Il Moon Safari degli Air non è mai finito

Abbiamo incontrato il duo francese a Lido di Camaiore, al festival La Prima Estate, e con loro abbiamo parlato (ovviamente) di Moon Safari, di French Touch, di colonne sonore e dei Beatles.

26 Giugno 2025

La cosa bella dei racconti è che nella migliore delle ipotesi riescono a evocare in chi li ascolta le stesse emozioni di chi ha davvero vissuto quelle storie. Capita quando gli Air iniziano a ricordare come è nato il loro gruppo e come, con altri gruppi e artisti, abbiano nei primi anni Novanta inventato un vero e proprio genere musicale, il French Touch, in una Parigi che era il luogo giusto dove vivere e dove decine di artisti che si frequentavano e vivevano la stessa scena hanno dato vita a quel mix di house, funk e disco che si è poi diffuso in tutto il mondo, inventando un modo nuovo di intendere la musica da club e la musica elettronica.

Gli Air di tutto questo sono stati protagonisti, soprattutto con il loro disco più noto, Moon Safari, che nel 2023 ha compiuto 25 anni e che, per festeggiarne l’anniversario, hanno deciso di portare in giro con un tour mondiale dedicato dedicato tutto al disco e a pezzi come “Sexy Boy” o “La Femme d’Argent”. Abbiamo incontrato Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel durante il festival La Prima Estate al Lido di Camaiore, in Versilia (in programma anche il weekend del 27-29 giugno con, tra gli altri, Grace Jones e Lucio Corsi). Qui gli Air hanno suonato pezzi presi da tutta la loro discografia, vestiti in total white in un’atmosfera spaziale, dentro una capsula bianca che ricordava l’appartamento di Arancia Meccanica.

Cosa significa per voi aver in qualche modo fondato un genere?
Nicolas Godin:
Siamo molto diversi dagli altri artisti della French Touch. Loro facevano musica dance, house soprattutto, noi abbiamo deciso di prendere un’altra strada. In un certo senso potremmo dire che noi facevamo la “post-dance”, quella di quando torni a casa dopo una serata e hai bisogno di un po’ di chill.

Daft Punk, Cassius, Laurent Garnier, St Germain, voi, ma anche Phoenix e tanti altri. Cosa succedeva a Parigi negli anni Novanta?
Nicolas Godin: Quello che per tutti ora si chiama French Touch nel 1995 era proprio uno stile di vita: uscivamo tutte le sere, facevamo parte della scena, Parigi era il posto giusto dove essere. I Daft Punk erano la locomotiva che trainava tutti, c’era molta energia positiva e molta amicizia. C’era una competizione tra pari molto sana, nessuno giudicava o faceva paragoni, ci scambiavamo più che altro buoni consigli, ci prestavamo l’attrezzatura a vicenda. Era come un piccolo gruppo di persone che aveva deciso di non seguire la musica commerciale e tradizionale francese: abbiamo fatto tutto da soli.

Cos’è cambiato in questi trent’anni?
Jean-Benoît Dunckel:
Lo spirito. All’epoca, come diceva Nicolas, si trattava di inventare un nuovo tipo di musica e di essere diversi dalla musica mainstream – quindi era un grande cambiamento. Ma lo spirito è cambiato anno dopo anno, e come succede per ogni movimento artistico, è stato monetizzato da alcuni. Direi che lo spirito iniziale si è perso, perché era un nuovo spirito artistico, un nuovo modo di pensare, un modo per essere indipendenti e creare una nuova forma d’arte ispirata più dalla musica e dagli artisti internazionali. Invece poi è diventato qualcosa di più simile a un movimento da dj, orientato all’intrattenimento. Così con il tempo lo spirito originario è svanito.

Il vostro album più famoso è Moon Safari, uno dei dischi più importanti degli anni ’90. Che rapporto avete con quell’album?
Jean-Benoît Dunckel:
Siamo legati a Moon Safari, ma abbiamo anche un legame importante con The Virgin Suicides e con altra musica che abbiamo fatto. Penso che Moon Safari, anche visivamente, sia molto importante per noi: è qualcosa di infantile, innocente, racchiude una sorta di purezza. E ci piace. Era ciò che eravamo allora: dei giovani, innocenti, ragazzi di Parigi. Ma le cose cambiano, tutto cambia.

