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Il mestiere di prevedere il tempo

Dal nuovo numero di Urbano, un'intervista a Luca Nisi, meteorologo.

di Benedetta Albiero

“Guardando verso l’alto” è il titolo del nuovo numero di Urbano, la rivista di architettura e urbanistica edita da Borio Mangiarotti, in edicola dallo scorso primo novembre. Il numero è dedicato a tutto quello che si vede e ci si immagina quando si alza lo sguardo: grattacieli, tetti, terrazze, sopralzi. E ancora architetture spaziali e fenomeni atmosferici, perché quello che succede in alto, nel cielo, è direttamente legato alla vita e alla dimensione urbane. Lo racconta nell’intervista che pubblichiamo qui integralmente Luca Nisi, Meteorologo e Sostituto responsabile divisione Centro Previsioni Sud – MeteoSvizzera. Il numero verrà presentato lunedì 11 novembre, dalle 18.30, da Verso (corso di Porta Ticinese 40, Milano), in occasione di BookCity Milano (per partecipare, registrarsi qui).

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Dal pubblico generalista ai professionisti in idrologia o geologia, dal dipartimento della Protezione Civile ai gestori di stabilimenti balneari: tutti, o quasi, indipendentemente dalla generazione di appartenenza, consultiamo il meteo. Un comportamento che sta diventando sempre più decisivo, considerando le trasformazioni subite dal clima negli ultimi decenni e che si stanno manifestando un po’ ovunque, ma soprattutto nelle città. Dietro a ciò si nasconde una scienza, la meteorologia, che ha fatto dell’interpretazione dei fenomeni atmosferici la propria specificità. Di questo e del complesso legame tra ambiente naturale e ambiente costruito abbiamo parlato con Luca Nisi, Meteorologo e Sostituto responsabile divisione Centro Previsioni Sud – MeteoSvizzera.

Benedetta Albiero: Nonostante la considerevole diffusione delle previsioni meteorologiche, poco ancora si sa del lavoro dei professionisti che preparano queste informazioni. Di che cosa si occupa, quindi, un meteorologo?
Luca Nisi: Le previsioni meteorologiche afferiscono alla cosiddetta meteorologia operazionale, il settore della disciplina che si occupa, appunto, di prevedere l’andamento del tempo. Quest’attività riempie all’incirca il sessanta, settanta per cento di una mia giornata lavorativa tipo, con la restante parte dedicata alla collaborazione su progetti di ricerca applicata. Negli ultimi mesi, per esempio, mi sono concentrato, insieme ai colleghi, sulla pianificazione del rinnovo del sistema di allerta di MeteoSvizzera. Una previsione meteorologica comincia sempre con l’analisi di quanto successo nel recente passato: si osservano i dati raccolti da diverse fonti – dal radar meteorologico e dai satelliti che forniscono informazioni sulle condizioni dell’atmosfera; ai palloni sonda, che offrono invece i cosiddetti radiosondaggi, parametri sul cambiamento di valori come la temperatura o la pressione – e si confrontano le simulazioni fornite dai modelli numerici, per “confezionare”, per così dire, il prodotto. Le previsioni possono essere a cortissimo termine, legate ai fenomeni supposti per le ore successive; a breve termine, fino a due giorni, a medio termine, dai tre ai sette giorni; a lungo termine, oltre i sette giorni: queste ultime tipicamente correlate a un elevato grado di incertezza. La professione del meteorologo consiste, quindi, nell’integrare tutte queste informazioni per poi elaborare un bollettino di previsioni adeguato da consegnare all’utente – dalla televisione al corpo dei Vigili del fuoco, dalla stazione sciistica ai geologi.

BA: In che modo queste informazioni vengono rappresentate graficamente?
LN: Negli ultimi dieci anni il passaggio da informazione a visualizzazione grafica è stato reso molto più veloce e immediato dalla digitalizzazione. Prima questo processo prevedeva il coinvolgimento di un operatore specifico, che decideva di tradurre un certo dato in una precisa icona, facendola poi corrispondere a un determinato luogo. Oggi è un algoritmo a trasformare l’informazione contenuta in un dato – risultato, a sua volta, di un’elaborazione algoritmica – in un’immagine o numero specifici. Sono di conseguenza aumentate le possibilità di visualizzazione dei fenomeni atmosferici: oltre alle classiche icone – quella del sole, del temporale, del forte vento – esistono infatti grafici, istogrammi e animazioni che illustrano il modificarsi delle condizioni climatiche nel corso del tempo. Penso, per esempio, alle animazioni legate alla nuvolosità, alla pressione o alla temperatura. L’evoluzione della visualizzazione meteorologica grazie alla digitalizzazione e all’automazione è forse l’evento più significativo per la materia, perché permette di ridurre la scala di operazioni: negli anni Ottanta le previsioni per la penisola italiana riguardavano solamente le tre macro aree del Paese – Nord, Centro e Sud; ora posso osservare la situazione di una singola città – Urbino, Milano, Cernusco sul Naviglio.

BA: Esistono degli standard condivisi a livello internazionale per la visualizzazione dei fenomeni atmosferici?
LN: Ci sono delle indicazioni che vengono osservate per facilitare la comunicazione, pur non essendo dettate dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (l’OMM è un’organizzazione intergovernativa, agenzia delle Nazioni Unite dal 1950, con sede a Ginevra, nda). Faccio alcuni esempi: la temperatura viene visualizzata come un punto nello spazio-tempo, solitamente elaborata in un grafico del ciclo diurno, con evidenziate la temperatura massima e quella minima; le precipitazioni vengono animate e le relative informazioni quantitative vengono fornite in millimetri o litri per metro quadrato, un’unità di misura equivalente alle 24 ore. Il simbolo del vento è spesso una freccia, la cui testa rappresenta la provenienza e la dimensione, mentre il colore la velocità; la pressione viene invece visualizzata attraverso mappe bidimensionali che illustrano le zone di uguale pressione, con l’impiego delle isobare, linee dove la pressione è costante.

BA: Guardando verso l’alto è il titolo di questo numero della rivista. Guardare verso l’alto, osservare il cielo può ancora dare delle indicazioni ragionevoli dal punto di vista meteorologico?
LN: Prima dell’avvento della tecnologia, l’osservazione del cielo era fondamentale: i dati a disposizione arrivavano da uno studio personale del cielo. Ancora oggi, a MeteoSvizzera – e immagino sia lo stesso anche in altri centri di previsione – il previsore ogni tre ore esce dalla sala, guarda verso l’alto e codifica il tipo di nubi presenti. I detti popolari, non a caso, conservano tracce di questa pratica: «Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle» indica un cielo attraversato da cirrocumuli, nubi che testimoniano instabilità ad alta quota e alta probabilità di acquazzoni. Il calendario contadino e la gestione delle attività agricole, dalla raccolta del fieno alla vendemmia, erano strutturati attorno all’osservazione diretta del cielo e delle relative condizioni meteo-climatiche. Nonostante i computer, le webcam, gli algoritmi e tutta la strumentazione a disposizione, osservare il cielo rimane, ancora oggi, un aspetto importante della professione, soprattutto se si vuole prevedere l’andamento del meteo nelle ore immediatamente successive o verificare che la simulazione proposta dai modelli numerici sia corretta o meno.

L’immagine che accompagna l’articolo (e le altre contenute nel numero di Urbano) sono fotografie di Luigi Ghirri dalla serie “Infinito, 1974”. Courtesy: Archivio Luigi Ghirri