Vangelo e integratori, social pieni e messe vuote: l’ascesa dei preti influencer

Già durante il Conclave abbiamo visto come il cattolicesimo stia diventando un trend. Adesso assistiamo anche al successo del prete influencer, figura chiave nella diffusione del churchcore.

19 Novembre 2025

Quando nel 1973 il fotografo Oliviero Toscani lanciò il controverso claim «Chi mi ama mi segua» per la promozione di un paio di jeans, sembrò che l’unico punto di contatto fra l’istituzione cattolica e la promozione avesse la forma di uno scontro. Da allora, ne è passato di Tevere sotto i ponti e in una società dove – scrive Byung-Chul Han ne La società della stanchezza – l’individuo si auto-sfrutta volontariamente credendo di realizzarsi, anche l’istituzione religiosa più antica d’Europa non è estranea a questa metamorfosi in intrattenimento. Nel 2015 la proiezione sulla basilica di San Pietro di immagini del pianeta serviva a sensibilizzare, con uno show dal titolo biblico Fiat Lux, la comune causa ecologica sottoscritta dagli Accordi di Parigi e lanciata dall’enciclica “Laudato si’”. Dieci anni dopo, le icone disegnate dai droni di Kimbal Musk per l’evento Grace for the World non stimolano alcun impegno né sociale né politico, ma appagano gli occhi e rispondono al nostro crescente bisogno di intrattenimento.

Certamente, il 2025 per la chiesa di Roma è stato un anno storico. È morto Papa Francesco, ma è stato anche il momento di una presa di coscienza: che nel web, un non-luogo senza spazio né tempo un topic può diventare trend e generare hype per settimane. La divergenza fra la pratica secolare del Conclave e l’horror vacui delle piattaforme social ha così alimentato storytelling sempre diversi: il fantaconclave, le pagine di fandom dedicate ai cardinali papabili come Zuppi e Tagle, la sovrapposizione fra le liturgie e le performance di drag sono stati solo i sottoprodotti di un cattolicesimo ridotto a trend da spulciare, semmai da incarnare nella sua forma estetica.

Quando vedo in tv che don Roberto Fiscer, prete genoano con un profilo TikTok da quasi 800 mila follower, lancia il Fantasanto, un modo per parlare dei santi ai più piccoli utilizzando le leve del gaming, capisco che il cristianesimo oggi è tutt’altra cosa. Se Rosalía, in occasione del lancio del suo nuovo album LUX, può vendere rosari deluxe con il suo monogramma, è evidente che la forma cristiana ha una vita propria rispetto alla sostanza. E forse ne decreta anche la fine.

Internet ha smesso da tempo di essere soltanto un canale d’informazione, ma è diventato un ecosistema: un luogo, cioè, con regole proprie, capaci di modellare ciò che vi accade dentro, comprese le forme culturali e simboliche che un tempo sembravano appartenere solo al mondo offline, come la religione. La celebre, abusata intuizione di Marshall McLuhan, ripresa da Jean Baudrillard: «Il medium è il messaggio» vale anche per essa, perché la tecnologia ha la forza per plasmare nuovi immaginari religiosi.

Nel declino europeo del cattolicesimo – lo ha ammesso anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, parlando di «senzatetto spirituali» – il fenomeno dei preti influencer è presentato come la terapia prescritta a un paziente vecchio e col metabolismo lento. Lo stesso termine è la crasi di un apparente ossimoro, prete e influencer, perché unisce due mondi che da opposti sono sempre più percepiti come necessari. I prodromi di questa crisi erano già in nuce negli articoli necrologici del Foglio quando, nell’aprile 2019, Giuliano Ferrara ricordava l’incendio che devastò la cattedrale di Notre Dame: «D’un tratto, nel mondo dell’11 settembre, del jihadismo, dello scontro di civiltà, un giorno di maggio di sei anni fa un intellettuale della destra apocalittica è entrato nella navata, ha raggiunto l’altare e si è sparato in segno di derelizione per la caduta dei valori occidentali tradizionali». Il prete influencer è, quindi, una reazione a questo smarrimento non solo spirituale, ma anche umano; un tentativo di upgrade in un sistema operativo che utilizza i modem dial-up in un mondo iperconnesso dove ci si accaparra il nostro tempo.

Il churchcore e i cortocircuiti generati dall’universo insondabile di preti e suore con i loro dogmi e le nostre ribellioni, le loro liturgie e i nostri show, sono una fonte preziosa per l’algoritmo. Di recente, l’account social Vitadasuore è stato preso di mira su TikTok dopo che un utente ha rivelato – con sua somma sorpresa – che le suore che si trovano sul Ponte Sisto a cucinare i panzerotti per il Papa sono in realtà tre attrici che stanno promuovendo una serie tv. La delusione e il disappunto che ne sono seguiti mostrano una realtà dove il fenomeno religioso e quello dell’intrattenimento appaiono mischiati e noi non abbiamo più strumenti – o sensibilità – per distinguerli.

