La riscoperta dell’Olanda

Per conoscere la letteratura del Paese ospite di questa edizione del Salone del Libro si può cominciare dai libri di Mathijs Deen e Jan Brokken, che saranno entrambi a Torino, e dal modo molto olandese in cui raccontano l'acqua.

06 Maggio 2025

«Il corso di ogni fiume è provvisorio. Come un serpente che striscia impercettibilmente lento, cerca una via con il minimo attrito e la massima pendenza. Il clima cambia, il paesaggio cambia, il fiume si adatta», scrive Mathijs Deen in Il fiume infinito. Storie dal regno del Reno (che è appena uscito per Iperborea) ricordandoci come l’acqua e la sua narrazione siano materie particolarmente congeniali agli scrittori olandesi assurti negli ultimi anni agli onori della cronaca editoriale sull’onda del successo della letteratura nordica.

E vale la pena pensarci in questi giorni, visto che il 2025 sarà l’anno dell’Olanda al Salone del Libro di Torino, di cui quest’anno sarà il Paese ospite. Si vedrà nelle presentazioni dei libri: ci sarà Deen, appunto, e anche Jan Brokken, due degli autori più rappresentativi del Paese. Il secondo è forse quello che ha affiancato nel cuore dei lettori il maestro riconosciuto Cees Nooteboom (anche lui nel bouquet Iperborea). La casa editrice milanese dei nordeuropei si fa trovare pronta, sfoderando quanto di meglio nel suo catalogo e mandando in libreria novità attese. È il caso di Jan Brokken («uno dei più grandi scrittori olandesi», per citare Le Monde) e del suo La scoperta dell’Olanda (che il Salone cita direttamente nel titolo della sezione dedicata ai Paesi Bassi).

L’hotel di Jan Brokken

Il libro, nella misura consueta di Brokken sospesa tra narrazione storica e realtà, parte dall’Hotel Spaander e dal pittoresco villaggio costiero di Volendam, vicino ad Amsterdam, dove nel 1881 un visionario ventiseienne – Leendert Spaander, appunto, ritratto qui con cravattino – vota all’arte il suo albergo e offre ospitalità per oltre un secolo a centinaia di pittori e scultori. L’acqua anche qui c’entra, il mare che fronteggia questo luogo caratteristico. D’altro canto, in questo ricovero, gente d’arte dall’estro diversissimo come Picasso, Kandinskij, Signac e Joseph Beuys prenderà ispirazione, talenti della parola come Proust – lui sì, quello della Recherche – qui finisce per immaginare una sua eroina. Brokken, classe 1949, è scrittore di viaggi e vite di personaggi non ordinari, che ha raccontato anche nel suo primo successo internazionale, Jungle Rudy.

Nel nuovo libro tradotto dal nederlandese da Claudia Gozzi vediamo anche rappresentati scorci di Volendam come quello delle lavandaie sdraiate nell’acqua vicino al Ponte giallo, una tela del 1906 di Frits Thaulow. Nelle descrizioni di Brokken reti sono appese ad asciugare tra le casette di legno dei pescatori ma «niente di tutto questo era folklore, i pescatori di Volendam seguivano una lunga tradizione» e chi li racconta non si nutre di oleografia ma di catarsi. Non manca il pesce come logica del mare: intanto aringhe («nel 1900, dallo Zuiderzee arrivavano più aringhe che dal mare del Nord, e Volendam era uno dei porti di pesca più importanti») ma pure sogliole e acciughe («e non sapevo – scrive l’autore olandese – che i pescatori dello Zuiderzee avevano perfino un nome speciale per le acciughe, le chiamavano ansoop»). Brokken scava nella storia e nelle tradizioni con grande vivacità, senza mai restituire polvere ma vita.

Il successo turistico di Volendam, spiega, nasce con “Messa solenne in un villaggio di pescatori sullo Zuiderzee” il primo importante dipinto a olio del pittore naturalista inglese George Clausen, esposto nel 1876 alla Royal Academy di Londra. Clausen era arrivato lì seguendo il diario di viaggio di Henry Havard, storico francese della cultura, che divenne un vero e proprio cult subito dopo la pubblicazione nel 1874. Vi aveva letto: «Lo Zuiderzee è molto particolare. È il mare più giovane di tutta l’Europa. Si è formato molto di recente. In epoca romana era ancora una distesa smisurata di oscure foreste, nel XIII secolo un mare interno, alimentato dall’Amstel e dall’IJssel» e da lì aveva subito la fascinazione selvaggia e esotica a cui non sfuggiva neppure l’ecosistema marino.

