Miriam Mafai, la ragazza eretica del comunismo italiano

Nel suo nuovo libro, E non scappare mai, Annalisa Cuzzocrea racconta una delle protagoniste della vita politica e culturale del Novecento italiano.

20 Luglio 2025

La tentazione alla mimesi è sempre molto forte quando si racconta una vita altrui, soprattutto quando si tratta di una persona fortemente amata e appartenente a un’era politica e storica oggi pressoché mitica e totalmente esaurita, ma Annalisa Cuzzocrea, sostenendosi anche attraverso le lettere originali che puntellano (e trattengono) la narrazione offre un ritratto onesto e distaccato di Miriam Mafai in E non scappare mai (Rizzoli), un testo che lei stessa definisce il romanzo di una vita e non una semplice biografia.

Miriam Mafai come molte delle donne comuniste italiane è stata capace di farsi carico di un’epoca nuova e al tempo stesso radicalmente uguale. Un dopoguerra che fu per molte donne una prosecuzione della guerra in tempo di pace. Una lotta continua per ottenere indipendenza, diritti e libertà d’azione, anche all’interno di quella sinistra che si diceva progressista, ma che soprattutto nei banchi comunisti si rivelava più spesso come il fronte opposto, ma uguale di una chiesa democristiana dai medesimi moralismi.

Giornalista militante

Cuzzocrea racconta la giovinezza e la maturità di Miriam Mafai funzionaria di un partito allora capace di produrre una classe dirigente non solo intellettuale, ma in grado di diffondere la teoria nella pratica quotidiana, vivendo a contatto con le ragioni del proletariato contadino come di quello industriale. Dalle campagne dell’Abruzzo alla città di Milano, Miriam Mafai organizza, struttura e fa campagna elettorale, ma al tempo stesso vive fortemente un’idea di donna indipendente e soprattutto mai disposta a rinunciare alle proprie convinzioni così come ai propri desideri. Due piani per lei egualitari che le costeranno non poco sia all’interno del partito sia nel confronto continuo con i propri compagni di vita. Una donna dunque decisa e dura, come mostra anche la bellissima foto in copertina che la ritrae giovanissima con uno sguardo severo puntato all’obiettivo: in una mano un paio di guanti e a tracolla una borsa a rete, di quelle che si usavano un tempo per la spesa. Una donna anche scontrosa, però mai chiusa ai propri sentimenti. Miriam Mafai non scambiò mai – come decisero molte donne all’interno del partito – la propria felicità con la propria militanza, ma pretese e riuscì a coniugare il proprio diario privato con il proprio discorso pubblico. Militante ma mai dogmatica, severa ma mai rigida, certamente solerte, ma anche disponibile allo strappo occasionale, al ritardo e all’imprevisto – se questo poteva essere frutto di curiosità – Mafai scelse non a caso il giornalismo come elemento di lotta e scoperta, aprendosi così alla società senza dipendere direttamente dalle stringenti e spesso ottuse dinamiche di partito.

La storia dei comunisti e delle comuniste italiane in particolare è segnata principalmente da chi fu in grado di restare fedele ai propri principi, ma ereticamente rispetto ai dogmi del partito e del funzionariato (i famosi avanzi di segreteria) sempre in ogni caso – anche nel partito comunista – dedito alla ricerca e al mantenimento del potere. Fu un’irriverenza eretica, quella di Miriam Mafai, che appare difficile da comprendere pienamente nel mondo di oggi, in cui la comunicazione politica appare indistinguibile da quella di un content creator. E non basta nemmeno agire sul privato raccontandolo, seppure con una giusta e rispettosa distanza, come fa Annalisa Cuzzocrea nel suo libro. Perché quel tempo non solo è finito, ma si è esaurito chiudendosi al di là di un muro oggi invalicabile, se non nella – anche  in parte giustificabile – mitizzazione del Novecento.

Contro il mito

E non scappare mai si rivela necessario nel riportare in vita l’esperienza esistenziale di Miriam Mafai, ma resta comunque irriducibile e sostanziale l’impossibilità di spiegare i motivi nodali e le contraddizioni di una vita se non inseriti all’interno di una prospettiva storica ampia. Cuzzocrea sceglie invece una via di mezzo che di per sé risulta sicuramente seducente, ma anche ambigua e facile alla mitizzazione, se non di Mafai di un Novecento che agli occhi dell’oggi può apparire addirittura consolatorio e rassicurante. Quello fu un tempo infatti in cui la sinistra proiettava sulla società un’egemonia culturale e una capacità di attrazione popolare che è oggi infinitamente minore, e in cui molte sfide e lotte democratiche furono vinte proprio da donne come Mafai. Ma fu anche un tempo estremamente complicato, un tempo addirittura orrendo per molte di quelle stesse donne impegnate politicamente che si trovarono a viverlo con fatica e dolore. Miriam Mafai appare oggi come un’aliena, non tanto per le sue rivendicazioni che ancora devono ottenere piena accoglienza, ma per la partecipazione a un movimento politico che ha lasciato sul campo una memoria più in chi non vi partecipò che in chi si trovò nelle sue fila e che oggi tende a rifiutarne, se non il ricordo, quantomeno la sua mitizzazione.

E non scappare mai appare così un’opera simile a La grande ambizione di Andrea Segre, in cui isolando un figura si tratteggia un protagonista che nella sua esemplarità finisce per avallare un tempo che fu anche e in buona parte ridicolo nei suoi astrusi contorcimenti scambiati (e venduti) per complessità. È così necessario tornare a un dissacratore colto come Edmondo Berselli e alla sua inesauribile capacità d’analisi ironica espressa in libri come Venerati maestri (riproposto ora da Quodlibet), ma anche in Post-italiani. Cronaca di un paese provvisorio (2003). Quello di Berselli non fu un gioco al ribasso, ma la destrutturazione di una retorica dentro alla quale finirono gli stessi esponenti di quella sinistra che fu sì capace di grandi cose, ma anche fondamentalmente e tragicamente sconfitta dalla storia.

Berselli evidenzia la sconfitta con l’ironia, rilevando i motivi urgenti di quell’eresia di cui furono protagoniste figure come la stessa Miriam Mafai. Un’eresia e un’irriverenza che furono le vere protagoniste della politica di Miriam Mafai e anche della sua esistenza. Una volontà che non si riduceva alla vita pubblica, ma al sentire privato, all’intimità e all’amore, parola fortemente evitata dai comunisti fino alla censura. Una volontà di innovazione e di cambiamento che vide però una clamorosa sconfitta proprio all’interno di in una sinistra maschile e maschilista che preferì la supponenza all’analisi e il vezzo del potere (spesso presunto) al desiderio, con il risultato di finire nemmeno come venerati maestri, ma come soliti stronzi.

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