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I test di immunità potrebbero aiutarci a tornare alla vita normale

Più che la distanza sociale, più che i ristoranti e le scuole chiuse, secondo la scienziata della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, «l’unico modo per poter tornare alla normalità il prima possibile, ma sempre gradualmente, sarebbe poter sapere con certezza, attraverso il test di immunità, chi ha già contratto il virus». È quanto riporta Vox, riflettendo sul fatto che la conoscenza di quanti abbiano già avuto il Coronavirus in maniera asintomatica potrebbe rallentare la pandemia globale, ed essere la chiave per tornare alla normalità.

Quante persone sono state infettate dal virus? Chi potrebbe averlo diffuso senza saperlo in quanto asintomatico? Perché in alcuni soggetti il decorso della malattia è più grave e rapido e in altri più lieve? Sono soltanto alcune delle domande a cui la diagnostica sierologica di Covid-19 (ovvero un test che rileva la quantità nel sangue di anticorpi protettivi contro il virus e che quindi permette di individuare i soggetti immuni) potrebbe rispondere. Tali test, inoltre, continua Vox, consentirebbero potenzialmente a determinate persone, quelle immuni, appunto, di riprendere a lavorare. Mentre alcuni Paesi stanno cercando di acquisire ingenti quantità di test di immunità (il Regno Unito ne ha ordinati 3,5 milioni e la Germania sta valutando di utilizzarli per rilasciare certificati di immunità alle persone sopravvissute a Covid-19), gli scienziati concordano comunque che sia necessario giungere alla conoscenza di un dato di cui ancora non si sa nulla: se esista la possibilità di contrarre il Coronavirus due volte e magari con decorsi differenti e quanto quindi dura quest’immunità.

Oltre a essere un «ottimo strumento forense, nel senso che permette di tracciare la diffusione del virus nei diversi Paesi, il test sierologico potrebbe svelare numerose incognite della pandemia», spiega Vox. A differenza dei test molecolari (quelli eseguiti sul tampone, che identificano la presenza del virus nelle secrezioni e cominciano a essere positivi in una fase poco precedente ai sintomi e rimangono positivi in tutta la fase sintomatica), questi identificano gli anticorpi e quindi la capacità o meno di una persona di “proteggersi” dalla pandemia. Ed è qui che sorge il problema, di carattere biologico, poiché potrebbero essere necessari 7 o 10 giorni affinché si inizino a sviluppare gli anticorpi. Per questo motivo simili test non hanno ancora raggiunto il necessario livello di affidabilità: «Si aggiunga il fatto che chi ha già contratto il virus potrebbe avere un certo grado di immunità duratura, ma non permanente», ha detto Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, in Maryland. «La loro immunità potrebbe durare magari 50 anni, ma non sappiamo ancora dirlo».