Tra decadenza dei social, climate change, lavori senza senso e innamoramenti malsani, Doveva essere il nostro momento e Estate caldissima sono i romanzi da leggere per chi ama crogiolarsi nella depressione generazionale.
Il momento in cui smetti di sperare che qualcosa migliori cresce lentamente, mentre la tua età si allontana sempre di più dai venti e naviga, placidamente, verso i quaranta. Te ne accorgi perché intorno a te il cosiddetto settore economico del posto in cui lavori non dà segni di ripresa, lo senti nelle chiacchiere delle colleghe e dei colleghi sugli investimenti pubblicitari, lo vedi nei budget e nelle mosse della concorrenza. Soprattutto, nelle statistiche che puntualmente vengono diffuse dai giornali. La più eclatante di tutte, anche se mi sembra salti fuori con una cadenza annuale, è quella sulla crescita degli stipendi nella cosiddetta Eurozona, il gruppo di Paesi che, nei diversi anni, hanno adottato l’Euro come moneta comune: il tuo Paese, l’Italia, è l’unico in cui la busta paga è rimasta la stessa dal 1990, trentacinque anni fa, praticamente tutta la tua vita. I soldi che ci vogliono per vivere, nel frattempo, sono molti di più di prima. Due recessioni negli ultimi quindici anni, dalla prima non ci si è mai davvero ripresi, e la terza è alle porte: le crisi finanziarie come l’influenza stagionale.
Da crisi a crisi
La prima, che è stata anche la più grande nell’arco di parecchi decenni, è arrivata nel 2008. A occhio e croce, un’epoca in cui i Boomer si preparavano ad andare in pensione o pre-pensione, in cui la Generazione X avrebbe dovuto, anagraficamente, fare il salto di “mettere su famiglia”, e in cui i Millennial si affacciavano sul grande mare del lavoro, poco protetti dalle loro lauree in Lettere moderne, Scienze politiche, Filosofia, Scienze della comunicazione.
La seconda recessione è arrivata con il Covid, dodici anni dopo, e la terza è alle porte, grazie a una concatenazione di cause in cui alcuni degli attori principali sono le guerre, l’inflazione e il nuovo protezionismo economico. C’è stato un tempo in cui speravo di poter restituire alle casse familiari parte dei soldi con cui avevano finanziato i miei primi anni di università e lavoro; è passato in fretta, una nuvola sul sole in un giorno ventoso. Per molti anni ho poi sognato di potermi comprare una seconda casa, naturalmente non in Toscana, ma in un qualche posto dell’Appennino o della costa tirrenica poco battuto dal turismo e anche dalle maggiori infrastrutture di trasporto. Ho fatto qualche calcolo, pensato al fantasma della manutenzione. Pensato ai costi delle bollette della luce e del gas, a quelli delle tratte aeree per raggiungere Palermo da Milano, ogni anno più insensati. Ho preso anche quell’ingenua ambizione e l’ho buttata nel sacchetto dell’umido, che è dove si riciclano i sogni scartati.
Non ci resta che memare
Non è stato doloroso: aver iniziato a lavorare a 20 anni al principio di una delle più gravi crisi economiche degli ultimi cento anni ha rafforzato il corpo e la mente, ridotto lo shock e i piagnucolii (quelli, forse, si sono spostati altrove). È per questo che nel 2025, alle porte forse di un conflitto mondiale dagli schieramenti completamente imprevedibili, e consapevoli di essere arrivati alla metà del cammino della nostra vita senza speranza di diventare finalmente ricchi, o piacevolmente benestanti, assistiamo su Instagram e TikTok a un fiorire di meme sulla resilienza di noi Millennial alle crisi economiche di questo tempo.
Il copione è più o meno lo stesso: un video o una fotografia mostrano una persona estremamente rilassata (chillata, si direbbe nella lingua di internet del 2024/2025), sorridente, quasi felice: per esempio, ho trovato questo video in cui un tizio sta mangiando del sashimi su una terrazza, intinge il pezzo di tonno nella vaschetta per la salsa di soia, un pezzo bello grasso. Guarda un punto davanti a sé, sembra rilassato, vorremmo essere lui. La scritta sul video, con il font di TikTok, dice: «Millennials watching the market crash». Un commento dice: If you got nothin you fear nothin. È stato votato con più di 40 mila cuoricini.
