Immagini generate con l'AI che ritraggono mostri antropomorfi che fanno e dicono cose senza senso. Nati su TikTok Italia, hanno accumulato milioni di visualizzazioni e condivisioni in tutto il mondo. E nessuno ha ancora capito perché.
Qualche giorno fa su Il Post mi sono imbattuto in un articolo intitolato “Su TikTok c’è tutto un filone di video contro i napoletani fatti con l’AI”. Come immagine di apertura una composizione di screen di TikTok provenienti dalla ormai già classica estetica Skibidiboppy. Mi sono incuriosito perché da un paio di settimane lo Skibidiboppy è la mia cosa preferita di internet. Sono entrato nella tana del bianconiglio e non posso smettere di scrollare. Sto educando l’algoritmo perché ne voglio di più, e ancora, e ancora. Se l’Italian Brainrot erano state le mie canne, lo Skibidoppy è la mia eroina.
Tutto è iniziato quasi per caso, frequentando come al solito delle brutte compagnie. Un’amica bomberona mi aveva mandato un video con una nipote e una nonna sorridenti sedute a un tavolino di un bar sulla spiaggia. La nipote chiede alla nonna «Sganciami una perla delle tue!» e la nonna «Non grosso che otturi, non lungo che tocchi, ma duro che duri, è un cazzo coi fiocchi! Olè!». Fu una folgorazione. Non capivo nemmeno io bene perché. La battuta in sé non era niente di nuovo, anzi la conoscevo già, era sepolta nella memoria, in qualche recondito antro di iniziazione all’idioletto gay provinciale, insieme ad altre amenità da bar dello sport, da oratorio, da colonia estiva. Eppure mi fece ridere fino alle lacrime. La riguardai in loop fino allo sfinimento, ingarellato come un Proust bambino con la sua lanterna magica. E da allora non ho mai smesso, e non voglio smettere. Voglio morire di Skibidiboppy.
Il lato oscuro
Il pezzo del Post però raccontava qualcosa di molto diverso rispetto a quella che era stata la mia esperienza con la sostanza. Parlava di «tanti video assurdi e stereotipati generati con l’intelligenza artificiale che in queste settimane stanno prendendo in giro e insultando le persone napoletane e la città di Napoli. Sono molto popolari sul TikTok italiano, sono generati con Veo 3, il nuovo modello [di AI, ndr] presentato da Google a maggio, e appaiono inizialmente molto realistici, capaci di confondere anche gli utenti più allenati», dice che «a generare questi video sono soprattutto persone che hanno un tipo di senso dell’umorismo molto specifico, formato solitamente dopo aver passato molto tempo su forum come 4chan, Reddit o su siti ancora più di nicchia», e che «negli Stati Uniti, lo stesso tipo di video – generato da Veo 3, pubblicato su TikTok, lungo di solito non più di 8 secondi, del tutto assurdo – sta prendendo di mira soprattutto gli afroamericani: il sito Media Matters ne ha trovati tantissimi, tra cui molti con milioni di visualizzazioni. Spesso sono video che rappresentano le persone afroamericane come scimmie, mostrate mentre ammettono di aver commesso dei crimini, corrono via dalla polizia, saccheggiano negozi o mangiano grandi quantità di pollo fritto e anguria (due cibi associati, negli stereotipi, alle persone afroamericane). Altri video identificati da Media Matters avevano invece come bersagli le persone ebree, cinesi o del sud-est asiatico». Santo Dio, in cosa mi ero infilato? Cos’ero diventato? Un troglodita razzista suprematista a mia insaputa? Quale sarebbe stato il prossimo passo? QAnon?
Shitposting elevato ad arte
Ma soprattutto, in che modo quella vecchia poteva avere a che fare con tali nefandezze? Ero così sconvolto che ho dovuto aprire RaiPlay e mettere su la puntata di Match di Arbasino con Susanna Agnelli e Lidia Ravera per calmarmi e sentirmi una persona migliore, colta, progressista, figa, pure un po’ stronza. Però poi a mente fredda la verità è che no, il cazzo coi fiocchi non ha proprio niente a che fare con l’antimeridionalismo e le persone afroamericane rappresentate come scimmie.
Certo nel mondo dello Skibidiboppy esistono derive razziste, e certo esistono dei video che deridono i napoletani (a volte con crudeltà, a volte in modo bonario, a volte fanno ridere, a volte è un mix delle tre cose perché il mondo è un posto complesso e l’ironia e la sensibilità individuale e collettiva anche e c’è poco che possiamo farci). Ma non solo, lo Skibidiboppy è una delle cose migliori e più interessanti successe all’internet recente, secondo me.
