Il ritorno dei capelloni

Nascosti sotto al cappellino o esibiti con orgoglio, per notare quanti uomini si stiano lasciando crescere i capelli basta guardarsi intorno. David Lynch non è ovviamente l'unico.

03 Giugno 2021

Una leggera e comune dose di paranoia sociale mi ha portato, negli anni, a diventare campionessa di hairwatching. Proprio come il birdwatching che è perfetto per migliorare indubbiamente la capacità di riconoscimento e temprare la memoria, consiglierei l’hairwatching non solo per estraniarsi da quei contesti pubblici intollerabili, ma come un ottimo modo per affinare la propria capacità di osservazione. Quanti calvi ci sono in una stanza? Quanti grovigli di riccioli brizzolati posso contare? Quante ragazze hanno una decolorazione? Quanti biondi, quanti rossi, ma soprattutto: perché così tanti uomini che non vedevo da anni o che vedo quasi quotidianamente hanno deciso di lasciarsi crescere i capelli?

I capelli parlano. Lo dice la scienza e anche gli indiani Navajo. E chissà che incredibili storie raccontano quelli bianchi e lunghissimi di David Lynch che forse è il più abitudinario di tutti (è andato allo stesso ristorante per un milkshake al cioccolato ogni giorno, per sette anni) ma come molti di noi si è concesso di diventare progressivamente più selvaggio nel corso delle varie quarantene. Da maggio 2020 sembra abbia smesso completamente di radersi (scorrere la sua pagina YouTube è come guardare un film in stop motion che registra la crescita della sua barba) e allo stesso modo di tagliarsi i capelli. Bellissimo come non lo è mai stato, fluente, quasi coinvolgente, arroccato, su Twitter scrivono «non ho mai avuto dei capelli così belli in 30 anni e forse il segreto è che devo aspettare i 75», «non so cosa stia succedendo ai capelli di David Lynch, ma qualcosa mi dice che scoprirlo sarà meraviglioso». Non è da escludere che tra i tanti lasciti della pandemia ci siano anche forme di gerontofilia lieve.

È il ritorno dei capelloni. Ovunque. Nascosti sotto ai cappellini della New Era, celati e esibiti con orgoglio, raccolti in un codino, ci chiedono “cosa dici, taglio?”, (la discussione è aperta anche su Reddit, ma non solo) “no ti prego non farlo”, diciamo, almeno noi che siamo figli della cultura degli anni Novanta e sognavamo Beckham come Keira Knightley, sopportate ancora fintanto che non sarà necessario estirpare. Alcune volte raggiungono la perfezione che sta là nell’incontro tra Adam Driver e Andrea Pirlo, altre la oltrepassano, spesso eccedono perché superato il momento drammatico (quando manca pochissimo al raggiungimento delle spalle e si piegano con le punte all’insù in quella terra di nessuno tra il prima e il dopo il rigore ovvero tra Vento di passioni e Il grande Lebowski), pensi che non potrà che andare meglio. C’è ancora chi li bistratta, “taglia”, come quando solo nel 2019 avevamo giudicato la chioma dell’allora fidanzato di Monica Bellucci Nicolas Lefebvre o persino quelli di Jason Momoa, che lo stesso anno è stato nominato l’uomo più bello del mondo.

I capelli parlano, così tanto che dall’anno scorso è diventato quasi impossibile non ascoltarli, quando stavano diventando un problema e ci chiedevamo se fosse il caso di aspettare l’apertura dei parrucchieri o di fare in autonomia. Come ha spiegato Forbes, la connessione tra il carattere e gli stati d’animo di una persona e la sommità della sua testa è sempre fortissima, sia qualora non dipenda da noi (basti pensare alla netta virata tricologica di Obama verso il grigio nel suo ultimo anno presidenziale), sia quando è conseguenza di una scelta volontaria come lasciarli crescere. «Dal 2020 ci siamo stufati di tagliare», ha scritto Will Jeakle, come Brad Pitt, Ben Affleck, Steven Colbert, David Lynch, «la nostra è una controcultura». Magari è una fase momentanea – purtroppo lo è sicuramente – e come il taglio drastico ha espresso da sempre desiderio di cambiamento, così la decisione di farsi crescere i capelli sta manifestando la voglia di abbandonarsi alle circostanze per sfinimento e riflesso dell’epoca in cui stiamo vivendo. Forse non è altro che la riesumazione di una vecchia tendenza rimpacchettata e ribattezzata nostalgia di altri tempi, quelli migliori. Secondo l’Atlantic, il 2020 ha generato anche il ritorno della musica Disco.

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