Uno dei più diffusi è una variazione sul tema del “First time meme”. Una scena tratta da La ballata di Buster Scruggs, quando il personaggio interpretato da James Franco sta per essere impiccato insieme a un altro tizio. Franco, con la faccia sorniona, gli dice: «Prima volta?». Nel meme sulla recessione, James Franco ha in testa la dicitura “Millennials”, mentre l’altro giovane neo-impiccato è “Gen Z”. La caption dice: «Gen Z entering the workforce during a recession».
Poi c’è il meme di Amy Poehler in felpa grigia con cappuccio e occhiali da sole durante gli Emmy 2015 che fa una posa da gangster anche lei estremamente rilassata, e poi fa un gesto col braccio tipo “forza, dai”, e la scritta dice: «Millennials hearing they about to live through their 4th “once in a lifetime” recession».
Sono il contraltare dei meme da Boomer, come il famoso Old Economy Steve, che esplose più o meno nel 2013. I meme più semplici sono anche quelli meglio riusciti, e quindi ecco OES: una foto da annuario di un tizio con dei capelli un po’anni Settanta, uno sguardo un po’ ingenuo e un po’ svagato, e le grandi scritti in font Impact bianco che dicono: «Gradutates from college. Gets hired». Una versione italiana che mi è rimasta particolarmente impressa mostra una scena di ballo di gruppo, quelli fatti di passo avanti, e un du tre giravolta, con però un pezzo di Three 6 Mafia, il che crea un contrasto notevole, e naturalmente questi signori sono tutti anziani e ballano con grande nonchalance, come se stessero ballando Nilla Pizzi, e la caption dice: «I Boomers dopo aver venduto le loro case a 250.000€ quando le hanno acquistate nel 1969 per 7 lamponi». Qui mi fa particolarmente ridere la scelta della valuta.
Ma devo tornare ai meme sui Millennial e la recessione. Il mio preferito è un meme frutto dell’intelligenza artificiale, ma mi fa sentire particolarmente coinvolto, perché è un pensiero che faccio spesso. Mostra una ragazza con dei fogli in mano, che legge con aria preoccupata. Scuote la testa, scuote la penna che tiene tra le dita. Poi alza gli occhi dal foglio per guardare verso l’orizzonte – verso la finestra? – e allora gli occhi le si illuminano, il sorriso si apre. La caption dice: «When you count your expenses and see a nuclear mushroom out of the window».
Minimizzare per sopravvivere
Non per mancare di rispetto agli Hibakusha – i sopravvissuti alle bombe atomiche americane, in Giappone, si chiamano così – che hanno anche vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2024, ma anche io utilizzo lo stesso principio, dal 2023, per minimizzare i miei prosaici problemi di stress lavorativo, scarsa capacità di fare economia, e altre piccole frustrazioni quotidiane. Succede più o meno dall’invasione russa dell’Ucraina, si è accentuato con l’invasione israeliana di Gaza e del Libano meridionale, con la guerra commerciale degli Stati Uniti a, beh, tutto il mondo, e ammetto che funziona. Minimizzo, metto in prospettiva. Da un lato, soppeso il mio privilegio, per ricordarmi del relativismo delle sciocchezze giornaliere di cui sopra. Dall’altro, mi dico: tutto finirà comunque a breve, il mondo sta per bruciare, non rimarrà niente di quella fattura non pagata, di quel litigio con il mio direttore, con quel cliente stronzo che non dice mai grazie.
Oppure: arriverà la recessione peggiore nella storia del capitalismo, perderemo tutto, che fortuna avere un mutuo fatto prima del 2015, almeno quello. Lo pagherò chissà come, perché non posso pagarlo in lamponi: anche quelli, negli ultimi anni, sono diventati un bene di lusso, e ne mangio sempre meno.

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