Tracciarne i confini facendoli coincidere con quelli del razzismo e dell’antimeridionalismo è ingeneroso e miope e molto sbagliato. Perché – e certo, sappiamo come funzionano le bolle e l’algoritmo, ma davvero basta scrollare fino a infiammarsi i pollici per capirlo – la parte sbagliata è infinitesimale rispetto all’intero. E se il razzismo e l’antimeridionalismo sono da condannare, su questo non ci sono dubbi, beh il resto è pura arte, altro che shitposting. O meglio, è shitposting elevato ad arte. È qualcosa che sta tra Fluxus e il Gruppo 63. Se proprio quest’ultimo, di cui Nanni Balestrini parlava come di una sigla dietro a cui «c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità» nasceva come reazione creativa e infastidita a una deriva incancrenita della cultura istituzionale.
Contro vita lenta, tradizione e anziani angelicati
Oggi che il middlebrow e il midcult sono il massimo a cui possiamo aspirare, lo Skibidiboppy scardina, in fiammate istantanee a mezzo TikTok, le dinamiche e i codici e gli universi simbolici delle forme nostalgicizzate della tv pomeridiana, dell’ubiqua romanticizzata estate italiana, della vita lenta, della tradizione, degli anziani angelicati che sono la nostra memoria e vanno idoleggiati e salvaguardati come panda, in un paese in cui tra qualche decennio non ci saranno che anziani.
La cosa che più salta all’occhio, nel mondo dello Skibidiboppy, è una codifica estetica rigidissima, non legata all’uncanny valley prodotta da Veo3 (che comunque se non capisci che è AI un giro dall’oculista è consigliabile), quando piuttosto alle scelte degli scenari in cui si svolgono queste scenette detonanti di teatro minimo.
Spesso scorci di borghi stereotipicamente italiani (reference: uno dei borghi più belli d’Italia! come da meme con Gerry Scotti quando un concorrente gli dice che viene da un posto probabilmente di merda), spiagge (reference: classici affollati carnai di stabilimenti balneari dove i giornalisti di Studio Aperto vanno a chiedere agli anziani se fa caldo, quanto fa caldo, e come si difendono dal caldo, e cosa mangeranno, ma vedi anche Ragazze a Ostia “se semo prese er calippo e poi se semo prese ‘a bira”), parchi cittadini da pensionati, stradine collinari, vie di centri storici. Oppure interni di case piccolo-borghesi, case di nonne e nonni, arredate in quell’orrendo stile arte povera che ha prodotto cupezze kitsch devastanti e al cui confronto lo standard scandinavo ikea da morti di fame odierno sembra Richard Neutra.
E poi ci sono i corpi, che sono spesso, spessissimo anziani, e sorridenti, quei corpi romanticizzati sui profili della vita lenta in quei reel senza parlato, dell’Italia paradiso perduto per americani in vacanza. Oppure begli anziani anche prestanti come da pubblicità dell’olio in cui c’è quello che salta la staccionata. Oppure ancora vecchiacce lascive, apparecchiate da balera, come quelle di Uomini e Donne versione anziani.
Un linguaggio meritevole di analisi
Tra le mie dinamiche preferite c’è quella con la versione intervistatore/intervistatrice, in cui come fanno quegli inviati pateticamente allegri dei programmi del pomeriggio su Rai2 (reference, l’intervista sui cognomi strani alla famiglia Mastronzo, da Una vita in diretta) si chiede a un passante qualcosa di apparente serio ricevendo risposte da barzelletta stantìa «Buongiorno posso chiederle in che religione crede?», «Sono luterano», «E perché?», «Perché mi piace un po’ l’utero e un po’ l’ano». A chiudere, una risata da ottimismo che è il profumo della vita (reference: Gianni! e gli spot di UniEuro con Tonino Guerra).
Il linguaggio forse è la cosa più interessante e affascinante, perché tutto questo pastiche di pezzi di social o di tv è associato a dialoghi a volte assurdi, a volte in realtà antichi – ci sono tante barzellette vecchia scuola che potrebbero venire da uno spettacolo de i Legnanesi tipo «Dottore ho la diarrea», «Ha provato col limone?», «Ho provato ma quando lo tolgo ricomincia». La diarrea anche è un tema presentissimo, e chi può dire che la diarrea non faccia ridere come poche altre cose? Oppure vecchi tormentoni già diventati classici e però fuori contesto che risultano quasi nostalgici – (vedi Eskereeeee ed elogi alla Dark Polo Gang e “777 su ogni cosa”). E malcelate bestemmie come quelle che potrebbe dire un nonno.
Il sigillo situazionista
Alla fine, a chiudere il tutto, come un amen, l’elemento linguistico che è puro détournement, dello Skibidiboppy. Da dove viene questo sigillo situazionista? C’è chi dice da Skibidi Toilet, chi lo fa risalire invece alla fondamentale Skibidi del duo russo Little Big, chi addirittura lo retrodata all’immortale “Scatman” (Ski Ba Bop Ba Dop Bop) di John Scatman, anno domini 1995.
Quanto durerà tutto questo non lo sappiamo, forse qualcosa rimarrà, forse tutto se ne andrà nel gorgo infinito dell’internet e della semiosi infinita. Ma per ora, in questa brodaglia post-post-moderna dominata da una versione AI animata dallo spirito di un evil Gino Bramieri, si sta davvero bene, e il naufragar c’è dolce, in questo mare. Skibidiboppy!