphoria di Hbo (ne avevamo parlato qui). In quest’ultima, il suo ruolo era a mio avviso il più interessante e meglio recitato, sebbene la serie si sia poi concentrata più su Zendaya e sulle vicissitudini del suo personaggio. Cassie, questo il nome di Sweeney nella serie di Sam Levinson, è una versione postmoderna della bambola americana, una sorta di teen-tradwife con le complessità psicologiche della GenZ cucite addosso in un exploit di disagio mentale e fisico in perfetta disarmonia con la sua apparenza fumettistica: corpo da femme fatale, viso da Dolly Parton, se l’intelligenza artificiale dovesse inventare un’immagine per ciò che resta della whitness statunitense oggi come residuo di una cultura novecentesca zoppicante partorirebbe il fotogramma di Cassie che piange nei bagni della scuola dopo aver fregato il fidanzato violento e manipolatore alla sua migliore amica, una Barbie che sprofonda nell’oblio della recessione economica.

Da Euphoria a musa dei MAGA

Se da un lato dunque Sydney Sweeney è stata accolta dal pubblico di Euphoria come parte integrante di un trend culturale che scardina i valori tradizionali del cinema americano in forma di teen-drama – ricordiamo che nella serie c’è anche un’attrice transessuale, Hunter Schafer –, dall’altro lei non ha fatto niente per impedire al mondo conservatore di trasformarla in un feticcio. Rom-com dal sapore artefatto di fasti anni Zero, giri a Disneyland con piglio da Lolita di una sorority, saponette per uomo create con l’acqua della vasca dentro cui si è fatta il bagno, Sydney Sweeney sembra essere la perfetta rappresentante di quel repubblicanesimo contemporaneo stufo dei valori imposti dal mondo liberal e woke, stufo delle modelle oversize e dell’inclusività, pronto a salire sulla Mustang con una bella sventola bionda che non fa troppe domande. È probabile che Sweeney non sia niente di tutto ciò, nonostante la sua famiglia sia piuttosto tradizionale e nonostante l’antico precetto del “se non è di destra né di sinistra allora è di destra”, ma sta di fatto che negli ultimi giorni, dopo la polemica dello spot American Eagle, alcuni utenti avrebbero trovato la prova che sia in effetti registrata come repubblicana e che la sua elezione a musa dei MAGA, con tanto di nota in sua difesa firmata niente di meno che dalla Casa Bianca, sia dunque un cerchio che si chiude, come la lampo dei suoi jeans. 

Destra – Sinistra

La situazione non è né grave né seria, per para-citare Flaiano; piuttosto, è esemplificativa di come funzionano i mezzi di comunicazione di massa oggi e di quanto questi possano essere sfruttati per fare becero populismo con pretesti da nulla. Se da un lato è legittimo criticare la scelta di un brand di usare un gioco di parole e una retorica sulla purezza che risultano piuttosto ambigui, specialmente nel pieno di un governo trumpiano in cui la provenienza e l’etnia delle persone gioca un ruolo assai centrale, dall’altro mi domando e domando ai milioni di utenti di internet che si sono sentiti offesi da uno spot, perché i suddetti brand – in altri anni avremmo detto “il capitale” – dovrebbero essere nostri alleati e in che misura stiamo contribuendo a dare loro la tanto agognata rilevanza mediatica proprio accendendo un simile dibattito? Ma soprattutto, perché su internet ci fissiamo così tanto con delle faccende così insignificanti? 

Nel caso dello Sweeney-American Eagle affair, la risposta sta tutta nei suoi elementi di perfetta detonazione: l’attrice dalle vedute politiche ambigue, a differenza della maggior parte delle sue colleghe di Hollywood che storicamente tende più verso il Partito Democratico, la facilità con cui i liberal hanno reagito alla provocazione, sottile o reale che fosse, lanciata dallo spot, l’immediatezza con cui la destra conservatrice occidentale ha colto questa occasione ghiotta per dimostrare che dall’altro lato non ci sono altro che rompiscatole moralizzanti che vedono sessismo, razzismo e “nazismo” ovunque, anche in una bellezza d’altri tempi. E non si può più dire niente, neanche che una ha un bel paio di occhi blu. Qualsiasi aspetto che riguardi i jeans della discordia, che oltretutto sono anche piuttosto brutti e affatto assimilabili alla grande tradizione statunitense in stile Levi’s e t-shirt bianca, quelli di cui cantava il nostro Nino D’Angelo, grida algoritmo. Tutto, a partire dal solletico mentale fatto ai militanti del MAGA con la versione nostalgica di un ideale perduto, una sorta di cosplaying dei bei tempi andati, quelli che il presidente Trump si impegna a riportare in vita con dazi ed espulsioni, sembra pensato al millimetro per generare un’ennesima ragione per buttare le nostre giornate a litigare online sul fatto che uno spot di pantaloni strizzi o no l’occhio ai fan dell’eugenetica. E infatti, chi molla pomodori e mentuccia per scendere in pista e non perdersi il nuovo giro di valzer della demagogia da due soldi?

Innamorati di Sydney Sweeney

Riservata nella sua vita privata, incasinata nei ruoli che le hanno fatto meritare le nomination agli Emmy: ritratto della diva di Euphoria e White Lotus, da paladina del goblin mode a musa di Miu Miu e Jacquemus.

La campagna pubblicitaria di Sydney Sweeney per American Eagle è sempre più un caso politico

Dopo le polemiche sullo slogan scelto per accompagnare le foto a difendere l’attrice è intervenuta anche la Casa Bianca.

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di Studio
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