Stili di vita | Dal numero

Yoji Tokuyoshi ha reinventato la cucina giapponese a Milano

È nato a 100 km da Osaka, ha studiato a Tokyo, è diventato cuoco a Modena con Bottura, poi chef stellato a Milano: dal numero di Rivista Studio in edicola, intervista a un'istituzione della ristorazione della città.

di Teresa Bellemo

«Io dico una cosa ma alla fine la cambio sempre». Potrebbe essere questa la frase che meglio definisce Yoji Tokuyoshi. La dice alla fine del nostro incontro, poco prima di salutarci nel suo nuovo locale, Pan, aperto da pochi mesi a Milano, dopo Bentoteca e la Katsusanderia. Tokuyoshi nasce quarantasei anni fa a un centinaio di chilometri da Osaka, in Giappone. La sua è una famiglia di farmacisti ma lui vuole fare lo chef, si trasferisce a Tokyo e nel 2005 decide di venire in Italia per imparare davvero la cucina del nostro Paese. Ci prova per due mesi, chiamando più di trenta ristoranti nel tentativo di entrare in una cucina. Intanto assaggia, prova, viaggia. Finisce i soldi, sta per tornare a casa, in Stazione Centrale a Milano prima di andare all’aeroporto acquista una guida dei ristoranti d’Italia, vede che tra i migliori c’è l’Osteria Francescana di Massimo Bottura e chiama. «Mi hanno detto di presentarmi il giorno dopo. Ho stracciato il biglietto per il Giappone e sono andato. Quando sono arrivato mi hanno fatto accomodare e hanno iniziato a portarmi tanti loro piatti, gli ho anche detto che non avevo soldi! Lì ho capito che erano quei sapori che volevo imparare. Così ho iniziato».

A Modena ci è poi rimasto nove anni, come sous-chef di Bottura. Poi si è trasferito a Milano, dove ha aperto il suo primo locale, Ristorante Tokuyoshi, che in pochi mesi ha conquistato la stella. Yoji Tokuyoshi cambia sempre (quest’estate porterà anche Bentoteca al mare: sarà infatti a Palermo, al timone di Stazione Vucciria) prova tutto, crea piatti che non sa spiegare e a chi deve imparare da lui dice: «Guarda cosa faccio e prova a imitarmi». Ma questo non significa che tutto dipenda dal caso. «Forse era destino che succedesse tutto questo nella mia vita. Ma “destino” non mi piace molto come parola, perché sembra che la vita non dipenda da me».

ⓢ Cosa ti ha fatto decidere di fare il cuoco?
Nella mia famiglia sono tutti farmacisti: dal mio bisnonno a mia sorella. Io non volevo, per questo prima ho pensato di andare a lavorare in un’azienda farmaceutica. Ideare, non vendere. Mi sembrava più figo, ma non mi piaceva studiare. A diciotto anni sono andato via di casa, mi sono trasferito a Tokyo, anche se i miei non erano d’accordo. Lavoravo in un izakaya e nel frattempo facevo la scuola alberghiera, ho imparato la cucina giapponese, cinese e francese. Finita la scuola, visto che non mi hanno preso in un ristorante francese, mi hanno consigliato un ristorante di cucina italiana, anche se non la conoscevo. Ci ho lavorato due anni, ho imparato tante cose.

ⓢ Cosa ti ricordi di quel periodo?
Gli gnocchi al gorgonzola, la cotoletta, gli spaghetti all’amatriciana. Lì ho scoperto anche il formaggio, mi piaceva tantissimo il Parmigiano Reggiano.

ⓢ Hai preso la stella Michelin quasi subito dopo aver aperto il tuo ristorante. Com’è successo?
Ho aperto il mio primo ristorante il 4 febbraio del 2015. Mi ricordo ancora l’organizzazione di quel primo giorno. Non avevamo ancora stampato i menù, non era pronto il pane. Il primo cliente ha aspettato mezz’ora. Ho aperto il ristorante per esprimere la mia cucina, portando anche qualcosa di giapponese, ma facendo cucina italiana. All’inizio non molti capivano. Non pensavo alla stella, facevo le cose che mi piacevano.

 

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ⓢ Come nasce un tuo piatto?
A volte ci penso prima di dormire, mentre ho per le mani un ingrediente nuovo o una tecnica mai provata. L’ispirazione arriva da quello che vedo, dalle persone. Guardo molte cose anche sul telefono. Tantissime persone mi chiedono “come hai pensato questo piatto?”. La mia risposta è che non lo so neanche io. Quando cucino assaggio, come le nonne non ho una ricetta, so già tutto. Non faccio prove prima. Le cose nascono, forse non sono perfette ma mi piacciono.