Infatti avete lavorato con molti registi, come Sofia Coppola. Come si combina la vostra musica con le immagini?
Nicolas Godin:
La nostra è una musica molto cinematografica. Non so perché, forse perché da bambini guardavamo molta tv. Ammiriamo molti compositori di colonne sonore, specialmente Ennio Morricone. Ma sappiamo che se metti una canzone degli Air in un film, funziona. Non dobbiamo nemmeno comporre appositamente: molte nostre canzoni sono strumentali, quindi si adattano perfettamente. Per i nostri amici cantanti è più difficile, perché ci sono le voci, ma noi abbiamo molti brani che funzionano per ogni tipo di scena. La gente può “fare la spesa” nei nostri album e prendere ciò che gli serve.

Invece come funziona quando componete ad hoc per un film?
Nicolas Godin:
Non lo abbiamo fatto spesso come Air, forse 4 o 5 volte, quasi sempre come autori separati. In ogni caso, guardiamo il film e ci lasciamo ispirare dalle immagini. È più facile che fare un album, dove hai una pagina bianca davanti a te. A volte la pagina bianca fa paura, ma con un film sono le immagini a dirti cosa fare: è più semplice.

Perché avete scelto la luna per un safari? Cosa vi affascinava di questo corpo celeste?
Jean-Benoît Dunckel:
Forse perché siamo nati intorno al periodo dello sbarco sulla luna, quindi ce l’abbiamo nel Dna. E anche perché la luna rappresenta qualcosa da raggiungere: quando sogni, vuoi andare sulla luna. C’è anche un’espressione francese: “être dans la lune” – cioè essere tra le nuvole, sognare. La luna è molto attraente, è come la porta dello spazio, non è lontana da noi, è un satellite, e sembra possibile metterci una base e osservare tutto l’universo. La luna è un oggetto che farà sognare l’umanità per sempre, credo.

Marte suonerebbe allo stesso modo?
Jean-Benoît Dunckel:
Mi viene subito in mente l’aggressività dei marziani, in realtà. Marte non è così sognante, è più complottista. E poi è più difficile dire “Mars Safari”.

La vostra musica sarebbe diversa se iniziaste oggi, con l’intelligenza artificiale e gli strumenti contemporanei?
Nicolas Godin:
Oggi è molto difficile vivere di musica se non sei una grande star. Quando abbiamo iniziato noi, potevi avere il tuo stile personale, essere molto originale e avere comunque successo, perché l’unico modo in cui la gente poteva ascoltare la tua musica era comprare il tuo disco. Oggi, fondare una band credo sia molto più difficile, non tanto per gli strumenti o il modo di comporre musica, ma proprio per emergere, avere seguito, vivere di questo. In questo penso che l’originalità pagherà sempre.

Cosa ascoltate nella vostra vita privata, quando non state componendo?
Jean-Benoît Dunckel:
Cerco sempre di ascoltare nuove band, ma devo ammettere che quando voglio ascoltare qualcosa di piacevole torno sempre alla musica che ascoltavo prima, ai classici. Ascolto molte colonne sonore perché le trovo davvero d’ispirazione ed è interessante scoprire come i compositori moderni le realizzano. Penso che la musica da film sia cambiata molto negli ultimi 7 anni.

Nicolas Godin Ascolto principalmente musica classica, ma mi piace anche guardarla: guardo concerti sul mio iPad o vado alla Philharmonie di Parigi ogni settimana, anche due volte. La musica è come una droga: più invecchi e più ne diventi dipendente.

C’è una vostra canzone poco conosciuta a cui siete particolarmente affezionati?
Nicolas Godin:
Una delle prime vere canzoni che abbiamo fatto è “Le Soleil est près de Moi” e penso sia una delle nostre migliori tracce. L’abbiamo fatta nel ’96, ma non è in un album. È stata pubblicata come singolo, si può trovare nell’Ep Premiers Symptômes.

Jean-Benoît Dunckel: In 10 000 Hz Legend c’è una traccia che si chiama “Caramel Prisoner” che mi piace molto perché è una delle ultime dell’album, ha un sound progressive, un po’ alternativo.

Ultima domanda difficile: qual è il vostro album preferito di sempre?
Jean-Benoît Dunckel
Rubber Soul dei Beatles. Non so perché, ma ci torno sempre.

Nicolas Godin Per me Revolver, sempre dei Beatles.

Le foto presenti nell’articolo sono di Stefano Dalle Luche.

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