I soffiafoglie racchiudono tutto ciò che non va del mondo contemporaneo

Sono sempre più diffusi anche nelle città italiane: rumorosi, inquinanti e soprattutto poco efficienti. In altre parti del mondo c'è chi li combatte come battaglia politica, a partire da Cate Blanchett.

12 Maggio 2025

Inizia un paio di anni fa, forse tre. Sono le otto e mezzo del mattino, sono sul divano a leggere un libro prima di andare al lavoro. Dalla finestra, quella affacciata a sud, arriva un sibilo. Sembra una sirena, in realtà lo scambio per il gracchiare di una vecchia moto da cross che alza i giri del motore. Ma qualcosa non va: come in un edging acustico, la marcia non scala. La sirena rimane costante, l’onda sonora si è bloccata. È fastidioso, sembra sbagliato. Provo a ignorarlo, mi dico: saranno i cantieri del bonus edilizio che hanno tirato su un po’ dappertutto. Dopo qualche giorno, ricomincia. Poi ancora. Ci metto un po’ per capire che è sempre il martedì. Mi affaccio alla finestra, guardo in basso: un uomo che indossa un giubbotto catarifrangente arancione, in un cortile fatto di cemento e di forse otto metri quadrati di aiuola, sta manovrando una specie di fucile ad aria per spostare delle foglie secche. Le foglie sono poche decine, si sparpagliano da tutte le parti. Il tizio si muove lento, curvo su quelle poche, povere foglie. Lui soffia, o meglio, aziona quel coso che fa un baccano tremendo. Sembra posseduto, lui, dalla scialba energia che emana dal soffiafoglie.

Via da lì, ma verso dove?

Me ne sono stato zitto, d’altra parte non mi sembrava che il mondo avesse un problema con i soffiafoglie. Non sapevo nemmeno che si chiamassero così, tra me e me dicevo cose come: quei cosi che sparano aria sulle foglie. Mi dicevo: sono misofonico, o forse sono solo un po’ burbero, insofferente soprattutto quando si parla della mia routine mattutina. Sono passate le settimane, e un giorno, pedalando in bicicletta lungo via Eustachi, una via molto alberata di Milano nord, ho sentito ancora quell’interminabile, maledetta onda sonora. Un portiere stava soffiando le foglie via dal marciapiede. Mi sono chiesto: via da lì, ma verso dove?

A quel punto la mia insofferenza ha iniziato il percorso evolutivo per trasformarsi in ossessione: e ho notato, come ogni ossessionato che si rispetti, soffiafoglie in ogni dove, in mano a ogni portiere, a ogni giardiniere di questa città. Pochi giorni fa, la goccia che ha fatto traboccare il vaso della mia pazienza, che ha definitivamente spezzato la resistenza, pur tenace, dei miei nervi, che mi ha messo in ginocchio: dalla finestra aperta della redazione, affacciata su un aprile già estivo, un uomo stava soffiando il venefico cannone. Mi sono affacciato: soffiava aria su una manciata di foglie, qualche mozzicone di sigaretta, mucchietti di polvere e poco altro. Ho pensato a una performance artistica, poi a un’allucinazione. Nella mia paranoia, mi sono detto: i soffiafoglie sono la metafora di (quasi) tutto ciò che non va in questa società.

Cercando su internet, come spesso accade (con effetti soprattutto nefasti), ho trovato moltissimi sodali. Non in Italia, segno che evidentemente la mia battaglia è solo all’inizio, o nella sua fase ancora avanguardista. Ma negli Stati Uniti, Paese da cui, ho pensato, abbiamo probabilmente importato anche questo segno di progresso, pur non avendo (fortunatamente?) interi quartieri di villette monofamiliari corredate da praticelli. C’è addirittura un movimento chiamato “Make America Rake Again”, in cui “rake”, molto assonante con Great, significa rastrellare. Più di cento città, negli Stati Uniti, sotto la pressione di diversi gruppi di attivisti anti-soffiatori, hanno già vietato l’utilizzo dei macchinari.

