Nell’era del riscaldamento globale, tutti i romanzi sono romanzi climatici

È un genere esploso negli ultimi dieci anni ma che forse è stato già superato dai fatti: la crisi climatica ormai è parte della nostra quotidianità e la narrativa non può che adattarsi di conseguenza.

02 Maggio 2025

Sono pochissimi i saggi che hanno avuto un impatto di stimolazione culturale come quello che ebbe La grande cecità di Amitav Ghosh, sul «fallimento culturale e di immaginazione» della letteratura nell’occuparsi del cambiamento climatico. Uscì nel 2016, tante cose sono successe da allora, quasi nessuna brillante, ma il saggio di Ghosh ha avuto l’effetto che viene raccontato sul primo disco dei Velvet Underground: magari non tanti lo hanno letto, ma tutti quelli che lo hanno letto hanno scritto un romanzo sui cambiamenti climatici (in quel caso, non tanti lo avevano comprato, il disco, ma tutti quelli che lo avevano comprato hanno messo su un band).

Quando uscì La grande cecità, c’era un campo di forze favorevoli a questa evoluzione, era passato un anno dall’enciclica Laudato si’ di Francesco, che a sua volta stava alla politica come la Grande cecità stava alla narrativa. Nel giro di pochi mesi tra le parole di Bergoglio e quelle di Ghosh, ci furono l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi. Gli scrittori ci hanno messo un po’ di più (la letteratura ha tempi di reazione che fanno sembrare la democrazia un sistema di governo efficiente e rapido), ma negli ultimi anni c’è stata una fioritura di romanzi climatici, ecologisti, ambientalisti, ambientali, forestali, vegetali.

Dopo di me il Diluvio

Forse la letteratura ha risposto in ritardo al cambiamento climatico ma oggi sembra anche l’ultimo pezzo di società a prenderlo sul serio. Qualche settimana fa è uscita la cinquina del primo Climate Fiction Prize, un premio britannico che prova a diventare lo Strega alla fine del mondo. I cinque romanzi candidati sono Orbital di Samantha Harvey, Il ministero del tempo di Kaliane Bradley, Briefly Very Beautiful di Roz Dineen, Un grido di luce di Abi Daré e The Morningside di Téa Obreht. Anche al di là delle cinque autrici nominate, alcuni tra i più romanzi più importanti degli ultimi anni hanno avuto l’ambizione di essere una risposta alla provocazione di nove anni fa sulla grande cecità.

Il totem della categoria è il monumentale (per dimensioni, scala, portata) Diluvio di Stephen Markley, che negli anni ’10 aveva identificato la crisi d’identità degli Stati Uniti come riflesso delle campagne militari in Iraq come Tema Maestro della società e ci aveva scritto Ohio. Markley è uno di quegli scrittori che pubblicano un romanzo a decennio, la scelta del tema dell’opera di consolidamento era decisiva, e Markley ha scelto di raccontare vent’anni di collasso ecologico futuro. Diluvio è un romanzo titanico, di quelli che per raccontare il mondo hanno bisogno di riedificarlo da zero.

È un libro bellissimo, ma è anche un sintomo: il cambiamento climatico è diventato una sfida con cui confrontarsi, come una ice bucket challenge: rovesciati un secchio di acqua gelata addosso e vedi se la tua voce resiste. È un rito iniziatico dello scrittore come persona matura e consapevole del mondo. La fioritura di romanzi climatici (in questa discussione il titolo che si cita sempre, oltre a Diluvio, è Riaffiorano le terre inabissate di M. John Harrison) ha più a che fare con la performance letteraria che con le urgenze del cambiamento climatico, con il suo tedio interrotto da scrosci di orrore, con il darwinismo geopolitico che ha innescato tra le potenze, con il negazionismo e il fatalismo della società occidentale. Oggi il paradosso è che chi si informa guardando la tv pensa che la crisi climatica sia un problema risolto o immaginario, chi legge la realtà attraverso i libri penserà che la gente non stia parlando d’altro che di clima. E nessuna delle due cose è purtroppo vera.

A che serve la climate fiction

Il punto è un altro: cosa è legittimo chiedere a un romanzo? La climate fiction nasce come letteratura delle persuasione, letteratura con un mandato politico. Non tanto innescare un’azione, quanto una percezione. L’obiettivo della persuasione, anche nell’idea di Ghosh, era la visualizzazione di un problema così vasto da diventare invisibile. Quel ciclo si sta per chiudere e la distopia come strumento di visualizzazione sta perdendo il suo fascino (e la sua utilità).

