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Il senso dell’Arabia saudita per l’ISIS

Nella coalizione contro il gruppo terrorista c'è anche l'Arabia saudita. Che pure è accusata di avere "creato" l'ISIS. Insomma, Riad è parte della soluzione oppure è parte del problema? Un'analisi punto per punto.

17 Settembre 2014

L’Arabia saudita fa parte della coalizione anti-ISIS che si è ufficialmente formata a Parigi (quasi 40 paesi sono coinvolti, se v’interessa un riepilogo su chi si è impegnato a fare cosa, quello sul sito della Cnn può essere utile). Eppure l’Arabia saudita è stata spesso criticata di avere “creato” l’ISIS, o se non altro di avere contribuito a crearlo: i sauditi «hanno creato un mostro che non riescono più a controllare», ha scritto Joshua Keating su Slate; l’Arabia saudita «non esporta soltanto petrolio, ma anche intolleranza religiosa e volontari per la jihad», aggiunge David Gardner sul Financial Times; la Gran Bretagna dovrebbe interrompere le esportazioni di armi verso Riad, visto che «finanzia la forma più assolutista e intollerante dell’Islam», hanno rincarato la dose sul Guardian Richard Norton-Taylor ed Ewan Mccaskill (i due non hanno mai fatto il nome dell’ISIS, ma l’ambasciatore saudita a Londra, Mohammed bin Nawaf Al Saud, era convinto che andassero a parare lì e ha fatto pubblicare la sua risposta: «L’Arabia saudita non sostiene l’ISIS né alcun altro gruppo terrorista»).

Insomma, i sauditi fanno parte della soluzione oppure fanno parte del problema? Probabilmente a questa domanda non esiste un’unica risposta – alcuni, probabilmente, risponderebbero: entrambe le cose – ma nel tentativo di fare un po’ di chiarezza abbiamo messo a punto questa guida.

Cos’è l’ISIS (o IS) – e quanto c’entra con l’ideologia wahhabita.

L’ISIS – l’acronimo sta per “Islamic State of Iraq and al-Sham”, o Stato islamico dell’Iraq e del Levante: al-Sham, in questo contesto, si riferisce alla regione storica della Siria – nasce nel 2006 in Iraq dalla fusione di una serie di gruppi estremisti iracheni, inclusa la branca irachena di al-Qaeda di al-Zarqawi (all’inizio si chiamava solo “Stato islamico dell’Iraq”, ma ai fini di questo articolo non è molto rilevante). Nel 2010 Abu Bakr al-Baghdadi viene nominato leader dell’ISIS. Che nel 2011-2012, mentre nel paese degli Assad ormai infuriava la guerra civile, si espande in Siria. In un primo momento sembra alleato di al-Nusra, la “divisione” siriana di al-Qaeda. La cosa non stupisce, visto che entrambi i gruppi sono di ispirazione qaedista e anzi pare che lo stesso al-Baghdadi abbia contribuito alla fondazione di al-Nusra. Poi però, verso la fine del 2013, le due fazioni diventano nemiche, pare anche a causa di uno scontro di potere tra i rispettivi leader. All’inizio del 2014 al-Qaeda (o, meglio, il leader del network Ayman al-Zawahiri) si è formalmente dissociata dall’ISIS. Intanto però si stima che più della metà dei miliziani qaedisti in Siria abbiano disertato al-Nusra a favore dell’ISIS. Lo scorso giugno, infine, il leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato la fondazione del “califfato”, cambiando il nome in semplice “Islamic State”, o IS, anche se molti continuano a chiamarlo ISIS: proprio mentre scriviamo, il New York Times ha annunciato la decisione di adattarsi al cambiamento del nome.

Tutto questo per dire: l’ISIS non fa parte di al-Qaeda, però viene da al-Qaeda. Insomma, è un “sottoprodotto” di al-Qaeda. A sua volta al-Qaeda è considerata da alcuni – specie in Occidente – un “sottoprodotto” del wahhabismo, ossia la variante particolarmente radicale dell’Islam che è predominante in Arabia saudita, e a cui la famiglia regnante è molto legata. Qualcuno fa notare che i militanti di al-Qaeda non utilizzano il termine “wahhabiti” riferito a se stessi – anche se molti analisti sono convinti di una marcata continuità tra le due ideologie.

La storia dell’Arabia saudita – e il rapporto tra casa regnante e predicatori wahhabiti.