I reel colmi di frasi apodittiche di don Cosimo Schena, che titillano l’emotività ma non hanno alcuna profondità teologica, sono il lato speculare di quell’entertainment. Con i suoi 500 mila follower, il prete brindisino è il presbitero nostrano più seguito di Instagram: «500 mila non sono un traguardo, sono una responsabilità. Non inseguo i numeri: inseguo le persone. Se una parola giusta arriva nel momento giusto, i social hanno compiuto la loro missione: portare luce dove sembra mancare» ha dichiarato, appresa la notizia. Ma la responsabilità di un prete cattolico si misura sui grandi numeri o sul messaggio che veicola, soprattutto se filtrato dalla missione che ha scelto di seguire per vocazione?

Il prete influencer può non porsi queste domande. Vive in un tempo in cui la religione è sempre più processata in bene di consumo oppure, se presa seriamente, attaccata per la genetica incompatibilità con le istanze più progressiste. I social dei preti influencer evitano questi conflitti: contenuti brevi, velocità e beauty privilege sono alcuni degli ingredienti di cui è composta la maggior parte di questi profili, con un rischio di autoreferenzialità altissimo.

Don Alberto Ravagnani, 285 mila follower su Instagram, è stato al centro di un caso per aver promosso una marca d’integratori. La sua presenza online è altissima, punta ad essere ospitato nel maggior numero di podcast possibile come fu anzitempo con Muschio Selvaggio, lo spazio che ha contribuito alla sua fama social più degli oratori. Se avesse scritto un libro, questa attività potrebbe essere annoverata come una campagna di promozione. Massimiliano Padula, che è un sociologo ed esperto dei processi culturali e comunicativi della chiesa contemporanea, spiega: «I social network sono spazi di autorappresentazione ed auto-narrazione, quindi i codici e lo stile comunicativo riflettono determinati parametri e categorie rappresentative e simboliche. In questa dimensione, anche i preti influencer decidono di parlare questo linguaggio, quindi di acquisire i criteri comunicativi dei social media, e questo si traduce anche nella dimensione dell’apparire, nella dimensione dell’esibizione. C’è, però, il rischio di passare da una chiesa estetica, che è legata alla riflessione sulla bellezza dell’amore di Dio, a una chiesa esteta, cioè dove la dimensione della bellezza si contrae nella mera rappresentazione, nella mera esibizione del sé».

Come tutti i social trend, anche quello dei preti influencer è un fenomeno che nasce in America, spiega Valentina Ciciliot, docente di storia del cristianesimo all’Università Ca’ Foscari ed esperta di movimenti carismatici: «Si tratta di una tendenza che viene dagli Stati Uniti e dall’America Latina, che ha attraversato il cristianesimo prima nella parte protestante e poi nel mondo cattolico. Questa spinta a cavalcare i nuovi metodi di comunicazione digitale è legata a evangelizzare nuove fasce di popolazione e attirare nuovi fedeli. Credo che ci possa essere un nesso tra i preti influencer e i movimenti carismatici: sono personaggi carismatici che riescono ad avere una certa influenza e visibilità».

Certamente i preti influencer riempiono il vuoto spirituale che stagna nella società italiana. Stando all’ultima indagine sui giovani, la fede e la spiritualità realizzata dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, è aumentata la percentuale di chi dichiara di credere in una generica entità superiore, anche senza far riferimento a nessuna religione: nel 2023 sono il 13,4 per cento; nel 2020 erano l’8,7 per cento; nel 2016 il 6,2 per cento. Ma vedere nel fenomeno dei preti influencer un successo della nuova evangelizzazione è solo un confirmation bias: i preti influencer sono, piuttosto, gli attori social che fanno rumore nel silenzio imbarazzante che si respira entrando negli oratori o nelle chiese di tutto il mondo. È una spiritualità in formato snack, fruibile e monetizzabile, dove il carisma vale quanto la reach e non è più necessario distinguere fra realtà e finzione. Penso alle parole di padre David Maria Turoldo sulla solitudine dei preti che oggi mal si adatterebbero ai video verticali e alle caption da dieci secondi di molti sacerdoti. Per i social c’è solo il dato incontrovertibile delle statistiche, la popolarità che funge da analgesico mentre sempre più persone non vanno a messa o si arroccano nei revanchismi tradizionalisti e reazionari. La verità è che neppure un prete può evitarlo, anche se sceglie di affiancare la logica dell’algoritmo all’indomabilità del Vangelo. Se il mistero ha bisogno di engagement, allora vale quel claim che per Toscani era la quintessenza del marketing, non della fede: chi mi ama mi segua, appunto.

La Gen Z salverà il cattolicesimo trasformandolo in una moda?

Negli ultimi anni è emersa una nuova generazione di fedeli che mescola sacro e profano, spiritualità ed estetica, Bibbia e Sabrina Carpenter, social e Chiesa. Giovani che, forse, cambieranno il modo di intendersi cattolici.

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