Cate Blanchett leaf blowers

Nel marzo 2025, durante un’intervista su TikTok in un famoso format girato sulla metropolitana di New York, Cate Blanchett ha scelto chiaramente da che parte stare. Quando il conduttore Kareem Rahma le ha fatto la rituale domanda – «What’s your take?» – ha risposto: «I soffiafoglie devono essere estirpati dalla faccia della Terra». Se cercate su Google “cate blanchett leaf blowers” ci sono intere compilation di Blanchett che parla del suo odio per i soffiatori di foglie.

Dice: «È una metafora di quello che non va in noi come specie», e mi sono emozionato sapendo che Blanchett e io abbiamo sviluppato la stessa teoria. Non conosco la sua teoria nei dettagli, forse non l’ha mai detta o forse, semplicemente, non era inclusa nelle compilation che ho visto online. La mia funziona così: i soffiafoglie sono un simbolo di pigrizia, inefficienza, scarsa attenzione ambientale e individualismo. Quindi, sì: tutto quello che non va in noi come specie.

Utilizzare un cannone alimentato da un combustibile fossile per creare un getto d’aria e spostare delle foglie da una posizione transitoria a un’altra posizione transitoria (le foglie non vengono poi raccolte ed eliminate) è un’operazione straordinariamente stupida, e ho cercato di utilizzare un linguaggio adatto a evidenziarne la stupidità e lo spreco di risorse. È inefficiente, perché una scopa o un rastrello farebbero un lavoro migliore, più veloce e più silenzioso in un tempo estremamente più ridotto (non in un bosco o in un enorme parco, d’accordo: i boschi saranno allora l’eccezione). È scarsamente rispettoso dell’ambiente perché, come detto, è alimentato a gas o a benzina, e soprattutto causa un inquinamento acustico simile a quello di un aeroplano che decolla, superiore ai cento decibel. È dannoso per gli esseri umani, per i nostri già fragili sistemi nervosi, e per gli animali che vivono nei paraggi, disturbati o uccisi, nel caso degli insetti. James Fallows, un importante giornalista americano dell’Atlantic, aveva dedicato già nel 2021 un articolo ai soffiafoglie, spiegando: «Usare un motore a due tempi è come scaldare un appartamento con un falò in salotto, e abbattere alberi per mantenerlo vivo, e intanto cercare di far uscire il fetido fumo nero prima che avveleni i tuoi bambini». Secondo quale logica acquistiamo automobili ibride iper-silenziose per poi accettare che per spostare settanta foglie si faccia un baccano da officina metallurgica inquinando come una moto da cross? A Zurigo la questione è diventata politica: la giunta di centrosinistra che ha amministrato la città con costanza negli ultimi anni li ha banditi (eccetto che in autunno, e a condizione che siano elettrici), e la mossa è stata immediatamente cavalcata dalle opposizioni di destra: la battaglia contro i soffiafoglie è diventata una battaglia woke. Segno ulteriore che molte indicazioni su cos’è di destra e cos’è di sinistra, in questo decennio, sono sparigliate: non sarebbe invece conservativo consigliare l’utilizzo manuale di un rastrello?

Un nuovo luddismo

Da sempre l’insegnamento del movimento luddista nelle scuole racconta di un gruppo di primitivisti intenzionati a riportare l’orologio del progresso nel passato: diversi libri, negli ultimi anni, stanno rimettendo in prospettiva la lotta di Ned Ludd e dei suoi seguaci. Secondo questi il luddismo sarebbe stato invece un primo tentativo di equilibrare i rapporti di potere tra la macchina e l’uomo: ne parla, per esempio, il saggio Tecnoluddismo di Gavin Mueller uscito in Italia nel 2022 per Nero Editions. Oggi il luddismo si tradurrebbe, scrive Mueller, in una battaglia contro il diffondersi di meccanismi oppressivi e controllanti, nati per organizzare il lavoro e la vita dei cittadini, fino all’utilizzo indiscriminato dell’intelligenza artificiale. Una battaglia che richiede determinazione e speranza, due qualità che difficili da coltivare se la macchina più semplice da cui ci facciamo dominare è un rumorosissimo affare di plastica a benzina per soffiare via le foglie.

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