La famiglia regnante saudita, che oggi governa una delle ultime monarchie assolute esistenti, ha cominciato a ricoprire un ruolo di primo piano in quella che adesso è l’Arabia saudita intorno alla fine del Settecento. E cioè quando il clan degli al-Saud, che puntava a sottomettere tutte le altre tribù della regione, ha fatto un patto con un leader religioso particolarmente radicale, Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhab (1703 – 1792). Al-Wahhab predicava la guerra santa contro gli sciiti, l’uccisione degli infedeli (dal suo punto di vista, la categoria includeva i musulmani che non rispettavano la legge coranica) nonché la distruzione di tombe e santuari (che a suo dire promuovevano il politeismo). In quel periodo il clan saudita conquistò gran parte dell’attuale Arabia saudita, massacrando chiunque opponesse resistenza e distruggendo gran parte del patrimonio architettonico della regione. Il primo regno saudita crollò nel 1818 grazie all’intervento dell’impero Ottomano. Successivamente il clan saudita riprovò più volte a riconquistare il territorio, sempre presentandola come una guerra santa in nome della visione wahhabita dell’Islam, fino a riuscirci definitivamente nel 1933.

Ancora oggi l’interpretazione wahhabita dell’Islam è ancora l’ideologia ufficiale del Regno. Anche se, come fa notare l’ex diplomatico inglese Alastair Crooke in questa sua analisi, il rapporto tra famiglia reale e leader religiosi è stato in alcuni casi altalenanti. Da un lato l’ideologia wahhabita fa comodo ai regnanti perché conferisce loro una legittimità religiosa. Dall’altro le correnti più politicamente attive de wahhabismo mettono la monarchia in difficoltà, anche a causa del suo rapporto con gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. In altre parole, sostiene, Crooke, la monarchia saudita ha «un rapporto duale con il wahhabismo»: da un lato ne ha bisogno, dall’altro sa che può essere destabilizzata proprio da esso.

Ok, ma cosa dicono i sauditi dell’ISIS?

Il governo saudita ha sempre respinto qualsiasi rapporto con l’ISIS e, recentemente, ha fatto arrestare alcuni predicatori che sostenevano il gruppo estremista. Soltanto di recente la massima autorità religiosa del paese li ha definiti «eretici».

Stando ad alcune stime ci sarebbero più di mille volontari sauditi nelle fila dell’ISIS. Stima che le autorità di Riad respingono, ma che se confermata farebbe dei sauditi il secondo gruppi di stranieri più presenti nella milizia, dopo i giordani.

La tesi contro l’Arabia saudita.

Chi ritiene l’Arabia saudita responsabile della nascita dell’ISIS, parte dal presupposto che l’ISIS è un sottoprodotto del wahhabismo. Sebbene i leader religiosi sauditi, e cioè di ideologia wahhabita, abbiano formalmente condannato l’ISIS – pare anche sotto richiesta esplicita della casa regnante – l’ideologia che diffondono è simile a quella dell’ISIS, che poi non c’è da stupirsi se poi qualcuno impugna le armi e decide di passare al lato pratico. «Prima ancora del petrolio, la principale esportazione dell’Arabia saudita è il wahhabismo, che promuove in tutto il mondo attraverso le sue ambasciate e moschee», scrive Rula Jebreal sul Daily Beast. Che definisce l’ISIS «un clone del wahhabismo, come molti altri gruppi jihadisti sunniti in Iraq e in Siria».

La tesi a favore dell’Arabia saudita.

In un apparente paradosso, anche chi tende a vedere l’Arabia saudita come parte della soluzione, più che come parte del problema, lo fa partendo dal fatto che, ideologicamente, l’ISIS ricalca in parte il wahhabismo. Il governo saudita è genuinamente preoccupato dall’ISIS perché lo percepiscono come una minaccia all’ordine nazionale «questi gruppi jihadisti costituiscono una sicurezza e minaccia ideologica al sistema politico saudita, [proprio] in quanto si basano sulle stesse fonti religiose su cui è costruito lo Stato saudita», scrive Abdulmajeed al-Buluwi su al-Monitor. «Inoltre tutte la pressione mediatica e le accuse rivolte all’Arabia saudita» stanno motivando ulteriormente il regno a «provare» la sua estraneità all’ISIS.

Inoltre, come fa notare il sopracitato ex diplomatico inglese Alastair Crooke, l’ideologia dell’ISIS ricalca l’ideologia wahhabita in quasi ogni aspetto… tranne che il riconoscimento del casato saudita come guida legittima del mondo islamico: «È questa distinzione che rende l’ISIS, che per il resto si conforma al Wahhabismo, una minaccia profonda per l’Arabia saudita».

Tutte le immagini, scattate nelle vicinanze di Kirkuk, in cui l’esercito curdo ha combattuto l’Isis, sono di Spencer Platt / Getty Images News

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