Un italiano in Olanda

Chi in Olanda – a Ijmuiden, porto artificiale creato allo sbocco nel Mare del Nord del Noordzee Kanaal – vive da decenni è uno scrittore italiano, Marino Magliani (anche lui ospite al Salone con il suo nuovo libro Romanzo olandese. Trilogia, in uscita per Scitturapura) che ha diviso la sua carriera letteraria tra il ricordo della Liguria originaria e il racconto del Paese nordeuropeo. L’ultimo dei quali, per non avere dubbi sul tema H2O, s’intitola Biografia di un paesaggio anfibio. L’Olanda ha a che fare in maniera fondativa con l’acqua e questo ha una serie d’implicazioni fondamentali. Lo scrive con chiarezza Magliani che ricostruisce con cura filologica il sistema dei canali: «L’acqua non è un caso. Succede di cercarla a chi a un certo punto della vita se n’è andato e crede per questo di essere un esule, allora passa regolarmente un periodo della giornata lungo le rive di un fiume, di un lago, di un porto, di un mare, di un canale. Lo stesso succede quando si inizia a scrivere un romanzo». Il libro procede come una flanerie “stagnante” e descrittiva («Dietro casa cominciano le dune, a dividerle è una stradina di polvere di conchiglie. Prima della spiaggia, contro l’orizzonte appaiono le sagome dei bunker») che si conclude con la scomparsa del mare («Il canale non lo vedo più da un po’, nascosto com’è dall’argine») mentre lo skyline diventa fumo delle acciaierie e torri di ventilazione.

In Brokken, e nella storia dell’Hotel Spaander, il tema della rappresentazione si fa più evidente considerando il dato artistico pittorico di partenza. Scrive raccontando del belga Maurice Sijs, che aveva fissato il suo atelier sul porto e che le barche sembravano entrargli in studio e poi, parlando dei pittori inglesi di marine che «a Volendam tornavano alla fonte, a William Turner, che alla fine della sua vita si dedicò solo ad acqua, luce e nuvole»). Ma lo scrittore olandese si ritrova anche nei versi di Hans Tentije: «Ciò che permane dello sguardo sprofonda / in acque salmastre come il sonno, nelle sospese correnti / sotterranee / del tempo, lungo rive senza orizzonte» e commenta lui stesso «acqua ovunque, vento nelle orecchie, gabbiani che volteggiano in un cielo argentato».

Insomma, anche per lo scrittore della Scoperta dell’Olanda come per Magliani c’è sempre «un’indefinibile nostalgia per il paesaggio olandese dei polder in cui ero cresciuto» dove il polder per i non olandesi è, appunto, quella zona spuria bonificata e prosciugata per uso agricolo attraverso un sistema di dighe e canali e fatta di terra bassa, solitamente ricavo di un lago o del mare. Gli stessi che perlustra lo scrittore expat Magliani nella sua trilogia.

Sulla foce del Reno con Mathijs Deen

Per trovare una sintesi tra questo sistema di acque fluviali e marine bisogna ritornare al nuovo libro di Mathijs Deen da cui siamo partiti e al racconto della foce del Reno «quell’impasse tra acqua dolce e acqua salata, poi si coagulavano e con le maree primaverili e i temporali venivano sospinti sulla terraferma, dove si depositavano» e riconoscere un sistema di reciproche influenze a cui non sfugge la scrittura di un olandese acquisito come l’autore italiano. Qui è Deen a scrivere: «L’essere umano che abita questi spazi è piccolo e silenzioso, ma pieno di desiderio. Da migliaia di anni miete e pascola, guida, munge e macella le sue vacche. Prima che le dighe sbarrassero il delta, durante le maree primaverili la terra si allagava. Gli antichi terrapieni ci sono ancora: i terpen, luoghi dove rifugiarsi durante le alluvioni». Se questo, insomma, è l’anno letterario dell’Olanda, visto da Torino, non c’è miglior modo di celebrarne l’ospitalità riconoscendo nel racconto del sistema di acque un magistero letterario non comune ad altre letterature e insieme un piccolo primato da scoprire leggendo.

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