ⓢ Quindi cosa ti fa capire che un piatto ti piace, che funziona?
Mi piace il sapore, dolce o salato. Deve sempre avere limone o la buccia d’arancia. Mi ripeto, ma è difficile spiegarlo, persino ai miei colleghi. Mi chiedono: “Perché metti questo?” “Perché è buono!”. Questo istinto nel mio lavoro è complicato, il fatto è che è difficile imparare da me, faccio fatica a spiegare, non ho molte regole. Non so quanto sale metto, per esempio. È difficile da insegnare, salvo quando ci sono regole rigide come in certe preparazioni. Però la mia non è una cucina metodica, chi vuole imparare deve guardare e provare a imitarmi.

ⓢ Secondo te come si decide di provare un determinato ristorante?
Il ristorante si sceglie per tante cose e devo dire che spesso il prezzo è un fattore importante. In un ristorante con il prezzo basso c’è tanta gente, se lo alzi viene meno gente ma di base incasserai sempre uguale. È molto importante ricordarti della città in cui ti trovi. Ho provato a tenere conto di tutto questo: ho appena iniziato a fare l’imprenditore, prima avevo semplicemente un ristorante. È molto diverso. Ma mi è sempre interessato molto sapere cosa pensa la gente, cosa la porta a cenare da me o da qualcun altro.

ⓢ Cambi molto, fai tante cose. Sei molto creativo.
Dopo la pandemia ho pensato di cambiare tante cose. Sia nella vita personale che nel modo di cucinare. A un certo punto mi è venuto il dubbio su quello che stavo facendo. Ho pensato di diffondere l’autentica cultura culinaria giapponese in chiave accessibile e di alta qualità. Per questo, insieme ad Alice Yamada, chef di origini americane, francesi e giapponesi, è nata la Katsusanderia, nel 2022.

ⓢ Con Alice hai aperto anche Pan, il tuo nuovo locale specializzato in pane giapponese.
A Milano pochissimi conoscevano il katsu sando, abbiamo iniziato a proporlo da Bentoteca e ho capito che era qualcosa di nuovo che volevo far conoscere. Nessuno proponeva lo shokupan, quel pane giapponese morbido. Per farlo serviva un locale accogliente, magari vecchio stile, dove puoi stare per tanto tempo, per lavorare e stare bene.

ⓢ Un panificio boutique? Ne stanno aprendo tanti a Milano.
In effetti un po’ lo è. Ma Pan vuole essere un locale di quartiere, dove la mattina fai colazione e la sera puoi bere un buon bicchiere. La nostra carta spazia dalla tradizione giapponese a quella francese, per merito anche di Alice. Da Pan tutto è dedicato al pane.

ⓢ Cosa ti piace di Milano?
Milano è una città che offre tanto, però devi essere curioso. Se non cerchi non trovi niente. Spesso non si pensa a Milano come una bella città, in realtà ci sono tanti teatri, tanta moda, bei negozi, una bellissima architettura. Bisogna avere voglia di scoprirla.

ⓢ Hai imparato un po’ di milanese?
Il dialetto intendi? Mio figlio un po’ lo parla, mi corregge gli accenti. Io in realtà parlo un po’ di modenese, perché è lì che ho imparato l’italiano.

ⓢ Dopo tanti anni in Italia, ti manca il Giappone?
Sono qui da quasi 19 anni, ormai per me stare qui è normale. Ho una compagna, dei figli. Quando torno a Milano dal Giappone penso: “Ah, sono tornato a casa”. Ogni tanto vado in Giappone, 3 o 4 volte l’anno, perché ho un ristorante anche a Tokyo. Prima della pandemia ci tornavo quasi ogni mese, ma non ce la facevo più, era davvero faticoso. Reality e programmi tv a tema food ci hanno abituati al profilo dello chef antipatico, scorbutico, che lancia i piatti.

ⓢ Davvero uno chef devo essere così cattivo?
Uno chef è un allenatore, un capitano. Deve essere un po’ cattivo perché deve motivare. Però alla fine deve essere in grado di aggiustare e riuscire a guardare tutto da fuori. Non deve lanciare le padelle, ma deve saper coordinare gruppi di persone anche molto grandi.

ⓢ C’è un piatto che a noi italiani piace della cucina giapponese e che tu non mangeresti mai?
Gli uramaki. Non so cosa c’è dentro! Avocado? Formaggio? Maionese? Li trovo una cosa orrenda.

Questa intervista è tratta da “New World Border – Il nostro posto nel mondo”, il numero di Rivista Studio in edicola. Se volete acquistare una copia oppure abbonarvi, potete farlo qui.