In un certo senso, Diluvio è sia il massimo che l’ultimo esemplare della specie, il libro che chiude lo scaffale della narrativizzazione dei rapporti Ipcc sul clima. Ed è una fortuna, perché sarebbero cose più interessanti da fare, più adatte alla forma romanzo. Come ha detto Paul Murray (Il giorno dell’ape) all’Observer, «il cambiamento climatico è l’inevitabile sfondo dell’essere vivi nel XXI secolo».

Anche i titoli del Climate Prize vanno in questa direzione: se sta apparendo un filone, è più quello del realismo climatico. Orbital, per esempio, è un romanzo contemplativo che gioca con i generi e le aspettative, è ambientato nello spazio ma non è fantascienza, è una lirica e sentimentale osservazione della Terra da parte di sei astronauti. Tengono d’occhio un tifone, che appare e scompare tra le loro faccende domestico-spaziali, esattamente come fa la crisi climatica nelle percezioni della gente, quella che dovrebbe a un certo punto occuparsene votando, manifestando, spostando il conto il banca o cambiando il fornitore di elettricità. Il cambiamento climatico, come il tifone di Orbital, appare e scompare tra una preoccupazione e l’altra. È una rappresentazione realistica di un elettore occidentale consapevole.

Terapia shock

L’idea di dieci anni fa che servisse un «romanzo climatico» era più la ricerca di una terapia shock contro l’incapacità della letteratura di reagire al riscaldamento globale, ma il vero successo del romanzo climatico sarà la sua estinzione. La sua esistenza a lungo termine non avrebbe senso, come non ne ha più quella di un “romanzo digitale” o di un romanzo che racconti la vita al tempo del telefono o del telegrafo. Per la letteratura c’è una sfida più difficile davanti ed è tutta contenuta in una delle frasi meno citate ma più radicali di quel saggio di Ghosh. «Il cambiamento climatico mette in crisi quello che è forse il più importante concetto politico dell’era moderna: l’idea di libertà».

È questa la sfida per il romanzo contemporaneo rispetto al clima: raccontarne la dimensione morale. Il cambiamento climatico in sé è un fatto statistico: non ha inventato il caldo, le alluvioni, gli incendi, le migrazioni, ha solo reso tutto questo più intenso e frequente, ed era uno scarto che la letteratura poteva rendere solo esagerando, e per un periodo ha esagerato, facendosi biblica e apocalittica, e va bene così. Ma per uno scrittore il cambiamento climatico non è interessante solo perché cambia il contesto della vita umana, quello è più utile saperlo se lavori alla Fao o nella Protezione civile. È interessante soprattutto perché cambia l’esperienza umana, il rapporto con la morte, col sesso, col futuro, col corpo, col desiderio. È quello che sta iniziando a fare la letteratura, cercando un livello più sottile e universale di osservazione. Probabilmente il romanzo in sé non ha un grande potere contro la crisi climatica, ma la crisi climatica può fare molto per tenere in vita il romanzo e il senso del romanzo.

Orbital è un’elegia d’amore per la Terra

Il libro di Samantha Harvey, vincitore del Booker Prize 2024, è ambientato nella Stazione Spaziale Internazionale e si chiede cosa sia l'umanità senza il suo pianeta, e viceversa.

Orbital, un romanzo ambientato nello spazio e quasi senza trama, ha vinto il Booker 2024

Riaffiorano le terre inabissate sarà uno dei romanzi fondamentali di quest’epoca

Il libro di M. John Harrison è un'esperienza di lettura memorabile.

Leggi anche ↓
I libri del mese

Cosa abbiamo letto ad aprile in redazione.

I Kneecap volevano essere famosi, sono diventati famigerati

La band hip hop irlandese viene da anni di provocazioni ed esagerazioni alle quali nessuno aveva fatto troppo caso, fin qui. Ma è bastata una frase su Gaza, Israele e Stati Uniti al Coachella per farli diventare nemici pubblici numero 1.

Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi

Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».

Murata Sayaka è la scrittrice di chi si sente a disagio sempre e dovunque

Ancora più dei suoi romanzi precedenti, Vanishing World , appena uscito per Edizioni E/O, sembra scritto da una macchina senza sentimenti che ci mostra tutte le variabili possibili e immaginabili della stupidità umana.

Sinners, il mio vampiro suona il blues

Negli Stati Uniti il nuovo film di Ryan Coogler è diventato un caso: un'opera indipendente, un B movie che mescola sesso, musica, horror e vampiri, che sta incassando quanto un blockbuster.

Alexander Payne sarà il presidente della giuria alla prossima Mostra del cinema di Venezia

Il regista torna sul Lido dopo un'assenza di otto anni: l'ultima volta ci era stato per presentare il suo film Downsizing.